Eremo Madonna delle Macchie – Gagliole (MC)
Cenni Storici
Situato a un paio di chilometri da Castelraimondo, ma nel territorio comunale di Gagliole, il santuario Madonna delle Macchie (in origine delle Grazie), è un piccolo eremo molto antico, anteriore al XII sec, periodo nel quale si hanno le prime notizie.
Trovandosi a pochi chilometri dagli importanti comuni medievali di S. Severino, Camerino e Matelica, ha fatto da spettatore ai molti avvenimenti storici che si sono susseguiti in questa zona della nostra provincia dal tempo dei Guelfi e dei Ghibellini al rinascimento.
In questo periodo storico nell’alto maceratese si sono ripetute per decenni lotte tra i comuni o tra le Signorie (i Da Varano camerinesi, gli Smeducci settempedani, gli Ottoni matelicesi) per espandere le proprie influenze.
Centri religiosi guidati da monaci, quando avevano come unico scopo la meditazione e l’adorazione di santi protettori (come nel caso del Santuario delle Macchie) non erano spazi contesi, anzi potevano essere zone neutre e servire come luoghi di incontri pacifici, magari di trattative.
Molto probabilmente l’importanza maggiore che ha avuto questo Santuario di frontiera, sui confini spesso variabili dei comuni di Camerino e S. Severino, è quella di essere stato centro di rimescolanza di costumi, di economia e arte in un mondo che doveva sembrare molto più vasto dell’attuale, visto i mezzi di comunicazione allora esistenti.
Per recarsi al Santuario si prende una deviazione dalla statale (di fronte al cementificio) e si percorre circa un chilometro di strada asfaltata, ma in qualche punto abbastanza ripida.
Ad un certo punto si arriva su una piccola radura quasi pianeggiante, al limite di una boscaglia, e ci si trova subito davanti una piccola costruzione che, se non fosse per la presenza del campanile, sembrerebbe quasi una casa colonica.
La vecchiaia della costruzione si vede tutta: i secoli hanno lasciato molte “rughe” nonostante siano state fatte riparazioni e restaurazioni, soprattutto all’interno, per salvaguardare le opere d’arte.
Attualmente vivono stabilmente nell’edificio un sacerdote e quattro suore che accolgono con entusiasmo i visitatori, permettendo di osservare tranquillamente alcune parti e gli affreschi ancora presenti. Sono visitabili due cappelle e il chiostro.
Quest’ultimo è piccolo, ma luminoso ed ha il consueto pozzo per la raccolta dell’acqua piovana, sulla cui copertura fa bella mostra di sé un curioso bonsai.
La cappella più grande era in origine un portico (all’esterno si notano ancora le arcate) che serviva ad accogliere i pellegrini, molti dei quali percorrevano la direttiva Roma – Loreto.
Appena entrati colpisce subito l’attenzione un grande affresco sopra l’altare che è adiacente al muro. Restaurato recentemente ha riacquistato i colori vivaci originali e rappresenta un’Assunzione, dipinta intorno al XV –XVIsecolo.
La paternità del dipinto, secondo le fonti più accreditate, è da attribuire a Venanzio da Camerino e Piergentile da Matelica; altri studiosi sostengono l’intervento di un anonimo discepolo di Girolamo di Giovanni, conosciuto come Maestro delle Macchie.
Atri dipinti sono visibili nella parete che separa questa cappella dall’altra: si nota una Madonna del Rosario circondata da quindici quadretti rappresentanti Misteri, attribuita da alcuni ai seguaci di Simone de Magistris, altri la considerano invece opera di un popolano non esperto di pittura su intonaco, improvvisatosi pittore per commissione di qualcuno che doveva assolvere un voto.
Alla cappella principale, più piccola ma più antica, si accede attraverso due gradini sotto un “arco a sesto acuto”, con un’apertura alta e slanciata, tipico dell’architettura gotica.
Anche in questa chiesa troviamo varie pitture, attribuite a Diotallevi di Angeluccio di Esanatoglia e al Maestro delle Macchie, ma alcuni dipinti sono stati staccati e conservati nel museo diocesano di Camerino.
