La Battaglia di Plestia – Colfiorito (PG)

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

 

Premesse della Battaglia

Per descrive gli venti che hanno portato alla battaglia e come si è svolta, occorre fare delle premesse che descrivono i fatti precedenti che hanno condotto Annibale sui piani Plestini nel 217 a.C. durante la seconda Guerra Punica.
Il Cartaginese, dopo aver attraversato le Alpi ha avuto scontri vincenti con le truppe romane che tentavano di ostacolare il suo avanzare verso Roma, e questo è avvenuto prima al Ticino poi al Trebbia dove la strategia bellica di Annibale superò di gran lunga la tattica romana di Tiberio Sempronio Longo.
I pochi legionari che si salvarono da questa strage ripiegarono una parte verso Cremona e Piacenza (due colonie Romane) e un’altra consistente parte si portarono verso Rimini (Ariminum) dove il console Gneo Servilio Gemino si trovava con le sue legioni allertato per intercettare il Cartaginese.
Forte della vittoria e dell’inferiorità strategica dei Romani Annibale fece la sua discesa verso dove lo aspettava un’altra scalata, lo svalicamento degli Appennini.
Il primo ostacolo che incontrò furono le paludi dell’Arno e i tratti acquitrinosi verso Fiesole che nel periodo primaverile si erano ingrossate e misero in seri pericolo la marcia, tanto che in quest’impresa che durò quattro giorni e tre notti, perse diversi uomini e lui stesso contrasse una malattia, forse un’oftalmia purulenta che gli fece perdere completamente la vista da un occhio (probabilmente il destro), ma continuò la marcia sull’ultimo pachiderma rimasto, un elefante indiano che Plinio ricorda con il nome di Surus.
Va fatto presente che durante la sua permanenza in Italia (dal 218 a.C. all’autunno del 203 a.C.) le sue due uniche sconfitte gli furono causate dalla natura, perse circa 20.000 uomini nella traversata invernale delle Alpi e come si diceva nelle paludi dell’Arno.
Intanto Roma aveva fatto piazzare Gaio Falminio con le sue legioni ad Arezzo ad attendere Annibale mentre da Rimini si stava avvicinando a marce forzate Servilio con le sue legioni per chiuderlo a tenaglia.
Quando il cartaginese passò ad Arezzo a vista d’occhio a fianco dalle legioni romane, Flamino lo fece passare con l’intento di tallonarlo fino all’arrivo di Servilio.
Qui ci fu la mossa strategica inaspettata, infatti i Cartaginesi deviarono a sinistra e si infilarono nello stretto passo di Borghetto sul Trasimeno detto Malpasso e scomparvero alla vista di Flaminio oltre la collina che era quasi il tramonto.
I romani si accamparono nella valle di Cortona e Annibale fece accendere i fuochi sulla collina dove ora è Tuoro, ma di fatto non era così infatti fece disporre nella notte le truppe e la feroce cavalleria numida al comando del suo più fedele generale Maarbale sulle colline di Montegualandro all’uscita del Malpasso; quando di buon’ora le truppe romane si mossero verso Passignano caddero nell’imboscata e furono praticamente massacrati tutti perché senza via di scampo, lo stesso Flaminio morì per mano di Ducario, un Gallo della tribù degli Insubri che pare gli tagliò la testa come era loro usanza e per questo non si trovò più il corpo, nonostante che Annibale lo cercò a lungo per riservargli tutti gli onori (Tito Livio XXI, 6 1 ss.)(Polibio III, 84, 4).
Ora che la tenaglia era spezzata Annibale aveva il vuoto davanti a se verso Roma, ma sia l’avversità di Spoleto sia le truppe di Servilio che stavano arrivando creavano problemi alla sua marcia quindi decise raggiungere l’Adriatico evitando la Flaminia e lo scontro con il Console.
Servilio per anticipare il Cartaginese mandò avanti la sua cavalleria forte di 8000 uomini (Livio) per occupare la pianura di Pistia e chiudere i passi sulle alture dell’Appennino.
Quando Annibale arrivò la cavalleria romana di Centenio era schierata ai piedi del monte Trella che sbarrava completamente il passo.
Un primo attacco frontale rimase senza successo, intanto le sue truppe leggere si erano avvicinate a circa 5 chilometri da Spoleto ma non avevano nessuna intenzione di perdere tempo ad espugnare la città ostile quindi ripiegarono al ricongiungimento con le altre truppe.
Qui è doveroso ricordare l’episodio degli Spoletini che quando videro i Cartaginesi avvicinarsi alla città si abbarbicarono sulle mura e da una torre cominciarono a gettare l’olio bollente contro gli assedianti che si diedero alla fuga; la torre da cui fu sferrato questa difesa è la torre dell’olio che ancora oggi svetta sulle mura di Spoleto.
 

