Abbazia dei SS. Emiliano e Bartolomeo in Congiuntoli – Scheggia -Pascelupo (PG)

Abbazia con forti radici Templari evidenti anche nell’architettura.

 

Cenni Storici

Su la strada provinciale sentina tra la Marca e l’Umbria, a 9 km. da Sassoferrato, si presenta un severo e grandioso fabbricato, al quale il tempo attraverso i secoli ha impresse le tracce della sua opera devastatrice, pur risparmiandone la parte migliore, che però e condannata a sparire con grande iattura della storia e dell’arte. Il Regime Fascista che ha tanto a cuore il patrimonio artistico sparso in tutta Italia, salvi l’umbro cimelio dall’ira del tempo! Questa antica abbazia, dedicata ai SS. Bartolomeo ed Emiliano, sorge ai piedi di Monte Aguzzo in una valle angusta circondata da monti, che la chiudono come in una prigione.
E detta Badia di S. Emiliano o di “Congiuntoli“, perche qui si congiungono il “Perticaro” o “Rio freddo“, che scaturisce dalle rocce del Montecucco, e il “Sentino” che scende dai colli eugubini.
Non e facile precisarne l’epoca della fondazione, essendo scarsi i documenti pervenuti a noi; gli storici posteriori a S. Pier Damiano, al quale si vuole attribuire la fondazione, appena accennano al nome, o riportano quello che ha tramandato il S. Dottore, il solo che ne abbia parlato.
Non rimane perciò che spigolare sulle poche memorie rimaste.
Ottavio Turchi dice che qualche documento, riguardante detto monastero, si trova, senza precisarlo, nell’archivio secreto (?) della città di Gubbio.
Ludovico Iacobilli, lo storico più illustre ed accreditato della nostra diocesi, la dice fondata verso il 1143 ma non pare esatta questa data, perché vediamo la famiglia cenobitica già regolarmente costituita sotto la direzione di un abate sin dal 1110: perciò la sua fondazione deve essere anteriore di più di un secolo, o almeno risalire verso il 1050.
Riferisce infatti il Costadoni negli Annali Camal., che Pietro, abate di S. Benedetto di Congiuntoli, consente di sua spontanea volontà insieme ai monaci ed ai chierici tutti della medesima Chiesa, per la stipulazione di un contratto, in forza del quale cede in enfiteusi a Pietro abate del monastero di S. Vittore o Vittoriano di Clusi, due modioli di terra con l’annuo canone di trenta soldi di puro argento, e ciò nell’anno del Signore 1110, del mese di luglio, sotto l’imperatore Enrico.
La carta enfiteutica è riportata da un autografo esistente nell’archivio di S. Biagio in Fabriano.
Con ragione adunque si deve supporre che il nome della famiglia cenobitica, composta di monaci e di chierici sotto il governo dell’abate e ricca di terre, e già diffuso; che ha varcato la pittoresca valle del Sentino, e non manta di esercitare la sua influenza e il suo potere nei paesi e nelle città vicine.
Lo abitavano dapprima uomini che, noiati del mondo, dedicavano la loro vita alla preghiera e alla contemplazione delle cose divine, riparandosi in piccole celle costruite alla meglio e abbracciando la regola del grande patriarca S. Benedetto, la più comune in quei tempi.
A mano a mano che aumentavano di numero, e il monastero di giorno in giorno diventava un centro importante per le numerose aderenze, si rese necessario l’ampliamento della Chiesa, che doveva formare la parte principale, e del piccolo romitorio.
Con le rendite vistose e con l’aiuto dei buoni terrazzani che erano alla dipendenza dei monaci, e ne avevano già esperimentati i benefici per aver trovato presso di essi protezione e sicuro rifugio, fu innalzato il tempio con magnificenza e grandezza.
Riuscendo questo insufficiente ai bisogni del culto, verso la fine del secolo XIII fu aggiunta la navata a “cornu evangelii“, inaugurata durante il breve pontificato di Onorio IV, come si rileva da una epigrafe murata nella parete esterna.
