Castello di Colmollaro – Gubbio (PG)

Il castello è stato aperto in via eccezionale e per gentile concessione dei proprietari in occasione delle “Giornate di primavera” del FAI

 

Cenni Storici

II Castello di Colmollaro si trova sopra un rialzo del terreno, in parte circondato da un fitto bosco, lungo la strada per Galvana e Serra Brumonti nel settore sud-orientate del territorio eugubino.
Pur rappresentando l’ultimo baluardo difensivo della conca eugubina in quest’area, viene ricordato soprattutto perché feudo dei Raffaelli, una nobile famiglia, eugubina di orientamento ghibellino di Cui un rappresentante, Bosone Novello strinse amicizia con Dante Alighieri presso Arezzo dove si era rifugiato dopo la cacciata dei ghibellini da Gubbio.
La tradizione riporta la notizia che il sommo poeta esule della patria, trovò rifugio presso l’amico Bosone che, una volta ritornato a Gubbio, si stabilì in questo castello dove Dante, suo ospite, scrisse una parte della Divina Commedia.
La prima documentazione relativa alla struttura risale al 12 novembre 1191, quando Papa Celestino III accolse il monastero di S. Donato di Pulpiano sotto la protezione Apostolica, confermandogli possesso dei suoi beni, tra cui la Chiesa di Sant’Angelo di Colmollaro.
Quanto al nome del luogo, dove sorge il Castello, troviamo vocaboli come “Collemolinaro“, “Colmolacio“, “Colmollario“, “Colle Morario” o “Colmulario”, che permettono di avanzare varie ipotesi, come colle del molino, colle del mulo e colle molle, ritenendo più probabile la prima etimologia, per il fatto che un molino effettivamente esisteva a Galvana, località limitrofa a Colmollaro.
Il Castello vero e proprio viene nominato per la prima volta in relazione alle lotte intestine della Gubbio della seconda metà del XIV secolo.
Secondo quanto riportato dal canonico Vittorio Pagliari, la costruzione del Castrum è da collocarsi intorno all’anno Mille, periodo in cui nascono molti altri feudi del territorio eugubino, destinati a presidiare i confini, in relazione all’espandersi del sistema feudale tra il X e l’XI secolo.
La custodia dei castelli veniva garantita da una piccola guarnigione di soldati, comandati da un capitano che talvolta prendeva anche il nome di castellano o notaio.
In relazione a Colmollaro, conosciamo il nome di due soli capitani: Dompnus Angelo Manciae, capitano nel 1396, e un certo Mascius, tra il 1410 e il 1412.
In questo Castello si è svolta un’intensa attività politica, diplomatica e militare: e da Colmollaro arrivavano e partivano notte e giorno dei corrieri che garantivano l’ordinario flusso di notizie da e verso il potere centrale.
Il loro era un lavoro delicato, spesso difficile e pericoloso.
Documenti d’archivio ricordano, ad esempio, l’episodio del 20 agosto 1380 quando Petto Matoli et ser Johanni Paulelli, ambasciatori inviati dal Comune di Gubbio a Colmollaro per trattare il ritorno di alcuni fuoriusciti, prima vennero derubati di un mulo, un cavallo e delle armi, poi vennero incatenati e condotti al Castello di Giomici.
A tale servizio erano addette anche delle donne: il 31 agosto 1382 giunsero al castello con dei documenti da consegnare due donne, una delle quali chiamata Mite.
In questo periodo il castello viene acquisito dalla nobile famiglia eugubina dei Raffaelli – Caffarelli.
Nel 1388 capeggiava questa famiglia Bosone III di Bosone Raffaeili detto l’Ungaro per il suo lungo soggiorno in quelle terre, più volte ricordato da una documentazione d’archivio nelle vesti di ambasciatore; si ricorda in particolare l’episodio che lo vede in veste di diplomatico, insieme a Francesco Uguccione, presso il conte Antonio da Montefeltro, con il quale raggiunge un accordo di pace, e quello che lo menziona come consulente a Firenze coadiuvato da Guadagno di Landolfo in difesa di Cante II.
Il 15 giugno 1477 il castello, per disposizione testamentaria passa a Francesco nipote di Bosone III; alla sua morte, avvenuta nel 1494 senza lasciare eredi maschi, il suo patrimonio tra cui il maniero, viene spartito tra le tre figlie sposate.
Tra il 1528 e il 1531, dopo una lunga serie di alienazioni, il castello diventa proprietà dei Canonici della Cattedrale di Gubbio per la somma di 6750 fiorini che lo detengono fino al 1888 quando passa, insieme alla tenuta, al principe don Giulio Torlonia.
Nel 1898 il Castello viene dichiarato monumento nazionale e nel 1910 entra in possesso della Società Lignitifera Umbra.
Oggi appartiene alla famiglia Micara, che ha provveduto ad un’ampia ristrutturazione del complesso.
 