Il teatro della Battaglia

Diversi autori storici dell’epoca ci descrivono lo scontro, Livio, Cornelio Nepote, Appiano, Polibio ma nessuno specifica il luogo esatto dove avvenne (come tra l’altro avvenne al Trasimeno, dove solo ora si è capito che si trattava della piana di Tuoro); Livio e Appiano parlano inequivocabilmente di “Palude Plestina“.
Il Rossetti, già parroco di Cesi e quindi buon conoscitore della geografia dell’altopiano, afferma che “l’alto monte” sovrastante la palude indicato da Appiano, nonostante che tutti i bracci della palude plestina sono circondati da monti che li sovrastano, sia il monte Trella, il più importante poiché era quello ad oriente dove si incanalava l’antica strada romana proveniente da Spoleto e diretta verso Plestia la suddetta “Via della Spina“.
 

Scenario ed esito dello scontro

Intanto va precisata la data dello scontro sui Piani Plestini in quanto alcune fonti lo datano tre giorni dopo la battaglia del Trasimeno, ma così non è.
Tutti gli storici convengono nel tempo di dieci giorni impiegati da Annibale per trasferire il suo esercito dall’Umbria all’Adriatico, dunque è lecito supporre che sotto le mura di Spoleto non ha potuto fermarsi più di un solo giorno, e forse Spoleto fu investita solo dalle milizie irregolari.
Fu facile perciò agli Spoletini respingerle, ma non ebbero la forza di recar serio danno al nemico, né di assalirlo alle spalle mentre scalava l’Appennino.
E’ facile supporre che se l’episodio del Trasimeno avvenne come confermano tutti gli storici, die IX ante Kalendas ,Julias, cioè il 24 giugno, lo scontro di Plestia sarebbe avvenuto die III ante Kalendas , Julias, cioè il 29 giugno del 217 a. C. cinque giorni dopo e non tre.
Annibale dopo la vittoria del Trasimeno si trovava ad avere un esercito composto da pochissimi cartaginesi e da parecchie decine di migliaia di mercenari regolarmente assoldati, con gran numero di alleati (celtiberi e galli) che aveva trascinato con sé un po’ persuadendoli a riconquistare la loro indipendenza da Roma, ma più allettandoli con le prede.
Aveva quindi pochi combattenti e molti irregolari in gran parie gente raccogliticcia e dedita al saccheggio, ma che militarmente valeva quasi nulla.
S’era così trovato nella dura necessità di dover dare battaglia per sgombrarsi le strade verso una regione ricca e fertile quale il Piceno, e raggiungere l’Adriatico per far riposare le truppe, inviare messaggi a Cartagine e chiedere rinforzi, evitando il Tirreno che era ben presidiato dalla flotta Romana e dai loro affiliati.
Senza perder tempo in scaramucce e giravolte puntò quindi su Hadria presso la foce dell’Aterno in provincia di Pescara.
Con questo esercito non poteva puntare su Roma, città ben munita, quindi il suo obbiettivo era quello di distruggere i beni e le risorse dei romani non toccando invece quelli dei popoli non romani, in modo da sollevarli e incitarli alla rivolta esercitando così una penetrazione politica tra le popolazioni soggette a Roma.
Per raggiungere il Piceno Annibale evitò di passare per Perugia la quale, ben munita e fedelissima a Roma, aveva anche accolto i superstiti del Trasimeno.
Trovandosi sulla sponda sinistra del Lago, seguì la via più asciutta e comoda delle colline di Vettona (Bettona) traversando il Tevere sotto Brufa e seguendo sempre il percorso collinare andò a Mevania (Bevagna), passando per il pago umbro-falisco di Montefalco, evitando così anche le paludi della conca umbra e s’incamminò verso Spoletum, da dove comincia una strada diritta e comoda per il Piceno chiamata ancora oggi via della Spina.
Una strada pressoché diritta, non più lunga di una trentina di chilometri costruita presumibilmente dagli Umbri senza curarsi troppo delle pendenze, ma tendendo solo a farla breve, senza quote troppo elevate, e praticabile in ogni stagione.
La strada della Spina partendo dalle porte di Spoleto, saliva verso Oriolo e Silvignano alle falde del M. Maggiore (1428), risaliva il fosso della Spina fino a Spina Nuova (876), scavalcava il passo di S. Pietro e S. Paolo a quota 936, arrivava a Spina Vecchia 919 m. raggiungeva le Vene (836 m.), superava il Fosso di Piè di Cammoro (793 m.), Terne (corruzione di Taverne, luogo di sosta, a 717 m.), passava per Ponte San Lazzaro (706 m.), entrava nella valle la valle di Verchiano (784 m.), Civitella, passava nel piano della Madonna (una delle conche Plestine a 787m.), saliva al passo delle Fontanelle (o Felciti) per scendere nel Piano Plestino.
