Area archeologica Forum Sempronii – Fossombrone (PU)


 

Cenni Storici

I resti della città romana di Forum Sempronii si trovano nella zona di San Martino del Piano, circa 2 km a nord-est dell’attuale Fossombrone. La zona archeologica occupa un ampio terrazzo fluviale posto alla sinistra del Metauro e delimitato a occidente dal fosso della Cesana (o rio di San Martino), lungo la Strada Statale 3 Flaminia. Gli scavi hanno dimostrato che il pianoro su cui sorse Forum Sempronii era già frequentato, se non occupato in forma stabile e continuativa, fin dal periodo piceno, con modalità al momento non ancora ben definite: le ipotesi avanzate propendono per un vero e proprio abitato o almeno per un centro di mercato, dato che qui si incontravano importanti direttrici viarie di età protostorica legate anche alla transumanza. Il nome stesso del centro romano alla lettera significa “Foro di Sempronio”, dove il termine Forum indica propriamente un luogo di mercato, evidenziandone la naturale vocazione commerciale. Questo stretto legame con la rete stradale si rafforza in età romana, per la connessione di questo abitato con la viabilità dell’epoca e la sua collocazione equidistante rispetto ad altri importanti centri della regione. Forum Sempronii, infatti, nasce lungo la Flaminia, che a partire dal 220 a.C. costituisce la principale via di collegamento fra Roma e la Pianura Padana presente sul versante adriatico, e si colloca ad una distanza di 18 miglia da Ad Calem (Cagli) e di 16 da Fanum Fortunae (Fano), come ci ricordano le fonti itinerarie. La strada consolare divenne l’asse generatore dell’impianto urbanistico, determinandone anche le fortune economiche e la crescita urbana come sottolineava in età augustea lo storico greco Strabone (Geogr., V, 227). Proprio a Forum Sempronii la Flaminia si incontrava con una importante direttrice intervalliva nord-sud che, intersecando le medie piane fluviali marchigiane, raggiungeva la costa Adriatica. Nulla sappiamo dell’origine della città: Plinio il Vecchio (Nat. hist., III, 14, 113) la pone fra i centri amministrativamente autonomi della regio VI, ricordandola con il nome dei suoi abitanti, i Forosempronienses, e Claudio Tolomeo la colloca nel territorio un tempo appartenuto agli Umbri (Geogr. III, 1, 46). Il nome stesso ci ricorda che l’origine del centro urbano è strettamente legata a un personaggio della famiglia Sempronia. Si è discusso a lungo su chi potesse essere questo Sempronius, proponendo nel corso del tempo varie identificazioni. L’ipotesi maggiormente condivisa è che possa trattarsi del famoso tribuno della plebe Gaio Sempronio Gracco, la cui presenza nella zona è legata all’applicazione della legge agraria (Lex Sempronia agraria) promulgata nel 133 a.C. e attuata a partire dall’anno seguente, con lo scopo di recuperare terre demaniali occupate indebitamente da privati e di ridistribuirle a cittadini nullatenenti. L’applicazione di questa lex nella valle del Metauro è epigraficamente attestata dal noto “cippo graccano” ora conservato al Museo Civico di Fano e così impropriamente detto. Si tratta di un grosso parallelepipedo in pietra arenaria locale con iscritto un testo che ricorda l’attività di restitutio, cioè di ripristino dei cippi di confine collocati dalla commissione agraria del 132 a.C., svolta tra l’82-81 o il 75-74 a.C. da Marco Terenzio Varrone Lucullo. Per questo diversi studiosi ritengono che Gaio Sempronio Gracco abbia effettivamente avuto un legame diretto con Forum Sempronii, anche se con modalità non ancora definibili con precisione. È probabilmente stato un intervento incisivo, se il centro romano ha poi legato il suo nome al tribuno: per questo si deve pensare alla fondazione stessa della città o a una risistemazione in senso urbanistico di un abitato preesistente. Al momento i dati archeologici attestano solo una sicura frequentazione romana del sito nel corso del II secolo a.C., quindi cronologicamente compatibile con l’ipotesi di una fondazione graccana. Tuttavia, considerazione di carattere storico, come la già ricordata apertura della Flaminia nel 220 a.C. o l’attuazione della Lex Flaminia de agro Gallico et Piceno viritim dividundo del 232 a.C., che sappiamo coinvolse anche la valle del Metauro, portano a non escludere l’ipotesi che nella zona di San Martino del Piano già alla fine del III secolo a.C. si fosse formato un piccolo agglomerato. Sappiamo infatti che la distribuzione viritana di terre, cioè a singoli coloni, conseguente alla Lex Flaminia portò alla nascita di un insediamento sparso imperniato su ville e fattorie, ma anche alla nascita di piccoli centri di riferimento amministrativo, le praefecturae così dette perché l’amministrazione e, in particolare, la giustizia erano esercitate da magistrati detti