Sono rappresentati diversi santi protettori, tra i quali S.Antonio per gli animali, S.Rocco per la lebbra, S.Donnino per l’idrofobia.
Fino al XVIII secolo era conservato anche un Crocefisso ligneo, tuttora custodito in una chiesa a Gagliole.
Ma ciò che attualmente si nota subito è la presenza di un vistoso quadro con cornice dorata che rappresenta la Madonna del latte (raffigurata mentre allatta il Bambino), venerata dalla popolazione locale come Madonna delle Macchie.
La pittura, di autore ignoto, risale alla prima metà del secolo XVI, restaurata non correttamente nella metà dell’ottocento.
Una stella sulla spalla destra della Madonna indica la divinità del Bambino. Questa tavola fu rubata nel 1964, in un periodo durante il quale il santuario restò incustodito, dopo che l’ultimo eremita morì nei primi anni sessanta.
Casualmente ritrovata in un mercato clandestino di oggetti sacri, fu riportata con grande festa e commozione da parte della popolazione nella vicina parrocchia di Torreto, dove fu custodita finché, installato un sistema di sicurezza, fu riportata nel Santuario.
La popolazione del territorio circostante, molto devota a questa Madonna, la festeggiava soprattutto il 15 Agosto, giorno dell’Assunzione, recandosi a piedi per alcuni chilometri lungo un sentiero attraverso il bosco fino al Santuario.
Qui, dopo le funzioni religiose, si svolgeva un grande picnic con vendita di vino e cocomeri.
Questo avveniva in passato fino agli anni sessanta: successivamente questa tradizione è venuta a mancare, probabilmente perché, a causa del boom economico e dell’emancipazione culturale e sociale della popolazione, molti giovani, trovando sistemazione lontano dal territorio, non l’hanno raccolta. Tuttavia i festeggiamenti sono continuati portando il quadro nelle vicine parrocchie di Gagliole e Torreto, con feste a cadenza triennale e tanto di processioni notturne con fiaccolate.
L’abbandono e l’incuria del Santuario durò per molti anni (la boscaglia si era diffusa fin dentro il chiostro) finché, sul finire degli anni settanta, alcuni visitatori segnalarono la struttura alla trasmissione di Rai2 “C’è da salvare”: alcuni anni dopo, grazie alla rinnovata confraternita che nel Comune di Gagliole gestisce le festività e alla Sovrintendenza delle Marche, fu avviata una restaurazione che ha ridato dignità al Santuario e rivitalizzato il culto.
Quello che in generale colpisce il visitatore è sicuramente la mancanza di sfarzosità e maestosità che caratterizzano invece alcune strutture architettoniche religiose: non c ‘è nulla di artisticamente eclatante e non sembra esistere un filo logico nei cambiamenti strutturali succeduti nei diversi secoli della sua esistenza; tutto appare semplice, ma comunque dignitoso.
La presenza di caratteri architettonici romanici e gotici i e i diversi stili pittorici fanno pensare che costruttori e pittori seguissero le mode del tempo.
La difficoltà stessa degli esperti nell’attribuire la paternità delle opere suggerisce la mancanza di artisti di primo piano. La quasi totalità delle pitture è considerata ex voto (ma alcuni dipinti sono di alto livello, espressione di scuole affermate nel territorio) e testimonia un’arte religiosa rurale, vicina ad una popolazione che traeva sussistenza dai campi, dai boschi e dalla pastorizia e non poteva permettersi l’intervento di grandi artisti, ma solo dei loro discepoli.
In fin dei conti un’arte per i “poveri”: poveri di tasca ma di grande sensibilità religiosa, unica ricchezza che potevano ostentare.
E’ proprio questo tipo di arte che rende interessante il Santuario delle Macchie. Esso conserva tuttora lo spirito con cui è nato e ha coltivato nel tempo: luogo di culto per i credenti, luogo di pace e serenità (abbastanza lontano dai rumori della civiltà) per tutti.
di Luciano Burzacca