Chiesa di San Pellegrino – Gualdo Tadino (PG)

La chiesa, in località omonima, custodisce i maggiori tesori artistici ed opere pittoriche del territorio gualdese, è una delle chiese più interessanti del territorio per il patrimonio artistico che vi è conservato.

 

Cenni Storici

Nel piccolo abitato di San Pellegrino, esistevano cinque chiese, senza contare quelle dei vicini vocaboli.
Le sue chiese, di cui alcune non più esistenti, rivestono un posto preminente perché sintesi, oltre che della sua religiosità, anche della sua cultura.
La chiesa parrocchiale, molto vicina allo stile romanico, che risale al XIV° secolo, non è la chiesa primitiva di San Pellegrino.
Non si sa quando sia stata costruita la prima chiesa sulla tomba del Santo pellegrino, certo è che nella fine del XIII° secolo già esisteva, poiché ci resta una pergamena contenente un testamento, con la quale tal Giovanni di Ventura di Acquittolo, Notaio, in data 4 aprile 1288, lasciava tra l’altro, “quattro libbre di denari Cortonesi, alla Chiesa di San Pellegrino”.
La prima chiesa aveva il suo ingresso, di stile gotico, che si può tuttora vedere, nell’attuale sagrestia, sul fianco sinistro della attuale Chiesa, ed a questa addossato; è il piccolo edificio che contiene anteriormente la sagrestia, su cui sorge il campanile, e posteriormente una cripta semisotterranea, dove è conservata l’urna marmorea con le ossa di S. Pellegrino.
Nel XIV° secolo, aumentata la popolazione del luogo e riconosciuta come insufficiente per i bisogni del culto quella prima Chiesuola, si dovette costruire sul suo fianco destro, l’attuale vasta Chiesa, venendo poi in seguito adibita la prima ad uso di sagrestia.
L’esistenza nel secolo seguente di queste due contigue Chiese, ci appare anche in un testamento dettato il 20 ottobre 1474 da un abitante del luogo, tal Pellegrino di Paoluccio.
Costui infatti lasciava, tra l’altro, una certa somma, affinché l’erede “implanellet sive implanellari faciat tectum ecclesiae veteris S. Peregrini … in qua collocatum est corpus S. Peregrini“, la qual vecchia Chiesa si descrive nell’Atto stesso come adiacente alla Chiesa nuova.
Ben poche altre notizie ci restano del Tempio di San Pellegrino durante il XIV° e il XV° secolo.
In questo lungo periodo di tempo, si trova solo citata tra le Chiese della Diocesi di Nocera, che nel 1333, pagarono la “decima” imposta l’anno prima dal papa Giovanni XXII sui benefici Ecclesiastici del Ducato di Spoleto per rimpinguare l’esausto tesoro papale.
Nei libri delle “Colletterie” Pontificie, il versamento della prima rata, appare fatto il 24 giugno di quell’anno, in mano di Delayno de Mutina, Notaro del Vescovo di Nocera e Subcollettore e Tesoriere Generale del Ducato, Giovanni Rigaldi.
Fu certo durante questi due secoli, che la Chiesa di S. Pellegrino fu posta a capo di una Parrocchia, ma non ci resta nessun documento in proposito.
Certo, che tra la fine del Duecento e il principio del secolo seguente, non dovette ancora avere ottenuto il titolo di Chiesa Parrocchiale.
Infatti esiste una pergamena, contenente una lettera data dal Laterano il 22 novembre 1299, con la quale Giovanni da Palestrina, Vice-Camerlengo Pontificio, si rivolgeva a Giacomo, Cappellano della Chiesa di San Pellegrino, per incaricarlo di disbrigare una certa pratica curialesca.
Ora il fatto che suddetto Giacomo viene nella lettera indicato semplicemente come Cappellano, ci fa supporre che il Rettore della Chiesa non rivestisse ancora la qualifica di Parroco, qualifica che diversamente sarebbe stata in qualche modo indicata.
Viceversa la Chiesa era già a capo di una Parrocchia nel principio del Cinquecento, poiché da un documento del 1506, la vediamo compresa tra le Chiese Parrocchiali Gualdesi, alle quali il Comune di Gualdo, pagava una decima consistente nella somma di “quattro Bolognini, dodici soldi ed un denaro ogni sei mesi”.