Aspetto

La struttura, in pietra arenaria squadrata grossolanamente, è completamente circondata da una cinta muraria a forma poligonale, dotata di feritoie a scopo difensivo (perimetro 435 metri, altezza 6 metri); a ovest si conserva intatta la torre, di forma quadrangolare (altezza 20 metri), che un tempo aveva una duplice funzione, difensiva e abitativa.
Si accedeva alla struttura mediante l’ingresso, posto dalla parte opposta rispetto a quello attuale, che introduceva, allora come oggi, in questo ampio cortile.
A nord è possibile ammirare il maschio, grande che costituisce il nucleo o, ossia il blocco più grande che costituisce il nucleo del Castello; questo è composto da due piani: quello superiore, che comprende gli ambienti signorili, e quello interiore destinato a stalle e magazzini di stoccaggio.
Dalla scalinata, posta a sinistra del cortile, si accede al piano superiore del castello, dove si trovano gli ambienti per la famiglia del signore.
La prima stanza che si incontra è il salone di rappresentanza caratterizzato da un camino lungo la parete destra; accanto alle finestre che illuminano la stanza lungo il lato sinistro, si trovano dei sedili in pietra speculari, che la tradizione popolare vuole utilizzati dalle fattoresse durante i lavori di ricamo.
Dal salone si accede ad una seconda stanza attraverso questa porta, dotata di un architrave in pietra, che riporta scolpita un’iscrizione, il cui testo epigrafico è stato motivo di studio ed analisi da parte di alcuni fra i più importanti eruditi eugubini.
Varie sono le teorie che riguardano l’interpretazione di questo antico testo, inciso in un latino alquanto oscuro, che vanno dalle datazioni che commemorano la fondazione del castello, fino a motti che vedono come soggetto il Signore Gesù, attraverso il trigramma cristologico IHS, sormontato da una piccola croce.
Le tre lettere rappresentano probabilmente l’espressione Iesus Hominum Salvator, traducibile in Gesù Salvatore degli Uomini.
Il trigramma campeggia al centro, aprendo tutta una serie di possibili interpretazioni:
• Iesus A. [?] 1416 o 1516, come possibili date di fondazione della struttura;
• FIAT JESUS CONCLOMINUS, ossia Gesù si faccia Signore insieme a me;
• FLAGITO/A IESUM CONDOMINUM, ossia Prego-a frequentemente il Condomino Gesù;
• Comandò di farlo il Signore Gesù;
• Il fideiussore (o il garante) è il Signore Gesù;
• Si faccia la legge (o la volontà) del Signore Gesù;
• In lode del Signore Gesù;
• In luogo del Signore Gesù;
• La salvezza è nel Signore Gesù;
• Io sono nel Signore Gesù;
• Tutto è del Signore Gesù;
• Fedele nel Signore Gesù.
La stanza, di incerta destinazione, presenta le travi del tetto a vista, sorrette da mensole lignee con riproduzioni dello stemma (scacchiera in rosso e argento) della famiglia dei Raffaelli.
Il pavimento non è conservato poiché per motivi statici è stato asportato.
Attualmente rimane a vista il massetto cementizio, pertinente ad una volta posticcia rispetto alla fase originaria del castello, di cui si conservano le mura perimetrali in pietra con archi a tutto sesto evidenti sul lato destro.
Nella sala a piano terra l’imposta ribassata della volta oblitera alla vista questi imponenti archi, che esternamente non sono visibili in quanto nascosti da un secondo paramento murario aggiunto in una fase post-medievale di ristrutturazione dello stabile.
La struttura al piano terra consta di tre stanze adibite a stalle e magazzini.
Tra gli elementi che costituiscono il castrum normalmente, c’è anche la cappella per gli uffizi divini.
Siamo in un’epoca in cui c’è una stretta unione tra potere spirituale e potere temporale, anche se sono già iniziate le lotte che porteranno ad una reciproca autonomia.
 

