Chiesa di Sant’Eufemia – Spoleto

La chiesa è stata un monastero benedettino femminile fino all’anno 1017 per essere poi destinato ad altro fine.

 

Cenni Storici

Un gioiello di chiesa, situata all’interno del cortile della residenza arcivescovile e che ispira un profondo senso di raccoglimento, affascinandoci con la sobrietà e purezza dello stile romanico.
Antiche fonti storiche attestano che verso il secolo X, nei pressi del Palazzo Ducale, esisteva già una Chiesa di Sant’Eufemia, quando Spoleto era ancora capitale di un potente ducato.
Vi fu aggiunto allora un monastero di monache benedettine fondato dall’abatessa Gunderada, di probabili origini germaniche.
Fu lei, intorno all’anno 980 ad operare la traslazione del corpo del vescovo spoletino Giovanni, ucciso dai Goti nel VI secolo, nella chiesa di Sant’Eufemia.
Secondo la leggenda Gunderada, al tempo di Ottone II (967-983), insieme ad alcune consorelle e a un sacerdote, di notte, si recò in aperta campagna laddove meravigliose luci notturne, da tempo, indicavano la santità del luogo e, scoperta la tomba del martire Giovanni, vescovo di Spoleto, ne trasferì il corpo al proprio cenobio dove, a motivo delle numerose guarigioni, divenne meta di pellegrinaggi finché, in breve tempo quel santo vescovo entrò nel novero dei patroni principali della città e la chiesa fu a lui dedicata.
La stessa Gunderada chiese al monaco benedettino Giovanni Cassinese di scrivere la vita di San Giovanni, Arcivescovo di Spoleto, è questo il primo documento ufficiale in cui è attestata l’esistenza della comunità di monache benedettine.
L’imperatore Enrico II cedette poi il monastero al conte Acodo, nel 1017, causandone il cambiamento di destinazione.
Nel periodo in cui la Cattedrale subì i lavori di ampliamento, verso la fine del secolo XII, i vescovi abbandonarono la primitiva residenza, che era allora dietro il Duomo, per trasferirsi qui, costruendo il loro palazzo residenziale intorno all’area della già nota chiesa, che fu allora integrata architettonicamente con elementi lombardi.
Nel 1446, Marco Condulmer fratello di papa Eugenio IV, che lo aveva chiamato ad amministrare la diocesi, modifica il nome della chiesa, dedicandola a Santa Lucia.
Il piccolo tempio cadde poi in decadenza nei secoli seguenti, subendo infelici rifacimenti, che ne sfigurarono la fisionomia.
Nei secoli seguenti, in particolare dal 1500 in poi, la chiesa subì deleteri rifacimenti che sfigurarono l’edificio: fu diviso in due piani, il piano terra rimase riservato al culto, mentre il piano superiore, suddiviso in diversi ambienti, fu annesso al palazzo vescovile; la facciata fu intonacata e l’originario piccolo campanile a vela con un solo fornice, abbattuto.
Grazie all’intervento dell’archeologo spoletino Giuseppe Sordini, che nel 1907 ne iniziò il restauro conclusosi nel 1954 da parte della Soprintendenza Umbra, oggi Spoleto può offrire uno dei più conservati ed originali gioielli d’arte romanica di ispirazione lombarda.
Essendo l’edificio da tempo sconsacrato, l’Arcidiocesi spesso lo cede per particolari eventi liturgici, artistici e culturali, quali concerti e mostre di carattere sacro.
Notevoli i concerti dell'”Ora Mistica” che si svolgono durante il Festival.
Recentemente è assurta a nuova e incongrua celebrità come chiesa di Don Matteo, teatro della popolare fiction.
 

Aspetto esterno

La sua veste attuale artistico-architettonica risale alla prima metà del XII secolo, quando a Spoleto già fioriva una scuola di maestri scalpellini, che sentirono l’influenza dei colleghi lombardi, in particolare dei maestri comacini.
La semplice facciata è rivestita di chiari conci e decorata da sobrie arcate romaniche del periodo arcaico, recentemente restaurate.
Al centro è un bel portale ad archi rincassati, sopra le monoforine e la bifora, di restauro.
Il campanile è un’incongrua aggiunta recente.
Anticamente, come si apprende osservando un affresco conservato nella vecchia cancelleria e realizzato al tempo del vescovo Galardo (circa 1374-83), ai lati del portale erano affrescati San Giovanni e Sant’Eufemia.
Il paramento murario è in conci ben connessi, tipico del primo romanico Spoletino, ma caratteristica di questa chiesa è la sigillatura in stucco.
 

