Borgo di Celle – Lerchi di Città di Castello (PG)

Il castello di Celle, insieme a molti altri (S. Giustino, Celalba, Scalocchio, Canoscio, Poggio, Ghironzo), costituiva uno dei baluardi difensivi esterni contro le mire espansionistiche delle potenti famiglie confinanti (Marchesi di Civitella, di Petriolo e di Monte S. Maria, di Brancaleoni, Ubaldini e Tarlati), nonché dalle pretese di Perugini, Aretini e Fiorentini.

 

Cenni storici

Celle è una frazione di Città di Castello che sorge su una collinetta con vista sulla valle del Tevere e proprio per la sua posizione fortemente strategica nel punto situato a confine fra il territorio di Città di Castello e il Marchesato del Monte Santa Maria Tiberina, visse la sua storia di guerre e devastazioni.
Si può tranquillamente affermare che la struttura castrense sorse in tempi antichissimi come borgo fortificato a difesa del territorio di Città di Castello, addirittura con origini bizantine infatti la dedicazione della chiesa a Sant’Andrea arriva da un culto molto antico di origine greca, diffuso in occidente dai milites limitanei bizantini antilongobardi, che erano soliti costruire torri di difesa negli avamposti in cui si erano appena insediati, includenti una cappella, spesso dedicata proprio a Sant’Andrea Apostolo, loro santo protettore e fondatore della chiesa di Costantinopoli.
Sappiamo che Città di Castello era un insediamento bizantino, fino a che i Longobardi non se ne sono impossessati; per di più il culto di Sant’Andrea è il culto dei pescatori, dei barcaioli e in genere si trova in rapporto con le acque delle fonti dei torrenti, dei fiumi e dei laghi.
E mai posto fu più appropriato di questo per la presenza del Tevere navigabile, dei numerosi affluenti che convogliavano in questa valle e per la presenza di guadi con barche e presenza di acquitrini.
Successivamente con l’avanzata longobarda questo diventò un loro avamposto per pressare Città di Castello ancora in mano bizantina; questo come Citerna e Monterchi divenne una punta avanzata della Langobardia nell’erosione dei residui domini bizantini centro-adriatici.
Sicuramente però la sua storia è sicuramente antecedente a questo periodo, infatti secondo Giovanni Magherini Graziani, il nome Celle risalirebbe all’epoca romana, ai tempi di Silla e il nome deriverebbe dal latino “cella” col significato di “luogo di raccolta dell’annona militare“, o “deposito di frutti campestri“.
Starebbe ad indicare quindi un magazzino di prodotti alimentari per uso soprattutto delle truppe, o la presenza di cavità naturali o artificiali adibite a questo scopo; la presenza romana è attestata dal ritrovamento di tombe di quell’epoca.
Il più antico documento che cita Celle risale al 1145 dove è nominato in una bolla di papa Eugenio III riportata dagli Annali Camaldolesi, inoltre, è nominato in un diploma di Filippo Duca al priore Daniele del 1196, conservato nell’Archivio Capitolare di Città di Castello.
Nel 1264 Celle contava 22 fuochi ossia 22 famiglie e per la sua posizione strategica, era molto ambito e passava da un dominatore all’altro.
Nel 1276 vide la conquista dei Tarlati di Pietramala e gli abitanti presentarono una petizione ai magistrati tifernati “quod per eosdem tirannos et eorum familiares depredati fuerunt“; solo nel 1335 furono cacciati i Tarlati e il castello fu ripreso da Città di Castello; il 29 novembre 1338 i Tarlati di Pietramala, attraverso i fiorentini, fecero un compromesso con la città, che si impegnava a non molestare Celle e Citerna.
Tornato in possesso della città fu dotato di balestrieri ed altri soldati per la difesa, inoltre i tifernati presero in prestito dai francescani di Buonriposo una campana, per dare l’allarme al castello di Celle in caso di bisogno.
Ebbe un Sindaco, dal quale dipendevano pure Torre e Patrignone.