In questo monastero dimorò per molti anni S. Domenico Loricato, cosi chiamato dalla maglia di ferro a forma di corazza e composta di acuti ami che indossava sulla nuda carne.
Morì a Frontale in provincia di Macerata ed è sepolto nella chiesa di S. Anna ove e tenuto in grande venerazione. S. Pier Damiano ne scrisse la vita, e riformo l’abbazia.
Ma da questo non si può dedurre che l’abbazia di Congiuntoli fosse alle dipendenze di Fonte Avellana, perché, non era possibile che gli Avellanensi scegliessero per domicilio un luogo, se prima non avessero acquistato un diritto sopra di esso.
E’ certo che il santo dimoro in questo luogo, sebbene per breve tempo.
Con l’annessione dei beni di questo monastero al Capitolo dei Canonici di Urbino avvenuta nel 1439, cessa il potere dell’abbazia, che poco dopo viene convertita in Commenda Cardinalizia.
Dalla cronaca nocerina del Vescovo Alessandro Borgia risulta alla abbazia una rendita netta superiore a 400 scudi di moneta romana e nel 1781, dice il Gibelli, era di scudi 600.
La parete a “cornu epistolae” della navata di mezzo, era ricca di affreschi appartenenti a pittori di scuola classica, come appare da qualche frammento.
Tra le figure di angeli e di santi spiccava un S. Cristoforo di forme gigantesche.
Qualche anno addietro era visibile la testa con parte dell’aureola, il Bambino che posava sopra le spalle erculee, un braccio e le gambe immerse nell’acqua.
Oggi resta solo il luogo ove era la figura, perché la caduta del tetto, avvenuta da oltre un secolo, espose all’intemperie la pregevole opera d’arte, e ridusse la chiesa ad un cumulo di macerie.
La navata invece a “cornu evangelii” si conservava ancora discretamente, tanto che continuò ad essere ufficiata fino al 1870 o poco più, dal parroco di Montelago alle cui dipendenze fu assegnata l’abbazia.
Nel 1907 il pregevole affresco sopra l’altar maggiore, per opera di S. E. l’On. Giov. Battista Miliani, fu riportato sulla tela e si conserva nella Pinacoteca di Fabriano.
Ora l’abbazia appartiene alla parrocchia di Perticano in forza di un decreto vescovile con il quale il parroco di Montelago la cedeva in perpetuo, e l’altro l’accettava con tutti diritti e gli oneri.
Il 24 o 25 agosto di ogni anno si celebrava con tutta pompa la festa principale ad onore di S. Bartolomeo, e si teneva pure la fiera nei pressi del monastero, ove convenivano gli abitanti dei paesi e delle città vicine.
Era pure chiamata la giornata dei “canoni“, perché in quel giorno tutti coloro che ne eran tenuti, saldavano i loro debiti.
Con la soppressione napoleonica avvenuta nel 1810, furono asportati parte dei suoi valori e delle sue ricchezze. Gregorio XVI nel riordinare il patrimonio della Congregazione dei P. P. Benedettini Camaldolesi di Fonte Avellana, con la Bolla “Inter multiplices” del 27 settembre 1836, confermo la cessione dell’abbazia di S. Emiliano al Monastero di Fonte Avellana che già ne godeva i beni e le rendite fin dal 2 agosto 1835.
Il R. Commissario per l’Umbria Gioacchino Pepoli, col Decreto dell’11 dicembre 1860, sopprimeva il Monastero, troncando cosi del tutto la vita alla storica abbazia, dove per oltre otto secoli avevano trovato stanza molti cenobiti, dediti non solo alla preghiera e alla contemplazione, ma anche allo studio delle scienze e delle lettere, in quei tempi patrimonio esclusivo dei Chiostri.
Il Monastero, ad eccezione del tempio e del campanile, e le terre e i boschi adiacenti per vasta estensione, furono venduti a vile prezzo.
Le acque dei fiumi che continuano a baciar quei ruderi ne cantano ancora la gloria, la grandezza e la potenza, e ripeteranno il grido di dolore finche ne rimarrà in piedi una pietra.
Dai pilastri che s’innalzano ancora agili e snelli alla merlatura finemente lavorata dai grandi finestroni ogivali al campanile superbo, l’arte gareggia ancora per dimostrare che il sacro Chiostro fu centro e focolare vivo, attraverso i secoli, di pietà e di scienza.

