Abbazia di San Michele Arcangelo – Lamoli di Borgo Pace (PU)

L’Abbazia Benedettina di Lamoli fa da controcanto all’altra Abbazia benedettina posta sul versante Umbro della montagna cioè quella di Scalocchio. Un territorio ricco di economia e vita nel medioevo ora ridotto allo spopolamento a tal punto che si viaggia per ore sulla montagna appenninica senza trovare traccia di vita umana, ma solo presenza di uccelli e animali selvatici.

 

Cenni Storici

L’attribuzione all’Arcangelo ha chiari riferimenti all’epoca Longobarda dove fu massima la costruzione di siti dedicati al culto di San Michele.
L’abbazia benedettina pare sia stata fondata, parallelamente a quella di Scalocchio da alcuni discepoli poco dopo la morte di San Benedetto, avvenuta nel 543 dc.
Ci troviamo nel cuore dell’Appennino Tosco-Umbro-Marchigiano; Lamoli in quel tempo si trovava perfettamente inserita in una delle principali vie commerciali a cavallo tra Roma e Urbino, importante centro di sosta e di cultura per chi si recava per motivi commerciali, religiosi o politici dal sud ovest al nord est dell’Italia, quindi un punto di notevole rilevanza.
Per di più ci troviamo di fonte ad una linea di cammino lungo il torrente Meta, che, unendosi al torrente Auro dà vita al fiume Metauro, percorsa nell’antichità da centinaia di migliaia di pellegrini, una direttrice che passando dall’alta valle del Tevere portava dritta all’Adriatico.
L’Abbazia quindi ricopriva un doppio ruolo, da una parte dare ospitalità e sostegno alle persone che transitavano, curare le ferite che potevano presentarsi durante il cammino e dall’altro soprattutto dare forza allo spirito attraverso la fede.
La prima notizia di tale abbazia risale al 1218, quando era ancora florida e ben difesa a nord da una fortezza detta “Castellaccio” e da un altro nucleo difensivo nel Castrum Bovie (o Badie), sullo scosceso colle che sovrasta Borgo Pace.
Aveva il privilegio del nullius diocesis, stretta com’era fra l’abbazia di Scalocchio, il Vescovo di Città di Castello e il nullius arcipretale di Mercatello e Sestino.
Con il tempo però fu anche sede di un Vicariato che controllava la maggior parte dei castelli circostanti, giungendo persino a ricoprire un ruolo autonomo, assoggettando temporaneamente anche la stessa abbazia di Scalocchio, situata nella diocesi di Città di Castello.
Per i primi tempi fino all’anno mille, gli sforzi dei monaci sono stati dedicati alla bonifica del territorio, selvatico e boschivo, per renderlo adatto alla coltivazione e alla produzione di legname pregiato, ciò fece si che Lamoli, fin dalla sua origine chiamato Castrum Lamularum o Castello delle Lame dal tipo di conformazione del terreno costituito dall’assieme di piccole lame sul quale venne edificato, si trasformò in quello di “Massa Trabaria”, terra da cui provenivano cerri, pioppi, ontani e abeti, che, trasformati in travi, venivano trasportati a Roma flottando dall’alto Tevere (da San Sepolcro) alla città papale per costruire i palazzi apostolici.
Per questo e per la presenza di molti religiosi, la zona era allora Feudo personale del Papa.
Già nel 1422, tuttavia, i Benedettini dovettero cedere agli Abati Commendari, quindi nel 1848 con la soppressione della Commenda, i suoi beni passarono al Capitolo della Cattedrale di Sant’Angelo in Vado, trasformandosi in parrocchia.
La zona nell’ultimo secolo ha conosciuto un notevole emigrazione della sua popolazione verso Nazioni (Argentina, Svizzera) e centri che offrivano maggiori opportunità lavorative, causando un notevole spopolamento.
Lamoli, come i paesi vicini, mantiene ancora vivo l’antico mestiere del carbonaio.
Essendo un paese strettamente legato alla montagna, d’estate diventa una meta di villeggiatura e d’escursioni con numerosi turisti provenienti dalle vicine regioni di Umbria e Toscana ma anche dal resto della provincia di Pesaro-Urbino.
Nel 2012 nella zona ci fu una nevicata con 3.50 cm di neve che ha seriamente compromesso la stabilità del tetto dell’Abbazia.
 

Aspetto esterno

L’Abbazia presenta tutti canoni dell’architettura romanica, quindi interno piuttosto scarno, finestre piccole con scarsa illuminazione che crea penombre; tale particolarità costruttiva è dovuto alla convinzione che il buio o la luce fioca favorisse la concentrazione e quindi desse più forza alla preghiera.
Nonostante i numerosi rimaneggiamenti e restauri, l’edificio conserva il suo originale aspetto, una facciata a capanna tripartita, con portale sovrastato da un piccolo rosone centrale.
Prospiciente la parete di fondo della navata destra si trova il campanile a vela, della stessa ampiezza della navata.
Oggi restano in piedi, restaurati, la chiesa abbaziale del VII secolo a tre navate con la cripta, e la maggior parte del monastero, adattato a casa canonica e albergo, nel chiostro si trova il Museo dei Colori naturali.
Il monastero era provvisto di mura come fortificazione e aveva quindi anche funzioni di difesa.
 

Interno

L’abbazia benedettina di particolare pregio storico-artistico conserva ancora l’antica struttura tardo romanica a tre navate, con l’austero presbiterio rialzato concluso dall’abside semicircolare con tre piccole monofore e catino.
Delle tre navate: quella centrale risulta molto più alta delle laterali ed anche più ampia, scandita da arcate impostate su pilastri.
La copertura è ora a capriate, mentre nel 1753 era stata realizzata con un tavolato piatto.
La cripta, probabilmente ricostruita durante l’ultimo restauro, realizzato dal 1950 al 1954, presenta la copertura in cemento armato, in netto contrasto con la pietra locale ben squadrata, che costituisce l’elemento costruttivo di tutta l’abbazia.
L’interno contiene diverse opere di pregio: un frammento di affresco, ora riportato nel quadro rappresentante il Calvario, del ‘300, alcuni affreschi di Scuola umbra del ‘500 rappresentanti San Romualdo e San Giuliano, e un affresco del XV sec. rappresentante una Madonna che allatta il Bambino.
Oltre agli affreschi si trova una tempera su tavola a lunettone raffigurante l’Eterno Padre tra Due Angeli, che è una delle opere più significative custodite all’interno e attribuita a Raffaelin del Colle, pare che sia stato abbandonato in chiesa molto probabilmente da un ladro che colto da rimorso si è voluto in qualche maniera disfare di questa sua refurtiva abbandonandola nel luogo sacro.
Troviamo inoltre un olio su tela raffigurante il Presepe di scuola Fiorentina del XV-XVI secolo e un Crocifisso ligneo, che si ritiene della scuola del Brunelleschi (1500), di grande impatto emotivo oltre che di notevole pregio artistico noto come il Cristo spirante.
Nella nella cripta preromanica sono raccolti alcuni frammenti scultorei conservati, che fanno ipotizzare una origine nel VI secolo d.C.
 

Fonti documentative

http://www.altometauro.it/

http://www.oasisanbenedetto.it/

https://it.wikipedia.org/

http://www.cultura.pesarourbino.it/

http://www.lavalledelmetauro.it/

http://www.borghipesarourbino.it/

 

Nota

La galleria fotografica è stata realizzata in collaborazione con Alberto Monti.
 

Mappa

Link coordinate: 43.622620 12.256103

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