Eremo di Sant’Ambrogio – Gubbio (PG)


 

Ambiente geografico

Sul versante est del Monte Foce, di fronte al Monte Ingino, sorge Il monastero di Sant’Ambrogio; Il romitorio, uno degli edifici più suggestivi del territorio, posto tra balze rocciose, poggia su pareti quasi perpendicolari alla strada che si incastra nella strettissima “Gola del Bottaccione“, una profonda voragine tra i due monti citati, salita agli onori della cronaca mondiale quando nel 1977 il prof. Walter Alvarez, Premio Nobel, geologo dell’Università di Berkeley, con un gruppo di ricercatori, tra i vari strati geologici ne notò uno di argilla ricco di iridio, un minerale di origine meteoritica. Da queste osservazioni è derivata l’ipotesi che spiegherebbe l’estinzione contemporanea dei dinosauri sulla terra, avvenuta circa 60 milioni di anni fa.
La stessa gola inoltre fu sfruttata nel medioevo per un sistema di sbarramento delle acque del torrente Carmignano con le quali si riforniva l’acquedotto cittadino.
Il monastero è altresì inserito in una zona archeologica interessantissima; è vicino ad una “Cittadella Preistorica “, rilevata per la prima volta dal Can. Vittorio Pagliari {1846-1923), consistente in terrazzamenti addossati alle pareti rocciose, protetti da imponenti “mura ciclopiche“, aventi una lunghezza di circa 50 metri e un’altezza di 5 metri, costituite da pietre giganti dalle dimensioni di 3 metri x 2 testimoni di un insediamento della civiltà paleolitica.
 

Cenni storici

Le notizie storiche del romitorio risalgono all’anno 1331, anno in cui fu edificato o restaurato e il Vescovo Eugubino, Pietro Gabrielli, che lo eresse in priorato dopo avervi radunato tutti gli eremiti che vivevano sparsi nelle vicinanze di Gubbio senza una regola precisa; successivamente nel 1342 lo stesso Vescovo diede agli eremiti la Regola di Sant’ Agostino elevando detto priorato in Monastero.
Nel 1419 con Bolla di Papa Martino V il monastero di Sant’Ambrogio venne unificato a quello di San Salvatore di Bologna e vi si trasferirono i Canonici Regolari, ai quali successivamente si unirono nel 1430 quelli di Santa Maria al Reno detti i Renani.
Fu questo il periodo più attivo del monastero, soprattutto per la presenza del Beato Stefano Agazzari {1339?-1422), uno dei discepoli di Santa Caterina da Siena. Nel 1445 Papa Callisto III unisce la canonica di San Secondo a Sant’Ambrogio e da questo prese il nome.
La notorietà del cenobio, delle sue regole severe, della sua particolare ubicazione quasi inaccessibile, dove dominano solitudine e silenzio, indusse anche il Beato Arcangelo Canetoli (1460?-1513) a trovare il suo ideale rifugio nell’eremo di Sant’Ambrogio.
Durante la sua presenza il monastero fu meta ininterrotta di una grande moltitudine di fedeli, attratti dalla fama di santità di quell’uomo.
Il suo corpo incorrotto riposa nella chiesa del monastero, insieme a quello del Beato Francesco Nanni.
Il 22 maggio 1760 le spoglie del Beato vennero collocate sotto il nuovo altare maggiore, realizzato in marmi pregiati e policromi dove ancora si trova.
Nella stanza, che la tradizione popolare indicava come quella abitata dal Beato, venivano conservati alcuni oggetti quasi sicuramente autentici: due nude tavole poggiate su sgabelli, utilizzate come letto, e una sedia alta, rozza, con braccioli e spalliera per leggere; sino all’ultima soppressione vi era anche la piccola tazza del Beato, ritenuta opera di Mastro Giorgio.
Nella stessa Chiesa riposano anche i resti mortali del Vescovo Agostino Steuco , filosofo eugubino del ‘500.
Durante il 1900 l’eremo andò in progressivo abbandono, ma grazie all’azione svolta dal Comitato per la valorizzazione della Gola del Bottaccione è stato possibile effettuare una grande opera di restauro conclusasi nel 2000, su progetto dell’Architetto Francesco Riccardini e dell’Ingegnere Giancarlo Signoretti ed esecuzione dei lavori da parte della “Cooperativa Edile Eugubina”.
 