DON FRANCESCO BERARDI – Parroco di Perticano.
 

Rilievo con Croce patente

Tra il 1285 e il 1287, sotto Onorio IV, fu eretta la navata nord-est ciò è ricordato da una lapide posta sui muri esterni della Chiesa.
Questa lapide è murata sopra la finestra minore verso Rio Freddo, a destra di chi la guarda dalla strada che va a Perticano.
E una nobile lapide, posta tra due capitelli murati.
Inizia con una gran croce a TAU, ornata di rosette in alto e in basso, a destra e a sinistra del TAU ci sono due figure: forse un uomo e una donna, oranti.
La lapide di difficile lettura porta date certe: due volte c’è il numero Anno Domini 1286 e le parole leggibili: Tempore Honorii IIII (Papa Onorio 4°, dei Savelli, regnò dal 1286 al 1288).
Dalle altre parole sembra di capire che le finestre della chiesa sono state donate, forse dai due soggetti oranti.
La lapide contiene questa scritta:
IN . X . NO(M)I(N)E . A(ME)N . AN(N)O .
D(OMI)NI. MIL CC LXXXVI. Te(M) PORE. D(OMI)NI HONORII
PAPE IIII. DAVANTE SO(L)VIT FENESTRA MCCLXXXVI
.
L’interpretazione della scritta che ne da padre Giacomo Biagioni e Padre Ferdinando Rosati, storico della chiesa di S. Francesco di Gubbio è la seguente:
Nel nome di Cristo: Amen: Anno del Signore 1286. Al tempo del Papa Onorio IV. Davante pagò la finestra (o le finestre) 1286“.
La lettura di tale lastra, risulta, a tutt’oggi, molto precisa e corretta, salvo il fatto che lo studioso, dopo la frase “Davante Solvit Fenestra“, tralascia di considerare le altre rimanenti lettere, vale a dire “P. Aia Sua“, chiaro sintagma contratto, impiegato al posto della consueta formula rituale “Pro Anima Sua“.
Le due figure alla base potrebbero essere due figure laicali.
La lastra, di forma rettangolare (misure approssimative cm 100 X 50), è murata, per reimpiego, sul retrospetto della seconda chiesa, storicamente eretta, a partire dalla seconda metà del secolo XIII: dell’abbazia di Sant’Emiliano.
 