La chiesa di San Pellegrino dipendeva, ab antiquo, dall’abbazia camaldolese di S. Maria di Sitria.
Il cappellano, o il parroco, venivano nominati e stipendiati dall’Abate dell’abbazia, la quale aveva alle sue dipendenze quarantacinque chiese, delle quali una trentina nelle Marche e il resto in Umbria. L’abbazia, caduta sotto il regime degli abati commendatari nel 1360 alla fine del secolo XVII°, si estinse e tutte le competenze ecclesiastiche passarono al celebre eremo di Santa Croce di Fonte Avellana, che nel 1569 era passata alla regola cenobica, fondata da San Romualdo riformatore della tradizione benedettina.
Questo eremo contava centocinquanta monaci ed aveva cinque castelli, due fattorie ed era a capo di una fiorente congregazione monastica costituita da tre eremi, ventidue monasteri, di cui otto erano abbazie, e da esso dipendevano inoltre una quarantina di priorati per lo più con un solo o più monaci. In trentaquattro luoghi risiedevano abitualmente alcuni monaci come rettori e cappellani di chiese.
Di conseguenza, nel sec. XVII°, la chiesa di San Pellegrino venne assoggettata all’abbazia di Fonte Avellana, restandovi sino al noto decreto Pepoli dell’ 11 dicembre 1860, che pose fine alla demaniatizzazione ecclesiastica.
Fino al secolo XVII° il parroco era amovibile, “ad nutum”, dall’abbazia di Sitria, era nominato dall’ordinario ogni sei mesi e poteva essere riconfermato.
Nel ‘600 il parroco veniva pagato con “ 9 scudi, 3 salme di grano, 12 barili di mosto, 2 carlini e mezza libra di cera per ogni defunto e l’uso della casa canonica ”.
Il parroco doveva celebrare la messa in tutte le feste di precetto.
Essendo sconosciuto il giorno della consacrazione della Chiesa, l’Abate di S. Maria di Sitria si rivolse alla Sacra Congregazione dei Riti, perché stabilisse in che giorno se ne dovesse celebrare l’anniversario e la stessa, con lettera del 23 novembre 1687, rispose che tale data doveva essere stabilita dal Vescovo di Nocera, (Mons. Giovanbattista Amati ), che scelse il giorno 4 di febbraio.
Sappiamo che la chiesa sanpellegrinese aveva una dipendente chiesa: quella di San Biagio presso il villaggio di Voltole, di cui si sconoscono le origini, per certo però doveva essere molto antica se, verso la fine del Cinquecento, era già diroccata.
Il vescovo Mons. Florenzi, visitandola l’8 ottobre 1605, ordinò che si erigesse una croce sul luogo dove era sorta la chiesa.
Il beneficio e il titolo furono trasferiti nella chiesa di S. Nicolò di Voltole.
Solo saltuariamente, alle domeniche o alle feste comandate, quando il lavoro dei campi lo permetteva, il parroco s’incontrava con i “capi di casa” o con i suoi parrocchiani sparpagliati nelle campagne.
Nel corso degli anni ha subito numerosi interventi di restauro i più recenti vanno dagli anni 30 agli anni 90 .
In corrispondenza dell’Arco Trionfale esisteva un transennato in legno, posto sul limite del rialzo all’inizio del Presbiterio, che fungeva da divisorio tra il Presbiterio stesso e la navata.
In tempi nemmeno tanto lontani, questi divisori avevano anche la funzione di indicare il limite oltre il quale le donne non potevano accedere verso il Presbiterio.
Il rialzo formato dai due gradini (oggi un gradino solo) antistanti la transenna fungeva da inginocchiatoio per ricevere l’Eucaristia.
San Pellegrino è stato definito (Storelli) punto d’incontro di cultura artistica tra l’Umbria e le Marche per le opere, quasi tutte d’influenza marchigiana, che ospita nelle sue chiese.
Essendo la chiesa dipendente dall’abbazia monacale camaldolese di Santa Maria di Sitria e poi dall’Eremo abbaziale benedettino di Santa Croce di Fonte Avellana, le quali avevano maggiori competenze nelle Marche, è ovvio, quindi, dedurre che le opere artistiche esistenti, sia nella parrocchiale, che nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, venissero commissionate ad artisti marchigiani, che erano sotto l’influenza giurisdizionale delle abbazie.
 