praefecti iure dicundo. Il primo nucleo di Forum Sempronii potrebbe essersi strutturato come semplice praefectura proprio in conseguenza di questi avvenimenti e secondo uno schema supposto anche per altri centri romani delle Marche, come Suasa e Pisaurum, ma solo le future ricerche archeologiche potranno confermare o meno questa ipotesi. Nel corso del I secolo a.C. sappiamo che Forum Sempronii divenne municipium; il fatto che fosse a costituzione duovirale consente di datare l’assunzione della municipalità a non prima del 49 a.C.. Per quanto riguarda la vita istituzionale ed economica della città, le iscrizioni rinvenute e ora in parte conservate presso il Museo “A. Vernarecci” di Fossombrone ci attestano, oltre alla magistratura dei duoviri, la presenza dei decuriones, componenti di una sorta di senato locale, dei quaestores, responsabili del settore finanziario e della riscossione dei tributi, dei seviri augustales, addetti al culto imperiale e spesso ricordati per aver fatto lastricare le vie cittadine. Fra le corporazioni professionali vi sono quella dei fabri tignuarii (falegnami) e quella degli iumentarii (conduttori e locatori di animali da soma) che stazionavano presso una delle porte della città chiamata Porta Gallica. Sono solo quattro le persone di cui conosciamo la professione: sappiamo di due liberti che facevano rispettivamente il vestiarius (sarto) e il medicus (medico), di un uomo nato libero che era banchiere o cambiavalute (argentarius) e di uno schiavo che svolgeva la funzione di amministratore o tesoriere (dispensator). Numerose sono invece le attestazioni epigrafiche di militari, alcuni dei quali hanno avuto una carriera di tutto rispetto.
Da altre iscrizioni conosciamo il nome di alcune delle divinità venerate dai Forosemproniensi: Apollo, Fortuna Augusta, Silvano, Salute- Valetudo, Diana e Madre degli dei. A quest’ultima, nota anche con i nomi di Cibele o di Magna Mater, Pomponia Marcella fece erigere per disposizione testamentaria un tempio che si è supposto di localizzare topograficamente nel settore orientale della città (voc. Olmeto). La cronachistica locale ricorda che qui, nel passato, sarebbero stati messi in luce resti di una via lastricata e di una gradinata che doveva portare a un tempio con colonnato. Gli scavi archeologici evidenziano che il momento di maggiore splendore della città si colloca nei primi due secoli dell’età imperiale e che la frequentazione del sito si protrasse almeno a tutto il VI secolo d.C., e forse fino ai primi anni del VII, come si evince dai dati acquisiti nel corso delle ultime ricerche. Al tempo della guerra greco-gotica (535-553 d.C.), la città fu conquistata dai Bizantini che la inclusero nella Pentapoli Annonaria. La tradizione e non pochi studiosi ne collegano la distruzione ai Longobardi che nel 570 d.C. riuscirono a espugnare la roccaforte bizantina di Petra Pertusa al Furlo. Tuttavia va rilevato che l’indagine archeologica tuttora in corso non ha restituito tracce di una fine violenta della città o di parti di essa, ma solo i segni di un progressivo decadimento delle strutture a partire dal VI secolo, legato anche a un processo di ruralizzazione dell’area urbana che ha trovato riscontro in altre realtà della regione, come a Suasa. Di certo intorno alla fine del VI secolo o all’inizio del VII l’insediamento venne spostato in una zona maggiormente difendibile, sulla collina di Sant’Aldebrando, un sito d’altura di non facile accesso distante pochi chilometri, dove ancora oggi si trova oggi la città moderna che ha perpetuato il nome di quella romana. Nel 1988-89 in piazza Mazzini sono state messe in luce circa cinquanta povere tombe di un sepolcreto altomedievale da riferirsi alla nuova civitas. In alcune di queste sepolture erano riutilizzati elementi funerari (stele e frammento architettonico con falere) di età romana. I reimpieghi epigrafici consentono di datare alcune tombe al VII secolo, ma non si esclude che l’area cimiteriale fosse sorta già nel corso del VI secolo. La sede vescovile, già documentata nel V o VI secolo, fu l’ultima istituzione a spostarsi nella nuova Fossombrone. Sempre nel VI secolo abbiamo attestata una basilica dedicata ai Santi Ippolito, Lorenzo e Sisto di cui però non è rimasta traccia; il ritrovamento di alcuni materiali lapidei databili intorno alla fine dell’VIII secolo, insieme alla persistenza della via urbana che conduceva all’edificio di culto e che, che con ogni probabilità costituiva il kardo maximus della città, portano a collocarla nel luogo dove oggi sorge la Chiesa di San Martino del Piano. Si ritiene che ancora nell’VIII secolo la sede vescovile si trovasse nell’area della città romana, per il resto ormai abbandonata, dato che la popolazione si era spostata nel nuovo abitato d’altura.