Il 14/2/1369 Celle fu concessa in feudo da papa Urbano V a Brancaleone Guelfucci, che aveva liberato Città di Castello dai ghibellini.
Quando il Guelfucci cadde prigioniero nelle mani del conte di Urbino (febbraio 1376), Celle fu riconquistata da Città di Castello; liberato il Guelfucci nel luglio 1378, questi rioccupò il suo feudo tentando di impadronirsi di altri castelli attorno, per ingrandire il suo dominio.
Nel giugno 1388 truppe del Malatesta da Rimini, non avendo potuto prendere i fortilizi di San Giustino e Lama, si avventarono su Celle, bruciando intorno case e lasciando tutto in desolazione.
Celle passò anche per le mani di Braccio da Montone che lo tenne, dopo la sua morte, il figlio Niccolò fino a che, in seguito alla morte di questo nel 1435, papa Eugenio IV, nel far pace con Città di Castello, mise espressamente fra le condizioni richieste la riconquista del castello di Celle, tenuto dai Fortebracci.
Si ottenne allora la resa di Celle dal luogotenente Giacomo Riva, in cambio di una casa, cento fiorini, la cittadinanza e l’immunità.
Oltre a ciò, il Riva pretese che si desse a suo figlio l’abbazia di Santa Maria del Vingone e al conestabile lo stipendio per cinquanta soldati e quattro cavalli.
Il castello di Celle fu, poco dopo, ridotto ad un rudere, affinché non costituisse più un pericolo per la città.
Non molto tempo dopo, Niccolò Piccinino, per conto del conte Carlo Fortebracci, spedì suo figlio Francesco per riconquistare le terre che avevano perso i Fortebracci, e Celle fu ripreso.
Nel 1439 le truppe pontificie, guidate da Paolo Lomellana e Antonello Serra, riconquistarono per qualche tempo Celle, che in breve fu di nuovo perso.
Nel giugno 1482 Niccolò Vitelli riuscì a strappare Città di Castello al dominio papale, cercando subito di
occupare anche Celle e Citerna, in quanto località fortificate essenziali alla difesa della città; poco dopo il Vitelli fu scomunicato da papa Sisto IV.
Infuriò la guerra (1483) nella quale i fiorentini sostennero i Vitelli.
Nel 1642, durante la guerra Barberina, i tifernati, equipaggiati di fanteria e cavalleria, di dieci cannoni e di numerosi carri trainati da venti paia di bufale e cento paia di buoi, ripresero Celle e Citerna, catturando fra Celle e San Giustino trecento fiorentini.
A Celle era stata posta la base per rifornire Citerna, assediata da tutte le parti; il governatore di Città di Castello, mons. Spinola, da Celle osservò le operazioni di guerra usando per la prima volta un cannocchiale.
Allentatasi un po’ la difesa di Celle, il castello fu occupato di nuovo dai fiorentini, ma dopo soli ventidue giorni fu ripreso dal generale Pallavicina per conto del papa.
Nel 1644 Sebastiano Pellico, inviato da papa Urbano VIII, si impadronì di Celle e ne smantellò le mura.
Nel 1832 Celle divenne marchesato, per una curiosa vicenda, infatti mentre papa Gregorio XVI, passava in carrozza non si sa di preciso dove, la folla festante fece imbizzarrire i cavalli, che furono fermati solo con l’intervento di Giovanni Battista Pasqui, un nobile di Urbisaglia che aveva diverse proprietà a Città di Castello e abitava in un palazzo di sua proprietà a Celle.
Il pontefice, scampato al pericolo, volle ricompensarlo, nominandolo marchese, da quel giorno i marchesi di
Celle assunsero come stemma un agnello pasquale in campo azzurro.
Come spesso accade, dopo un periodo di splendore, la famiglia Pasqui, si ritrovò economicamente in cattive acque, tanto da vendere molte proprietà.
Uno dei palazzi di Celle, dopo un radicale restauro, è stato trasformato da qualche anno in albergo, mentre l’altro palazzo di famiglia, all’ingresso del borgo di Celle, è stato acquistato da una famiglia britannica.
Celle non restò immune alla ferocia della seconda guerra mondiale, infatti ci furono diversi morti colpiti da schegge di granate.
 