Aspetto

Essa ha il frontale a capanna e sulla parte superiore dell’ingresso a forma ogivale si trova una scultura raffigurante San Pellegrino inginocchiato, con sopra la mano benedicente dell’Eterno, opera scultorea di ispirazione popolaresca risalente alla prima metà del Quattrocento.
Sulla bisaccia del santo è raffigurata una croce ottagona simile a quella del Sovrano Militare Ordine di Malta.
Più in alto ancora, un rosone inserito negli anni Trenta, che consta di otto colonnine poste a raggiera con al centro un quadriforo, che ha sostituito l’originale finestra monofora.
Il suo interno è un impianto longitudinale, risultanza di una tipica costruzione astilo ad unica ed ampia navata, sul modello delle grandi basiliche romaniche.
Il tetto è sorretto da una capriata con travatura in legno a vista, sostenuta da tre archi gotici.
 

La Leggenda del Pellegrino

La leggenda narra che un viandante, accompagnato da un giovane, giunse sul calar della sera dei 30 Aprile 1004 nel villaggio allora chiamato Castro Contranense; stanco ed affamato chiese ospitalità al guardiano delle mura, Ono, che però si rifiutò di farli entrare, nonostante stesse sopraggiungendo un temporale.
Pazientemente il pellegrino si sdraiò sulla nuda terra e si addormentò; durante la notte scoppiò la tempesta ed i due viandanti morirono travolti dall’acqua e dalla grandine.
Quella stessa notte la giovane figlia del signore del castello, Ermanno, sognò i corpi esanimi coperti dal fango e trascinati in un fosso a tutti ben noto.
Accorsero così in molti sul luogo e qui rinvennero i due viandanti, ma soprattutto il bastone del pellegrino che era miracolosamente fiorito.
Caricati i corpi su un carro trainato da buoi, gli abitanti si accinsero a trasportarli al castello; ma gli animali si fermarono improvvisamente in un bosco e non vollero più muoversi, così si decise di seppellire le salme in quel luogo ed erigervi una chiesa.
Il villaggio mutò così nome in S. Pellegrino ed in ricordo di quell’evento dell’anno 1004, ogni 30 aprile, la popolazione celebra il rituale dell’alzata del “Maggio“: viene scelto il pioppo più bello e più alto della vallata, che durante la notte viene abbattuto e trasportato in paese.
Qui, una volta scortecciato e congiunto con una pianta più piccola, viene innalzato sulla piazza, dove resterà per tutto il mese di maggio.
 