Descrizione
La visita all’area archeologica, che é illustrata da pannelli esplicativi, ha inizio dall’area della Chiesa di San Martino, di origine plebana e le cui attuali linee architettoniche risalgono al XVIII secolo. L’ingresso è posto sulla destra della chiesa dove vi è anche il parcheggio per le auto. I resti visibili si trovano a sud dell’attuale Strada Statale 3 Flaminia, anche se la città si estendeva pure a nord di questa. A fianco della chiesa si possono notare un dolio, un grande contenitore per liquidi o derrate alimentari che in genere veniva interrato per oltre la metà della sua altezza, e alcuni elementi architettonici in pietra: si tratta di materiale recuperato dall’area urbana nel corso di vecchi scavi. Sempre nel VI secolo abbiamo attestata una basilica dedicata ai Santi Ippolito, Lorenzo e Sisto di cui però non è rimasta traccia; il ritrovamento di alcuni materiali lapidei databili intorno alla fine dell’VIII secolo, insieme alla persistenza della via urbana che conduceva all’edificio di culto e che, che con ogni probabilità costituiva il kardo maximus della città, portano a collocarla nel luogo dove oggi sorge la Chiesa di San Martino del Piano. Si ritiene che ancora nell’VIII secolo la sede vescovile si trovasse nell’area della città romana, per il resto ormai abbandonata, dato che la popolazione si era spostata nel nuovo abitato d’altura. Si è già avuto modo di dire che la strada consolare Flaminia ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita della città e che ne è l’asse generatore dell’impianto urbanistico, costituendone il decumanus maximus. La Strada Statale 3 ricalca sostanzialmente il tracciato della consolare alla quale si sovrappone in parte: poco oltre la Chiesa di San Martino, in direzione est, proprio sulla destra dell’attuale strada, è stato messo in luce un tratto del basolato della Flaminia romana. Gli scavi hanno poi consentito di riportare alla luce anche altri tratti di strade basolate e precisamente di un decumano parallelo alla Flaminia e di due kardines, cioè di assi stradali orientati sostanzialmente in senso nord-sud e intersecantisi con questo decumano in modo ortogonale. Questi resti del tessuto viario consentono di ricostruire, seppur in modo ipotetico, l’assetto urbanistico. Nel complesso Forum Sempronii aveva una estensione di circa 24 ettari ed era articolata in isolati (insulae) di forma rettangolare con asse maggiore in senso est-ovest, la cui estensione era di m 105×70, vale a dire 3×2 actus secondo le misure romane. L’area del foro, cioè della piazza pubblica presso la quale si intersecavano i due assi viari principali (il decumanus maximus e il kardo maximus), non è ancora stata identificata, anche se non si esclude che essa possa trovarsi dove ora sorge la Chiesa di San Martino. Sono invece stati messi in luce importanti resti di edifici privati e pubblici, oltre ai già ricordati tratti di lastricato stradale nel quale è impiegata pietra calcarea del vicino Furlo. Proprio dietro la Chiesa di San Martino, subito a est del tratto di kardo ora percorribile, tra il 1879 e il 1881 è stata individuata, ma poi ricoperta, parte di una domus con atrio corinzio, e con pregevoli mosaici pavimentali, tra cui quello che al centro ritrae Europa seduta su un toro in corsa (che non è altro che Giove). Nel 1926 il mosaico venne di nuovo scoperto per essere asportato e trasferito al Museo Nazionale di Ancona dove tuttora si trova. Percorrendo verso ovest il decumanus, in direzione dell’altro cardine urbano messo in luce, si possono osservare altre interessanti strutture. A sinistra la strada è fiancheggiata da una fogna coperta da grosse lastre di pietra locale. Sul lato opposto si trovano otto grandi basi, anch’esse in pietra e interpretate come appoggio dei pilastri di un portico o basi per statue di personaggi di alto rango se non di divinità. Proseguendo, sulla destra si notano i resti di un edificio termale, la cui funzione è provata dalla presenza di pilae, le piccole colonne costituite da mattoni circolari o quadrati e destinate a sostenere un soprastante piano pavimetale ora non più conservato. È questo il sistema di riscaldamento noto come “ipocausto”, basato sulla circolazione di aria calda nelle intercapedini sottopavimentali, al quale spesso si affiancava anche una circolazione parietali tramite la messa in opera di tubuli, e tipico dei complessi termali sia pubblici che privati. Naturalmente è necessario attendere che gli scavi riportino alla luce l’intero complesso, di cui ora è nota solo una minima parte posta in fregio alla strada, ma appare condivisibile l’ipotesi che possa trattarsi delle terme maggiori di Forum Sempronii. Anche lungo il secondo cardine visibile, che interseca a ovest questa strada, recenti scavi hanno messo in luce altre strutture, ora in parte coperte in attesa di restauro, e la cui natura potrà essere definita e compresa solo dopo un accurato studio dei dati archeologici acquisiti. Il grande complesso termale nella parte meridionale della città, in prossimità della scarpata incisa dal Metauro, è stato messo in luce fra il 1974 e il 1982 un secondo grande complesso termale che forse, almeno per un certo periodo, è stato destinato ad un uso prevalentemente femminile. Le strutture sono ora protette da una tettoia e la visita si effettua percorrendo una passerella che attraversa gli ambienti principali. All’inizio del percorso un grande pannello illustra la planimetria dell’edificio. Si tratta di un complesso articolato in oltre venti ambienti disposti intorno a un cortile centrale. Costruito nel I se colo a.C. la sua frequentazione si protrasse, con sicuri cambiamenti d’uso nella fase più tarda, fino agli inizi del V secolo, quando venne definitivamente abbandonato come dimostra anche la scoperta di due tombe terragne scavate nei pavimenti di due ambienti. Molti vani conservano resti del sistema di riscaldamento a ipocausto e altrettanto evidenti sono le strutture (canalizzazioni e vasche) funzionali all’ampio uso di acqua che si aveva in questi edifici. Il cortile centrale ripartisce il complesso in settori distinti: a ovest si ha una zona con netta prevalenza di ambienti dotati di suspensurae pavimentali e intercapedini parietali, che costituivano il settore termale in senso stretto, mentre intorno ai lati nord ed est del cortile si dispongono stanze prive di impianto di riscaldamento e, quindi, con diversa destinazione d’uso. Nell’ala occidentale l’ambiente maggiormente rappresentativo è costituito dalla grande sala absidata con pavimentazione in mosaico bianco definito da una doppia cornice in tessere rosse e nere. Forse si tratta del frigidarium, a fianco del quale si dispongono gli altri vani con funzioni specifiche che davano vita al tipico percorso termale articolato nella canonica sequenza frigidarium-tepidariumcalidarium. Questi ultimi due vani, che potevano essere presenti anche in numero doppio, non sono stati identificati con precisione ma è logico localizzarli negli ambienti più grandi fra quelli riscaldati con il sistema a ipocausto. Nei muri perimetrali di alcuni di questi sono evidenti le aperture che consentivano l’immissione dell’aria calda dai forni retrostanti. Da notare che in questi vani il paramento murario esterno è in blocchetti di pietra calcarea locale, mentre quello interno è in laterizio, un materiale più resistente al calore e più isolante. Il complesso era dotato di alcune vasche, tra cui una di discrete dimensioni (m 4,40×2,70), con fondo in mosaico a tessere bianche e pareti rivestite da lastre (crustae) in marmo applicate su un doppio strato di cocciopesto che aveva funzione impermeabilizzante. Da sud a nord l’edificio era attraversato da una fognatura centrale che raccoglieva le acque utilizzate nelle vasche e gli scarichi delle latrine per riversarli nel vicino Metauro. Le mura anche se ne sono rimaste labili tracce è opinione condivisa che la città fosse dotata di una cinta muraria. Su base epigrafica è certa l’esistenza di una Porta Gallica, che probabilmente si apriva nella parte orientale della supposta cortina per consentire il passaggio della Flaminia, ma di cui non si ha ancora testimonianza archeologica. Un tratto di mura urbiche, lungo m 14,70 e largo 3, con annessa torre circolare (diametro m 9,40), si conserva sotto lo stabilimento ex-CIA. Si tratta di una struttura