Aspetto

Della fortezza resta appena la base di una torre diroccata;
L’abitato si concentra a ridosso di una via principale sulla quale si affaccino tutti gli edifici e che finisce in una grande piazza fornita di pozzo.
Sulla piazza si affacciano i principali edifici e la chiesa di Sant’Andrea apostolo.
Ad oggi il Borgo di Celle è stato per intero trasformato in un centro ricettivo turistico.
 

La Torre

Nei pressi del Borgo sorgeva anche la fortezza di Torre di cui si conserva ancora oggi una grande torre quadrata con aperture antiche su un lato.
Era un castello murato, fortificato e circondato da fosse e steccati, abitato da numerose famiglie.
Dipendeva dal sindaco di Celle, ma aveva una propria “universitas“, ossia gli abitanti erano organizzati in maniera indipendente.
I marchesi di Monte Santa Maria, che vi avevano possessi terrieri, cercarono di appropriarsi definitivamente anche della giurisdizione.
Fu distrutto dalle le truppe del Visconti che l’avevano occupato durante la guerra del 1425-26 ma una volta terminata tornò in possesso dei marchesi del Monte Santa Maria.
 

Simboli Templari del Borgo

In due facciate di edifici del Borgo compaiono delle pietre scolpite con evidenti simbologie Templari, fra cui una croce patente.
In un altro edificio ora adibito a reception ci sono altre due pietre con croce patente e i fiori della vita.
Si può ipotizzare che in questa fortezza sia stato presente un ordine templare o che una delle famiglie che lo ha posseduto avesse a che fare con loro.
Questo non meraviglierebbe vista la posizione strategica della fortificazione che aveva la funzione di controllo della via di accesso al Marchesato favorita dalla configurazione orografica della valle dell’Erchi, caratterizzata da una stretta gola posta al suo imbocco, che consentiva un facile controllo delle merci e dei viandanti.
Un varco obbligato per chi si percorreva la valle in direzione del Monte Santa Maria e per chi discendeva la valle in senso contrario.
La presenza di impianti fortificati in prossimità del torrente e nei punti di osservazione collocati più in alto, costituisce prova concreta dell’attività di controllo svolta durante il medioevo in questo punto strategico situato a confine fra il territorio di Città di Castello e il Marchesato del Monte Santa Maria Tiberina.
La deviazione sul percorso aretino avveniva all’altezza della confluenza del torrente Sovara con il Cerfone, dove sorgerà una delle più importanti abbazie benedettine del territorio, quella di Santa Maria del Vingone.
L’importanza della strada che proveniva da Arezzo per Città di Castello era sottolineata dalla presenza del traghetto che permetteva di attraversare il Fiume all’altezza di Santa Caterina, da dove si entrava in città dalla porta che, non a caso, era denominata “del Vingone“.
I Templari che controllavano e gestivano le vie dei pellegrini e relative mercanzie, non potevano non essere presenti in questo ambito strategico e per di più con la presenza di una importante Abbazia benedettina (del Vingone) che diventava una tappa obbligata per coloro che volevano rifocillarsi e riposare lungo il tragitto.
Infatti raggiunta l’Abbazia del Vingone si poteva procedere direttamente verso il centro della valle per dirigersi ai passi dell’Appennino, dopo aver attraversato il Tevere presso il guado detto del Vingoncello, oltre il quale di trovava l’Abbazia di San Marino di Giove, oggi conosciuta come “Centro San Giovanni” (il nome stesso induce a riflettere).
Di fatto la presenza Templare a Città di castello è accertata, infatti questo era il più importante centro della Val Tiberina; sorge all’incrocio di strade che nel Medioevo erano itinerari di pellegrinaggio: la via Tiberina, la via che proveniva dalle Marche attraverso il valico di Bocca Serriola ed altre che andavano verso l’Adriatico svalicando le alture appenniniche in punti differenti e la via che portava ad Arezzo.
I templari qui, dunque, si organizzarono “perché la quantità dei flussi richiedeva strutture e mezzi di assistenza ai pellegrini e viandanti in cammino“.
A Città di Castello si trovava pertanto la mansione di San Giacomo situata nel sobborgo di Regnaldello (vedi A. ASCANI, I cavalieri di Malta e la Commenda di Regnaldello a Città di Castello, Città di Castello 1972, p. 61) fuori porta Santa Maria presso le rive del Tevere, poi passata ai Giovanniti di cui conserva le tracce consistenti in una serie di croci di Malta agli architravi esterni delle finestre.
La mansione più comunemente veniva chiamata l’ospedale di Regnaldello e possedeva proprietà nella valle tiberina e sulle montagne limitrofe (Il Borgo di Celle potrebbe essere stato uno di queste).
In un documento datato 29 settembre 1283 si cita il priore Aliprandino il quale “entrò e prese la tenuta e il possesso di un ospedale pertinente al predetto ospedale Ranaldelli; questo si trova sotto l’ospedale di S. Giovanni del Tempio, che è e si dice ospedale di S. Maurizio delle valli“.
Questo documento è molto importante perché accerta che questi due complessi assistenziali appartenevano ai Templari.
L’Ospedale di Regnaldello, passò nel 1312 ai Giovanniti che gli cambiarono titolo da S. Giacomo in S. Giovanni; un precettore dell’Ospedale Gerosolimitano di S. Giovanni di Città di Castello fu un certo Pietro De Latum Giovannita (Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria Volume LXXVIII).
L’Ospedale di S. Maurizio si trovava alla testa di una valle sotto la selva di Burano e per una strada si scendeva nelle Marche, a Cagli, ad Acqualagna e alla Gola del Furlo.
Di S. Maurizio de Vallis, presso Pietralunga, non esistono neanche le rovine.
Sia l’Ospedale che la chiesa di Regnaldello invece furono restaurati più volte a causa delle piene del Tevere che ne rovinava le strutture.
 