Templari a Monte Cucco

Nell’area del Monte Cucco, tra XIII e XIV secolo, esistevano ben due sedi stabili dei Cavalieri Templari.
Il territorio attorniante il Massiccio del Monte Cucco è, infatti, uno dei rarissimi che possa vantare l’antica esistenza di ben due mansioni templari, ossia di altrettante sedi storicamente accertate, e certificate, dei cavalieri del Tempio di Gerusalemme, distanti, in linea d’aria, meno di dieci chilometri l’una dall’altra.
I monaci-guerrieri del Tempio, infatti, erano presenti, nell’area dell’attuale Parco Naturale Regionale di Monte Cucco, con una Precettoria in Perticano, attuale frazione del Comune di Sassoferrato (An) e, insieme, di Scheggia e Pascelupo (Pg) e con una commenda agricola a Collina di Purello, odierna frazione di Fossato di Vico (Pg), direttamente dipendente, quest’ultima, dall’Abbazia templare di San Giustino d’Arna di Piccione di Perugia.
La sede templare di “Rigo Petroso” o “Rivoretroso” (oggi Perticano), situata nel versante orientale del Massiccio del Cucco e bagnata dall’impetuoso Torrente Rio Freddo, è stata, con ogni probabilità, quella di maggiore rilevanza storica tra le due sopra menzionate.
La “sede centrale” di Rigo Petroso (posta, tra la Marca e l’Umbria, a controllo dell’importante viabilità, appenninica e transappenninica, locale) doveva, infatti, possedere o controllare, sebbene, per ora, soltanto in via di mera ipotesi, anche le originarie fondazioni monastiche benedettine dell’Eremo di San Girolamo di Monte Cucco e dell’Abbazia dei Santi Emiliano e Bartolomeo Apostolo in Congiùntoli, potendo, altresì, vantare sue proprie prerogative sino al territorio perugino dell’antica città di Arna (distante circa 80 chilometri).
A partire dal 1310, con il processo ai “Templari del Monte Cucco“, celebrato a Gubbio dal tribunale itinerante della Santa Inquisizione, che sospese e, praticamente, soppresse, localmente, l’Ordine della Milizia del Tempio, la Precettoria di San Paterniano di Rigo Petroso, con le sue vaste proprietà fondiarie, venne, ultima in ordine di tempo, definitivamente chiusa e, quindi, rilevata dagli Ospitalieri di San Giovanni, rappresentati, nel 1333, dalla persona del loro precettore giovannita Fra’ Angelo.
Storicamente accertata da inoppugnabili documenti d’archivio, la seconda sede templare del Cucco, situata ad occidente del Massiccio di Monte Cucco e, più precisamente, nei pressi dell’attuale Purello di Fossato di Vico, prendeva il nome di Santa Croce de Culiano (“S. Crucis de Culiano” o, più tardi, “S. Crucis Hierosolomit[anae]” e “S. Crucis de Culiano Cruciferorum“) ed era, come detto, una diretta emanazione dell’abbazia benedettino-templare di San Giustino d’Arna, edificio abbaziale, come detto, ancor oggi presente nelle campagne di Piccione di Perugia.
Tale dimora di Culiano (il cui appellativo deriva dal nome proprio di persona latino “Julius“), oggi la ritroviamo del tutto soppiantata dalla piccola, chiesa rurale di Santa Croce di Collina (XVII secolo), le cui terre furono commendate ai conti, e cavalieri di Malta, Santinelli di Pesaro.
 