Affreschi

Il papa Benedetto I, nel VI secolo volle che le chiese fossero affrescate con dipinti al fine di spiegare, a coloro che non sapevano leggere, attraverso la visione del disegno, la vita di Gesù, dei suoi discepoli e dei Santi, lasciando, inoltre, ai posteri la storia della Chiesa.
Gli affreschi erano, in sostanza, il “Vangelo dei Poveri“.
Gli affreschi, che ricoprono le pareti dell’ attuale chiesa e di quella antica, risalgono in gran parte al XV° e al XVI° secolo.
Una speciale attenzione meritano quegli affreschi posti sulla parete, che divide la cripta dalla sagrestia, dove sono rappresentate tre scene della vita del Santo Pellegrino.
Queste scene sono state restaurate ad opera della sovraintendenza alle opere d’arte per l’Umbria, con il contributo della popolazione di San Pellegrino, nel 1983.
Sulla stessa parete si contano fino a tre strati di pitture sovrapposti l’uno sull’altro.
Ad eccezione delle opere di Matteo di Pietro da Gualdo, questi affreschi sono quasi tutti di artisti sconosciuti.
Non li elenchiamo tutti perché ci si dilungherebbe troppo visto la gran mole di dipinti presente, diciamo soltanto che si riferiscono quasi sempre, ad ex voto che esprimevano un bisogno di protezione da parte di qualche divinità verso una realtà dura e rude a cui i popolani dell’epoca si appellavano in periodi di particolare difficoltà oppure per grazia ricevuta.
Fra le più frequenti rappresentazioni incontriamo quindi la Madonna del Latte o meglio la Madonna del Parto, appellata da puerpere e partorienti, Sant’Antonio Abate per la protezione degli animali che erano fonte di reddito e di sopravvivenza, San Sebastiano e San Rocco per la salvaguardia dalle pestilenze e San Bernardino da Siena per le malattie fisiche.
Tra tutte si contano una trentina di rappresentazioni pittoriche: quattro Madonna del Latte, una decina di Madonna col Bambino, di cui alcuni ai piedi S. Pellegrino, tre San Bartolomeo, tre San Bernardino da Siena, due San Sebastiano, due Sant’ Antonio Abate, un San Rocco, un Sant’Emidio, due SS. Trinità, un San Cristoforo e vari altri santi non più chiaramente identificabili, e una sequenza di figure, in cui si vede San Facondino, il Beato Angelo, S. Giacomo, S. Pellegrino, S. Giorgio.
Il grande affresco dell'”Annunciazione“, sovrastante l’altare maggiore, è ritenuto, dal prof. Storelli, opera del cosiddetto pittore giottesco “Maestro Espressionista di Santa Chiara“, attivo ad Assisi e a Gubbio (Chiesa di San Francesco), e situabile entro il terzo decennio del Trecento.
Sull’estradosso del secondo arco di destro, per chi guarda l’altare maggiore, c’è la «Madonna di Loreto», dipinta dal «Maestro di Fossato» verso la metà del ‘400.
Sulla terza colonna sinistra, a fianco dell’altare del Sacro Cuore, tra il dipinto di Madonna col Bambino con ai piedi San Pellegrino e sicuramente il committente, vi è il dipinto raffigurante San Bernardino da Siena con il suo monogramma IHS e scritto con lettere gotiche «HOC OPUS FECIT FIERI ANTONIA MANGNI MCCCCXLVIIII».
Stessa dicitura è posta sotto ad altro San Bernardino con a fianco San Sebastiano, situati sull’estradosso della stessa colonna, ma con la data MCCCCXLVI.
La stessa committente ha lasciato anche sotto l’affresco di San Bernardino, rappresentato sempre con il suo caratteristico trigramma, posto sulla seconda colonna a destra, vicino all’altare del Rosario, la didascalia: “ANTONIA MANGNI FECIT FIERI S. BERNARDINO“.
Nella chiesa primitiva (sagrestia) si contano invece diciassette affreschi, tra cui tre scene del Santo Pellegrino con le relative quattro didascalie esplicative della vita del santo, un San Sebastiano, quattro scene votive, di cui una con la data 1490, due Madonne con Bambino, una Santissima Trinità, una Crocifissione, un San Francesco con Madonna ed altre figure non più riconoscibili perché degradate dal tempo.
Tra le tante pitture murali, che si possono ammirare sulle pareti della prima chiesa, alcune sono, per certo, attribuibili a Matteo da Gualdo.
Purtroppo molti dipinti attribuiti anche ad altri autori, all’inizio del XX° secolo, quando fu costruito il campanile, andarono distrutti.
 