Questo fu il percorso che seguì Annibale.
Centenio che proveniva dalla via Flaminia, per raggiungere il valico di Colfiorito e sbarrare la via ad Annibale in attesa dell’arrivo delle truppe forti di almeno 80.000 uomini di Servilio, da Nocera Umbra deviò per una via non più lunga di 20 Km (tuttora esistente) verso Sorifa, qui proseguendo nella Valmarina fino a Cassignano ed Annifo giunse al piano della antica Plestia.
Centenio, una volta arrivato sull’altopiano occupò il Passo delle Fontanelle (o Felciti) tra il Monte Felciti e Trella, posizione strategica di prim’ordine, per avere due fortissimi capisaldi, e per essere in posizione dominante il sottostante piano della Madonna a sud da dove arrivava Annibale.
Per raccontare lo sconto seguiamo il racconto dello storico Appiano.
Annibale era in posizione di svantaggio e non era possibile affrontare con successo un attacco frontale, infatti un primo tentativo era andato a vuoto, infatti aveva di fronte a sé la palude Plestina, il monte che la sovrastava (Trella) e l’esercito di Centenio che bloccava il passo, o meglio il valico; interrogò le guide per sapere se ci fosse stata la possibilità di accerchiare la cavalleria di Centenio.
Le guide esclusero detta possibilità, ma di fatto una via esisteva e Annibale la trovò.
Fu così che Annibale mandò il suo luogotenente Maharbale con la potente cavalleria Numida ad aggirare il monte Trella e risalire nell’altopiano di Popola mentre lui attaccava frontalmente Centenio.
Circa i movimenti della Cavalleria Numida sussistono due tesi: la prima che questa abbia aggirato a destra il monte Felciti e sia arrivata alle spalle di Centenio, la seconda è che abbia aggirato il monte Trella a sinistra scendendo alle spalle dei romani. Questa seconda tesi è poco sostenuta perché a sinistra del Trella c’era la palude Plestina ed i fianchi del monte sono molto ripidi e difficilmente percorribili.
Mentre i due eserciti si battevano con un grande valore, Maharbale aveva già raggiunto la cima del Monte.
Lo scontro come sempre fu micidiale, e poco dopo cominciò la fuga e la strage dei romani accerchiati: 3.000 caddero, 800 furono catturati e i rimanenti a stento riuscirono a fuggire.
Quindi lo scontro avvenne nella piana tra Colfiorito, Cesi e Popola, dove ancora oggi nei campi si ritrovano tracce di reperti associabili alla battaglia che assegnò ai Punici un’ulteriore vittoria nei confronti dei romani.
Una volta superate le difese romane ad Annibale non restava che scegliere quale percorso fare per raggiungere l’Adriatico, per la Valle del Chienti-Esino c’erano 4 valichi ancora pericolosi e difesi dalle città vicine:
Il valico Pistia-Taverne-Pieve Torina detta “Val S. Angelo” dove tentò il passo ma ne fu scoraggiato e tornò in dietro.
La valle del Chienti, passo di Serravalle, ove per la stretta dei monti Annibale fu dissuaso a procedere, infatti erano passi difesi dagli Spoletini e dai Camerinesi.
Il passo di Annifo per la valle dell’Orve che conduce a Prolaqueum; qui ebbe degli scontri sanguinosi, e dovette traversare l’altipiano verso oriente sulla costa del M. Pennino.
Il passo “Bocche della Scurosa” per la Valle del Grillo ove si ebbe un altro scontro con i Nucerini e Matelici aprendosi il varco sulla via “Fosso dell’Afro” Prolaqueum-Septempeda.
È su questi valichi difficili che Annibale al dire di T. Livio ebbe “magna caedes” (scontri più sanguinosi) prima di proseguire per la Valle del Potenza Septempeda-Elvia Recina Adriatico, eludendo l’arrivo delle Legioni di Servilio.
Silio Italico conferma la notizia della battaglia avuta da Magone con Camerti sui valichi aiutati da Piceni (Amina) e Baresi (Punica li b. IV, 157): “Sternitur impulsu vasto percussa Camertum Prima phalanx; spessaeque ruunt conferta per arma Unde Bariorum sociata est amina deset“.
Superati questi ostacoli Annibale trovò la strada aperta per l’Adriatico, e in in pochi giorni raggiunse Hadria presso la foce dell’Aterno dove trovò riposo per le sue truppe sfiancate dalle numerose battaglie; il resto è storia e fu così che dopo questa battaglia Roma era sempre più stordita e disorientata e il Cartaginese restò in Italia per altri 14 anni.