Curiosità

Nel castello sono state girate alcune scene del film “I cavalieri che fecero l’impresa” ambientato nel XIII sec. ( film del 2001 diretto da Pupi Avati con Raul Bova).
Per l’occasione venne’ costruita la scala di legno che attualmente porta al piano superiore
 

La chiesa castellare

La chiesa di Colmollaro, posta a sinistra dell’ingresso sud, venne dedicata, come spesso accadeva nei castelli medievali, all’Arcangelo San Michele, in quanto protettore non solo contro le potenze infernali, ma per antonomasia contro qualsiasi tipo di nemico.
Abbiamo notizia dell’esistenza di una chiesa a Colmollaro fin dal 1191.
Papa Celestino III riceve il monastero di San Donato di Pulpiano sotto la protezione della Sede Apostolico, confermandogli il possesso dei suoi beni, tra cui la chiesetta sopracitata.
Della struttura originale si conserva purtroppo soltanto il pavimento in mattoni e parte degli affreschi che decoravano i muri.
Alla fine del 500, come è documentato nella Visita Pastorale, la cappella aveva già bisogno di urgenti riparazioni; nel 1696 si ordinò di costruire un muro per separare le pareti della chiesa da quella di una stalla e di conservare solo ciò che serviva per l’uso sacro; il terremoto che si verificò a metà del settecento danneggiò ulteriormente la struttura.
Quando a metà degli anni cinquanta la famiglia colonica che vi abitava partì, la chiesa ormai priva di un custode, si deteriorò ancora di più e cessò l’antica tradizione di celebrarvi la messa nel giorno di San Michele.
Oggi la chiesa è praticamente irriconoscibile, rimanendo sulle pareti solo qualche piccolo frammento delle antiche pitture.
Il lacerto di superficie pittorica, attualmente visibile, evidenzia una figura stante con lunghi capelli biondi, in nudità, con nimbo e un telo di colore rosso bruno alle spalle.
Si tratta probabilmente della tipica iconografia del “Cristo morto” con gli occhi chiusi e le braccia incrociate sopra l’addome che spesso si trova sopra un sarcofago come in rappresentazioni medievali.
 

Quadro dell’altare della chiesa di San Michele Arcangelo

Si parla di un quadro d’altare raffigurante San Michele Arcangelo, nella Visita Pastorale avvenuta verso la fine del 500 e di un’altra del 1635.
In tutte due le occasioni si evidenzia il fatto che l’opera sia rovinata e “scolorita“.
Un quadro nuovo, sempre raffigurante S. Michele Arcangelo, ordinato dal Capitolo della Cattedrale a cui apparteneva la chiesa, viene citato nella Visita Pastorale del 1692.
A metà circa dell’Ottocento, purtroppo questa tela di San Michele venne rubata dal brigante Santi-Granci detto Zigo con Ercole Magrini detto lo Zingaro.
In seguito nella chiesa di Colmollaro fu collocato un altro quadro con lo stesso soggetto.
Nell’antica cappella ci sono state dunque collocate tre opere con questo soggetto:
• La prima fa pensare ad un’opera del 300-400
• La seconda potrebbe essere attribuita al pittore Francesco Allegrini ( pittore nato a Cantiano all’inizio del Seicento e poi morto a Gubbio intorno al 1679. Allievo del Cavalier d’Arpino, attivo tra Roma e Gubbio)
• La tela che è rimasta è stata dipinta tra verso la metà dell’Ottocento ed è una copia di quella di Guido Reni. Ora è di proprietà privata.
 

Resti di un affresco

Nella Visita Pastorale del 1635 si dice che nell’antica cappella del castello di Colmollaro vi erano “immagini 4 scalcinate in buona parte guaste”.
Già, in quei tempo dunque le pitture erano notevolmente deteriorate.
Purtroppo, nessuno né allora dopo ha pensato di salvarle, rimangono pochissimi e consunti avanzi.
Tra essi spicca la figura a mezzo busto di un “Cristo morto nel sepolcro” il cui tenue incarnato si sovrappone al rosso del drappeggio che occupa il fondo del riquadro.
Anche se malamente conservato e quindi difficilmente leggibile, il frammento mostra tutti i segni distintivi dell’arte di Matteo di Pietro (1435 circa – 1507) il grande artista gualdese attivo anche in altri luoghi del nostro territorio.
Dovrebbe trattarsi da un’opera databile negli anni Settanta o tutt’al più agli anni Ottanta del Quattrocento.
Sebbene diminuita irrimediabilmente, essa sembra infatti testimoniarela stagione intermedia di Matteo da Gualdo, secondo alcuni critici caratterizzata da un certo “torpore creativo” rispetto ad altre fasi del curriculo di questo singolarissimo maestro.
Non è da escludete, anzi è probabile, che anche le altre tracce pittoriche visibili ai lati del “Cristo morto” appartengano alla mano del pittore tadinate il quale fu particolarmente attaccato a questa parte del territorio eugubino, come dimostrano le sue attenzioni, storicamente documentate, nei confronti di un sacro luogo della vicina Serra Brunamonti.
 

Fonti documentative

Documentazione fornita dalle guide volontarie del FAI
 

Mappa

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