costruita con numeroso materiale di spoglio, qui reimpiegato evidentemente in occasione di una improvvisa e urgente necessità di rafforzare le difese a protezione dell’area urbana. Giustamente si è proposto di attribuire questi resti a un intervento di restauro e ristrutturazione della cinta muraria al tempo della guerra greco-gotica, a testimonianza dell’importanza assunta dalla città nell’assetto difensivo bizantino per la sua collocazione lungo la via Flaminia e in prossimità del castrum di Petra Pertusa. Altri edifici pubblici sempre da iscrizioni, ma al momento prive di riscontro archeologico, sappiamo che la città aveva anche altri monumenti pubblici. Oltre al già ricordato templum (tempio) fatto costruire in onore della Madre degli dei, altre epigrafi ricordano la presenza di un porticato ormai consunto dal tempo e di un giardino porticato per il pubblico passeggio (xystus). Sappiamo poi che nel 1660 in un’area non più localizzabile con precisione, ma posta alla distanza di dodici piedi dall’attuale Strada Statale 3 Flaminia, sono stati messi in luce i resti di un edificio con una iscrizione in onore di un imperatore identificato dal Bormann in Ottaviano Augusto. Stando alla descrizione fattane al tempo della scoperta e ripresa dal Vernarecci, l’edificio era suddiviso in tre navate e aveva una tribuna di forma sferica “larga 10 piedi con 5 di profondità”. L’intero complesso aveva “un pavimento superbo di 33 piedi” formato da marmi policromi e alabastri che in parte sarebbero stati asportati per rivestire le pareti della Chiesa di San Filippo in Fossombrone. La tradizionale ipotesi che possa trattarsi di un tempio dedicato ad Augusto, seppur accettata anche in tempi recenti, non è condivisa da tutti. Antonella Trevisiol, ad esempio, basandosi sull’esame dei disegni e delle descrizioni riportate nei manoscritti, propone di vedervi una basilica civile con annesso un tribunal e interpreta l’iscrizione dedicata ad Augusto come la celebrazione di colui che promosse la costruzione del complesso. La visita all’area archeologica, che é illustrata da pannelli esplicativi, ha inizio dall’area della Chiesa di San Martino, di origine plebana e le cui attuali linee architettoniche risalgono al XVIII secolo. L’ingresso è posto sulla destra della chiesa dove vi è anche il parcheggio per le auto. I resti visibili si trovano a sud dell’attuale Strada Statale 3 Flaminia, anche se la città si estendeva pure a nord di questa. A fianco della chiesa si possono notare un dolio, un grande contenitore per liquidi o derrate alimentari che in genere veniva interrato per oltre la metà della sua altezza, e alcuni elementi architettonici in pietra: si tratta di materiale recuperato dall’area urbana nel corso di vecchi scavi. Sempre nel VI secolo abbiamo attestata una basilica dedicata ai Santi Ippolito, Lorenzo e Sisto di cui però non è rimasta traccia; il ritrovamento di alcuni materiali lapidei databili intorno alla fine dell’VIII secolo, insieme alla persistenza della via urbana che conduceva all’edificio di culto e che, che con ogni probabilità costituiva il kardo maximus della città, portano a collocarla nel luogo dove oggi sorge la Chiesa di San Martino del Piano. Si ritiene che ancora nell’VIII secolo la sede vescovile si trovasse nell’area della città romana, per il resto ormai abbandonata, dato che la popolazione si era spostata nel nuovo abitato d’altura. Si è già avuto modo di dire che la strada consolare Flaminia ha avuto un ruolo fondamentale nella nascita della città e che ne è l’asse generatore dell’impianto urbanistico, costituendone il decumanus maximus. La Strada Statale 3 ricalca sostanzialmente il tracciato della consolare alla quale si sovrappone in parte: poco oltre la Chiesa di San Martino, in direzione est, proprio sulla destra dell’attuale strada, è stato messo in luce un tratto del basolato della Flaminia romana. Gli scavi hanno poi consentito di riportare alla luce anche altri tratti di strade basolate e precisamente di un decumano parallelo alla Flaminia e di due kardines, cioè di assi stradali orientati sostanzialmente in senso nord-sud e intersecantisi con questo decumano in modo ortogonale. Questi