Nota

Leonardo da Vinci attorno al 1503 disegnò per Cesare Borgia, che aveva in mente un progetto di bonifica della zona per realizzare un canale vicino all’Arno, che fosse navigabile fino a Pisa, una mappa della Valdichiana a volo d’uccello e in quella mappa, fra i siti fortificati e i centri abitati Leonardo indica anche Celle (Cielle) e Monte Santa Maria Tiberina, separati dai torrenti Erchi e Scarzuola, che confluiscono sul Tevere in prossimità di Città di Castello.
 

Fonti documentative

Elvio Ciferri – Storia di una terra antica: Celle, Vingone, Astucci, Rovigliano, Cagnano – 2017
Mario Tabarrini – L’Umbria si racconta Dizionario A-D – 1982
Giovanni Riganelli – Terra Citerne Storia di una comunità dell’Alta Valle del Tevere e del suo territorio dall’Antichità all’inizio dell’Età Moderna – 1996
Ascani Angelo – Citerna – 1967
Giovanni Cangi – Lerchi il paese, il territorio, la storia, dall’antichità al medioevo – In Architettura e territorio Quaderni, 03 Polo Tecnico Franchetti – Salviani Città di Castello
Giovanni Cangi – Monumenti dimenticati. Antiche chiese nel territorio di Celle – in Pagine altotiberine, 28 (2006), pp. 163-168.
Pietro Diletti e Nunzio Sardegna – L’Ordine del Tempio e San Bevignate Tracce templari nell’appennino umbro-marchigiano – Nuova edizione riveduta e ampliata – 2016
Bianca Capone, Loredana Imperio, Enzo Valentini – Guida all’Italia dei Templari Gli insediamenti templari in Italia – 1997
 

Mappa

Link alle coordinate: 43.482943 12.166618