MATTEO DA GUALDO

Matteo da Gualdo fu giudicato da molti illustri critici d’arte con pareri discordanti.
Lo ricordiamo con il Luconi: “Matteo fu pittore di casa, i suoi affreschi ravvivarono la fede e accrebbero nel Santuario della famiglia il desiderio di Iodare Dio, anche esteriormente con ex voto artistici, che, infatti, quasi tutti i lavori gli furono commessi per divini favori ricevuti.“.
Il pittore gualdese fu in più momenti a S. Pellegrino per affreschi che abbiamo descritti, ma questa serie di dipinti può, a parer nostro, essere compresa in un arco di tempo non molto ampio: nel decennio 1480-1490, periodo fertilissimo di attività e di risultati.
Madonna in trono col Bambino benedicente e due angeli; inginocchiato, in preghiera il committente: Parte sinistra, prossimo al primo arco, entrando in chiesa.
L’aureola della Vergine è stata parzialmente tagliata dall’apertura di una finestra.
Nonostante lo stato generale non buono, l’affresco è ancora leggibile nella sua complessiva gradevole qualità.
Può situarsi nel mottetto di uno di quelli di S. Maria di Scirca, presso Sigillo, del 1484, per la Madonna; il Bambino è invece da collegarsi a quello dell’affresco, posteriore a tale data, della parete di facciata del S. Francesco di Gualdo Tadino, con la Vergine madre tra S. Francesco e S. Secondo con a fianco il committente.
Il 1490 deve comunque ritenersi il “terminus post quam” non fù eseguito.
Crocifisso (prossimo all’affresco sopra citato, sull’estradosso del primo arco; a sinistra entrando in chiesa).
In uno degli ambienti della sacrestia, su due facce di ex voto affrescati da più mani, da sinistra verso destra del registro superiore.
Madonna con Bambino in trono e S. Francesco - E’ andato perduto, o coperto, il Santo sul lato opposto a causa della costruzione di uno dei muri del campanile.
Crocifisso - Tra due quinte montuose.
L’impianto generale della scena è quello dei due “Crocifissi” della Chiesuola di S. Rocco di Gualdo e tutti insieme sono collegabili alla croce dipinta da Matteo nulla Parrocchia di Rocca S. Angelo nel territorio assisano: l’unico crocifisso su tavola eseguito dal Nostro dopo il 1482 e sagomato secondo il tipo delle croci medioevali.
Questo affresco di S. Pellegrino è pure interessante per il motivo paesaggistico, uno dei non frequenti esempi del Nostro.
Registro superiore, sempre da sinistra verso destra:
Madonna col Bambino in trono – Rovinato e “tagliato” dal muro sopra ricordato.
Situato verso il 1485-86, prima delle “Madonne” di Acciano e Colle Aprico di Nocera Umbra, ora rispettivamente a Boston e a Perugia.
Affresco della SS. Trinità – (crocifisso sorretto dall’Etemo) – stilla parete di facciata, presso il Fonte Battesimale.
Dalla figura dell’Eterno non è visibile la testa a causa della sistemazione posteriore del piano cantoria.
S. Cristoforo – (parte destra dell’estradosso del primo arco, verso l’altare).
Uno degli affreschi meglio conservati, in cui molto a stento però si riesce a leggere la data 1487 a causa del deperimento dell’iscrizione situata inferiormente.
La composizione è fortemente caratterizzata dai tipici stilismi del pittore: felici sproporzioni formali: svolazzi delle vesti. ecc.
SS. Trinità – (nella rappresentazione dell’affresco già citato) parete destra, vicino al primo arco.
Pur ripetendo i dati iconografici della precedente Trinità di Matteo, quest’opera potrebbe ritenersi della sua scuola, forse del figlio Girolamo.
Vi si notano, per altro, rapporti con la cultura artistica “perugina” della fine del secolo XV.
Crocifissione – (parete destra, sull’estradosso del secondo arco, verso l’altare).
L’affresco è mutilo in basso ed è molto rovinato.
Cronologicamente, è posteriore all’affresco della “Crocifissione” di Matteo da Gualdo nell’abside del S. Francesco di Gualdo Tadino.
Affresco della SS. Trinità – Nello stile iconografico caro a Matteo e comunque alla sua epoca, l’immagine è perduta inferiormente.
S. Sebastiano – Perduto nel volto e nelle gambe.
Contemporaneo a “S. Sebastiano” della parrocchia della non lontana Caprara (fraz. di Gualdo Tadino).
Questi due ultimi affreschi, delimitati in alto da un’arcata classicheggiante, sono, benché mutili e non integri, tra le cose migliori di Matteo da Gualdo.
Splendido nella precisa caratterizzazione il solenne Padre Eterno; eccezionale e sorprendente la silhouette del corpo frecciato del S. Sebastiano.
La Trinità precede cronologicamente quella del San Francesco di Gualdo (muro di facciata).
 

Fonti documentative

U. Giacometti – San Pellegrino di Gualdo Tadino – 2000
 

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