resti del tessuto viario consentono di ricostruire, seppur in modo ipotetico, l’assetto urbanistico. Nel complesso Forum Sempronii aveva una estensione di circa 24 ettari ed era articolata in isolati (insulae) di forma rettangolare con asse maggiore in senso est-ovest, la cui estensione era di m 105×70, vale a dire 3×2 actus secondo le misure romane. L’area del foro L’area del foro, cioè della piazza pubblica presso la quale si intersecavano i due assi viari principali (il decumanus maximus e il kardo maximus), non è ancora stata identificata, anche se non si esclude che essa possa trovarsi dove ora sorge la Chiesa di San Martino. Sono invece stati messi in luce importanti resti di edifici privati e pubblici, oltre ai già ricordati tratti di lastricato stradale nel quale è impiegata pietra calcarea del vicino Furlo. Proprio dietro la Chiesa di San Martino, subito a est del tratto di kardo ora percorribile, tra il 1879 e il 1881 è stata individuata, ma poi ricoperta, parte di una domus con atrio corinzio, e con pregevoli mosaici pavimentali, tra cui quello che al centro ritrae Europa seduta su un toro in corsa (che non è altro che Giove). Nel 1926 il mosaico venne di nuovo scoperto per essere asportato e trasferito al Museo Nazionale di Ancona dove tuttora si trova. Percorrendo verso ovest il decumanus, in direzione dell’altro cardine urbano messo in luce, si possono osservare altre interessanti strutture. A sinistra la strada è fiancheggiata da una fogna coperta da grosse lastre di pietra locale. Sul lato opposto si trovano otto grandi basi, anch’esse in pietra e interpretate come appoggio dei pilastri di un portico o basi per statue di personaggi di alto rango se non di divinità. Proseguendo, sulla destra si notano i resti di un edificio termale, la cui funzione è provata dalla presenza di pilae, le piccole colonne costituite da mattoni circolari o quadrati e destinate a sostenere un soprastante piano pavimetale ora non più conservato. È questo il sistema di riscaldamento noto come “ipocausto”, basato sulla circolazione di aria calda nelle intercapedini sottopavimentali, al quale spesso si affiancava anche una circolazione parietali tramite la messa in opera di tubuli, e tipico dei complessi termali sia pubblici che privati. Naturalmente è necessario attendere che gli scavi riportino alla luce l’intero complesso, di cui ora è nota solo una minima parte posta in fregio alla strada, ma appare condivisibile l’ipotesi che possa trattarsi delle terme maggiori di Forum Sempronii. Anche lungo il secondo cardine visibile, che interseca a ovest questa strada, recenti scavi hanno messo in luce altre strutture, ora in parte coperte in attesa di restauro, e la cui natura potrà essere definita e compresa solo dopo un accurato studio dei dati archeologici acquisiti. Il grande complesso termale nella parte meridionale della città, in prossimità della scarpata incisa dal Metauro, è stato messo in luce fra il 1974 e il 1982 un secondo grande complesso termale che forse, almeno per un certo periodo, è stato destinato ad un uso prevalentemente femminile. Le strutture sono ora protette da una tettoia e la visita si effettua percorrendo una passerella che attraversa gli ambienti principali. All’inizio del percorso un grande pannello illustra la planimetria dell’edificio. Si tratta di un complesso articolato in oltre venti ambienti disposti intorno a un cortile centrale (ambiente 9). Costruito nel I se colo a.C. la sua frequentazione si protrasse, con sicuri cambiamenti d’uso nella fase più tarda, fino agli inizi del V secolo, quando venne definitivamente abbandonato come dimostra anche la scoperta di due tombe terragne scavate nei pavimenti di due ambienti. Molti vani conservano resti del sistema di riscaldamento a ipocausto e altrettanto evidenti sono le strutture (canalizzazioni e vasche) funzionali all’ampio uso di acqua che si aveva in questi edifici. Il cortile centrale (9) ripartisce il complesso in settori distinti: a ovest si ha una zona con netta prevalenza di ambienti dotati di suspensurae pavimentali e intercapedini parietali (vani 1-7, 10-14), che costituivano il settore termale in senso stretto, mentre