L’Abbazia e i Templari

Indicativa, nel contesto dei Templari è la vicina presenza a Perticano dell’importante e grandiosa abbazia di Sant’Emiliano e Bartolomeo Apostolo in Congiùntoli, eretta, originariamente, per custodire le reliquie del soldato martire Emiliano e d’una santa donna con due figli gemelli.
Tra V e VI secolo, dalla Sardegna furono traslate, a Gubbio, le reliquie di alcuni santi martiri di Numidia (+ 259): quelle di Mariano (lettore) e Giacomo (diacono) furono tradotte nella cattedrale, di cui i due martiri divennero i titolari; quelle di Emiliano, soldato martire e di una santa donna con i due figli gemelli, martiri anch’essi, furono traslate in località Congiùntoli, dove, poi, forse su di un preesistente luogo sacro pagano fu edificato l’eremo di cui ci parla San Pier Damiani (il paganesimo considerò sempre le confluenze fluviali e torrentizie, così come il trivium stradale, anche esso presente in questo sito, luoghi sacri, perché fungenti da metafora oggettuale del concetto della “coincidentia oppositorum” la conciliazione delle manifestazioni e delle realtà antitetiche).
Solo la ricchezza di un Ordine religioso cavalleresco come quello dei Templari, che aveva una precettorìa proprio nella vicinissima Perticano, poteva, infatti, far fronte alle ingentissime spese derivanti dalla costruzione del cenobio, e, soprattutto, della magnificente chiesa dagli altissimi archi a tutto sesto di stile romanico-gotico e d’impronta architettonica cistercense.
Le linee sobrie ed essenziali di tale tempio cristiano, poi, ben si attagliano allo stile spoglio e purissimo che caratterizzò l’architettura sacra prediletta dai Cistercensi e, poi, dai Templari stessi, con l’angolo retto quale elemento costruttivo di base, che unicamente ingentiliva taluni austeri fregi scultorei, in corrispondenza di finestre e capitelli.
Occorre aggiungere a tali descrizioni, un’interessantissima croce greca patente, datata all’anno 1286, e murata sopra l’arco sesto acuto della finestra della navata laterale della chiesa, che guarda verso il retro spetto del medesimo edificio.
Non appare per nulla casuale il fatto che l’ambiziosissimo progetto della chiesa rimanesse, forse, incompiuto, per la probabile e improvvisa mancanza di mezzi finanziari, proprio al tempo della soppressione dell’Ordine dei Cavalieri del Tempio di Gerusalemme, decretata, localmente, con il processo di Gubbio, nell’anno 1310.
Venuti a mancare i denari dei Templari, ma, probabilmente, anche la volontà (da parte dei loro acerrimi detrattori e avversatori) di portare avanti il progetto (dall’Ordine religioso-cavalleresco stesso probabilmente elaborato, e già parzialmente realizzato), la chiesa abbaziale dovette essere volutamente lasciata mutila e incompiuta.
Una precisa logica dovette, altresì, presiedere al ritorno dell’abbazia, nel 1930, alla parrocchia (un tempo precettorìa templare) di Perticano.
L’ipotesi secondo cui la chiesa e l’abbazia di Sant’Emiliano furono erette e “gestite” dai Templari potrebbe chiarire anche la ragione della scarsità dei suoi documenti, che, come tutto ciò che riguardava i Templari (epigrafi, croci, monete, pergamene, precettorìe, domus, magioni e quant’altro), dovettero andare incontro alla dispersione o distruzione fisica.
L’abbazia, sorgendo su di una posizione davvero strategica, fu fortificata tra i secoli XIV e XV.
Con il nuovo nome di Palatium Sancti Miliani o Castri Sancti Miliani, ospitava un capitano e qualche militare, lì inviati, dal Comune di Gubbio, per difendere i monaci e gli abitanti delle ville circonvicine. La torre dell’abbazia, infatti, fornita, com’è, di spigoli a punta di diamante, più che quello di torre campanaria, ha l’aspetto d’una torre di guardia e di difesa.
L’abbazia benedettina di Sant’Emiliano dovette essere sempre collegata, come attraverso una sorta di funicolo ombelicale, alla “laura” eremitica di San Girolamo di Monte Cucco.
In Italia, ma anche altrove, compaiono molti altri esempi d’abbazie situate a valle e destinate al cenobitismo, alle quali corrisponde la presenza, a monte, di un eremo, ubicato in un luogo più eminente, che corrisponda all’esigenza di coloro i quali prediligono la vita solitaria.
Questa situazione faceva parte della riforma Romualdina.

articolo di Euro Puletti
 

Fonti documentative

Euro Puletti – Il rilievo con la Croce Patente dell’Abbazia benedettina di Sant’Emiliano in Congiuntoli (Scheggia PG). Lettura epigrafica e simbolica – in Studi Medievali e Moderni arte letteratura storia; Anno XVI – Fascicolo I-II – N. 31/2012

http://www.scheggiaepascelupo.info/

www.abbaziasantemiliano.it

I Templari del Monte Cucco

 

Mappa

Link coordinate: 43.415188 12.781826

Rispondi a Sandro Giacchetti Annulla risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>