Architettura

Il monastero si distribuisce su tre piani: i sotterranei caratterizzati da grotte, dove non si può escludere che vi si sia svolta una forma primitiva di vita umana; il piano terra, riservato alla vita diurna della comunità monastica: la Chiesa (prima trecentesca, modificata in tutto l’impianto nel ‘600), l’ingresso del monastero, la cucina, il refettorio; il primo piano dove è ubicata la cella del Beato Arcangelo, il dormitorio ed altri locali; il secondo piano costituito da soffitti.
Interessante è la grotta-cappella dove il beato Arcangelo era solito pregare davanti all’immagine della Madonna con il Bambino: un piccolo affresco (0,70xO,80) di Ottaviano Nelli, trasportato su tela nel 1904 da Domenico Brizzi, oggi conservato nella canonica di San Secondo.
Gli elementi architettonici di particolare significato si riferiscono al periodo medievale: finestre a tutto sesto con blocco monolito, tipico delle costruzioni benedettine della zona, finestrelle trilobate, finestre a sesto acuto.
Di sicuro interesse è l’impianto per la raccolta di acqua piovana, che, con un sistema di filtri, veniva resa potabile.
Chiesa
Nella Chiesa, trasformata dalla originale pianta rettangolare di una navata ad una pianta a -T -, si possono ammirare due tele: sull’altare maggiore un opera di Annibale Beni (1764-1845), raffigurante il Beato Arcangelo in preghiera e sull’altare laterale a sinistra la pregevole pala raffigurante il Battesimo di Sant’Agostino, datata e firmata 1550 di Benedetto Nucci (1515-post 1596). Quest’ultima trafugata la notte del 1 0.04.1984, è stata recuperata dal nucleo operativo dei Carabinieri di Ancona in un negozio di antiquariato.
Il trauma subìto ha causato al dipinto un notevole degrado, recuperato con un abile ed apprezzato restauro eseguito dagli operatori dell’lkuvium R.C. di Gubbio negli anni 1990-1991. Attualmente l’opera è custodita nella Canonica di San Secondo in attesa del ripristino definitivo della chiesa.
Nella sacrestia si può ancora ammirare un pregevole affresco attribuito a Guido Palmerucci che risale alla primitiva struttura trecentesca della chiesa.
La preziosità dell’intero complesso architettonico, il significato ideale che essa ha per il popolo tutto, ne fanno un monumento della civiltà eugubina di alto valore; opportunamente recuperato dal recente restauro, potrà di nuovo diventare un centro di spiritualità restituendo al luogo la giusta continuità per vicende storiche e religiose.
 

Graffiti misteriosi e culto della Maddalena

All’ingresso dell’eremo, su un gradino, sono impressi dei simboli graffiti consistenti in una sorta di ferro di cavallo rovesciato, una specie di omega, contenente una croce, gli stessi simboli sono stati trovati a Saint Maximin-la-Sainte Baume in Provenza nella parete d’ingresso della cripta della Maddalena.
Inoltre poco distante dai gradini, sulla parete esterna, troviamo una lapide tombale, forse di un antico ossario, sormontata da un teschio e tibie decussate, mancante della mascella dove si legge: “SANCTA ET SALUBRIS EST COGITATIO PRO DEFUNCTIS EXORARE UT A PECCATIS SOLVANTUR – II MACH XII“.
Va fatto notare che, quando nel 1279 a Saint Maximin-la-Sainte Baume fu scoperta, per opera di Carlo II d’Angiò, la tomba contenente il corpo della Maddalena, il capo mancava proprio della mascella.
Il sarcofago venne aperto alla presenza dei vescovi di Arles e di Aix e fu redatto un verbale di cui riportiamo un passo: “Quando si scoperchia la tomba, un soave sentore di profumi si diffonde, come si fosse aperto un intero magazzino di essenze aromatiche La lingua, tra le ossa aride del capo, e malgrado l’assenza dell’osso mascellare inferiore, appare incorrotta, disseccata ma inerente al palato, e da essa esce un ramo di finocchio verdeggiante“.
Pare che la mascella fu trovata fra le reliquie custodite in San Giovanni in Laterano.
Il mito della Maddalena o della Madonna Nera dei Templari pare condurre a Gubbio, che oltre a queste custodisce altre numerose tracce di misteri non svelati ma che hanno interessato studiosi di varie epoche a perlustrare il territorio e le montagne eugubine alla ricerca della verità.
Non ultimo il rinvenimento sul monte Ingino delle sette “Tavole Iguvinae” che riverbera gli echi solenni di antichi idiomi germanici e una scritta vicino ad una grotta sempre sullo stesso monte che fa supporre ad un mito di una divinità femminile dalle ambigue valenze.
Il mistero continua.
 

Fonti

www.sansecondo.org
www.farneti.it
gubbio.infoaltaumbria.it
 

Mappa

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