intorno ai lati nord ed est del cortile si dispongono stanze prive di impianto di riscaldamento e, quindi, con diversa destinazione d’uso. Nell’ala occidentale l’ambiente maggiormente rappresentativo è costituito dalla grande sala absidata (3) con pavimentazione in mosaico bianco definito da una doppia cornice in tessere rosse e nere. Forse si tratta del frigidarium, a fianco del quale si dispongono gli altri vani con funzioni specifiche che davano vita al tipico percorso termale articolato nella canonica sequenza frigidarium-tepidariumcalidarium. Questi ultimi due vani, che potevano essere presenti anche in numero doppio, non sono stati identificati con precisione ma è logico localizzarli negli ambienti più grandi (2, 5-7) fra quelli riscaldati con il sistema a ipocausto. Nei muri perimetrali di alcuni di questi sono evidenti le aperture che consentivano l’immissione dell’aria calda dai forni retrostanti. Da notare che in questi vani il paramento murario esterno è in blocchetti di pietra calcarea locale, mentre quello interno è in laterizio, un materiale più resistente al calore e più isolante. Il complesso era dotato di alcune vasche, tra cui una di discrete dimensioni (m 4,40×2,70, ambiente 19), con fondo in mosaico a tessere bianche e pareti rivestite da lastre (crustae) in marmo applicate su un doppio strato di cocciopesto che aveva funzione impermeabilizzante. Da sud a nord l’edificio era attraversato da una fognatura centrale che raccoglieva le acque utilizzate nelle vasche e gli scarichi delle latrine per riversarli nel vicino Metauro. Le mura anche se ne sono rimaste labili tracce è opinione condivisa che la città fosse dotata di una cinta muraria. Su base epigrafica è certa l’esistenza di una Porta Gallica, che probabilmente si apriva nella parte orientale della supposta cortina per consentire il passaggio della Flaminia, ma di cui non si ha ancora testimonianza archeologica. Un tratto di mura urbiche, lungo m 14,70 e largo 3, con annessa torre circolare (diametro m 9,40), si conserva sotto lo stabilimento ex-CIA. Si tratta di una struttura costruita con numeroso materiale di spoglio, qui reimpiegato evidentemente in occasione di una improvvisa e urgente necessità di rafforzare le difese a protezione dell’area urbana. Giustamente si è proposto di attribuire questi resti a un intervento di restauro e ristrutturazione della cinta muraria al tempo della guerra greco-gotica, a testimonianza dell’importanza assunta dalla città nell’assetto difensivo bizantino per la sua collocazione lungo la via Flaminia e in prossimità del castrum di Petra Pertusa. Altri edifici pubblici Sempre da iscrizioni, ma al momento prive di riscontro archeologico, sappiamo che la città aveva anche altri monumenti pubblici. Oltre al già ricordato templum (tempio) fatto costruire in onore della Madre degli dei, altre epigrafi ricordano la presenza di un porticato ormai consunto dal tempo e di un giardino porticato per il pubblico passeggio (xystus). Sappiamo poi che nel 1660 in un’area non più localizzabile con precisione, ma posta alla distanza di dodici piedi dall’attuale Strada Statale 3 Flaminia, sono stati messi in luce i resti di un edificio con una iscrizione in onore di un imperatore identificato dal Bormann in Ottaviano Augusto. Stando alla descrizione fattane al tempo della scoperta e ripresa dal Vernarecci, l’edificio era suddiviso in tre navate e aveva una tribuna di forma sferica “larga 10 piedi con 5 di profondità”. L’intero complesso aveva “un pavimento superbo di 33 piedi” formato da marmi policromi e alabastri che in parte sarebbero stati asportati per rivestire le pareti della Chiesa di San Filippo in Fossombrone. La tradizionale ipotesi che possa trattarsi di un tempio dedicato ad Augusto, seppur accettata anche in tempi recenti, non è condivisa da tutti. Antonella Trevisiol, ad esempio, basandosi sull’esame dei disegni e delle descrizioni riportate nei manoscritti, propone di vedervi una basilica civile con annesso un tribunal e interpreta l’iscrizione dedicata ad Augusto come la celebrazione di colui che promosse la costruzione del complesso.

 

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