Interno

L’interno è diviso in tre navate.
Alte semicolonne, al centro, sostengono gli archi della volta, slanciando la navata centrale, l’elevazione verso l’alto è di evidente gusto lombardo.
Il ristretto spazio è scandito da colonne e pilastri.
Sono tutti elementi di spoglio che appartenevano ad edifici classici ed altomedievali, reperiti un po’ ovunque e riposti in opera fra l’XI e il XII secolo.
È l’unica chiesa in Umbria a possedere alti matronei, di gusto lombardo, simili a gallerie, un tempo riservate alle sole religiose, probabilmente v’erano anche nella precedente costruzione e ciò avvalora l’ipotesi che sia nata come cappella di palazzo.
Un nartece interno, una volta dedicato ai catecumeni, precede la navata centrale.
Si trova sulla prima campata e comunica con i due matronei mediante una stretta scala interna.
Lo schema interno è paragonabile al Sant’Ambrogio a Milano, al San Michele a Pavia, al Duomo di Modena e a quello di Parma, ma il raffronto più preciso è con la chiesa, già documentata nel 1110, di San Lorenzo a Verona, tanto da far ritenere che qualche maestranza veronese fosse giunta a Spoleto in tempi successivi alla sua costruzione; pertanto la data di edificazione di Sant’Eufemia sarebbe da ricercare dopo il 1110, nel XII secolo.
Al centro del presbiterio trova posto un antico altare marmoreo proveniente dalla Cattedrale.
Uno stupendo paliotto ne arricchisce la parte frontale con decorazioni musive cosmatesche e i Simboli dei Quattro Evangelisti e l’Agnus Dei, entro cerchiati rilievi di pregevolissima fattura.
L’antico altare è andato perduto durante la fase di restauro, v’era la scritta funebre di un certo Magnoldus.
In luogo dell’originaria pala d’altare è ora posta una Dormitio Virginis, di provenienza e datazione sconosciuta.
L’abside, rimasta spoglia dell’affresco che la decorava nel 1558, conserva solo un’immagine dell’Eterno fra cherubini risalente ai primi del secolo XVI.
Nella navata di destra, fra la seconda e la terza campata, è usato come sostegno al posto di una colonna un pilastro sontuosamente decorato su tre lati.
Appartiene alla fine dell’VIII o ai primi del IX secolo e proviene forse da una recinzione di un edificio di epoca altomedievale.
Sulla colonna successiva c’è l’affresco di Santa Lucia, da cui per molto tempo la chiesa ha preso il nome, c’è la data, ora non più leggibile, 1455.
Sul successivo pilastro è affrescata una Vergine Martire, opera attribuita a Bartolomeo da Miranda.
Il trittico che ornava l’altare maggiore è ora stato trasferito al Museo Diocesano, raffigura San Giovanni Vescovo, la Madonna e Santa Lucia; nella predella scene della vita di Santa Lucia, tra cui la raffigurazione della vergine che, per essere trascinata in un postribolo, è avvinta a due pariglie di buoi che non riescono a smuoverla.
La pala d’altare è stata commissionata dal veneziano Marco Condulmer, Patriarca d’Alessandria, nel 1450, dopo che aveva dedicato la chiesa a Santa Lucia, è usualmente attribuita a Bartolomeo da Miranda, ma Filippo Todini ne contesta l’attribuzione, assegnandone l’esecuzione ad un artista anonimo, convenzionalmente denominato Maestro del Trittico di Sant’Eufemia.
 

Fonti documentative

GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria – Manuali per il territorio – Spoleto – Edindustria Roma, 1978
SANSI A., Degli edifici e dei frammenti storici, Accademia Spoletina, Spoleto, 1869
SANSI A., Storia del Comune di Spoleto, Accademia Spoletina, Spoleto, 1876

https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_Sant%27Eufemia_(Spoleto)

 

Nota

La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
 

Mappa

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