Ricostruzione dello scontro.

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

1– Centenio arriva da nord e chiude con il suo esercito il Passo delle Fontanelle o Falceti.

2– Annibale che proviene da Sud dalla via della Spina che deve attraversare il Passo per dirigersi nel Piceno e quindi all’Adriatico.

3– Aggiramento del monte da parte della cavalleria Numida guidata da Maharbale che prende alle spalle la cavalleria romana. (altre teorie ipotizzano che la cavalleria abbia aggirato a sinistra il monte Trella, ma questa ipotesi è dubbia in quanto a sinistra c’era la palude e camminare con la cavalleria sui ripidi pendii del monte è cosa piuttosto ardua)

 

I Toponimi commemorativi

Scrive il Rossetti, che alcuni nomi, alquanto strani e significativi, di qualche località posta a poche centinaia di metri a sud-ovest del villaggio di Cesi, hanno affinità terminologiche riferite alla battaglia: Popola, Cotinello o Centiniello, Fraia o Afraia, Li Spagnoli, l’Area dei Cavalieri, strada di Fabbocconi, Manciolana, Cesi, Li Spedali, sono i nomi che circoscrivono l’area in cui avvenne la disfatta di Centenio e permettono di descrivere le fasi della battaglia che durò tre giorni: preparata il giorno innanzi, combattuta il giorno successivo, finita sul colle il terzo giorno, così scrive Polibio.
Ippolito Rossetti quale appassionato che era della storia Plestina e soprattutto ricercatore delle tracce della battaglia di Annibale, si è lasciato andare in interpretazioni fantasiose dei toponimi che secondo lui confermano lo scontro, anche se è inconfutabile che la battaglia fra i Romani e i Cartaginesi sia avvenuta proprio in questo altopiano.
Confronteremo per correttezza le interpretazioni del Rossetti con quelle di Raffaele Amici che ha fatto un’analisi studiata dei nomi delle località e la loro derivazione linguistica derivata dalle tracce delle influenze esterne dirette e più spesso indirette che l’hanno caratterizzata quali quelle umbre, sabine, illiriche, greche, etrusche, celtiche, romane, barbariche, bizantine e finalmente monastiche.
La toponomastica quindi mostra una predominanza nettissima di etimi tardo latini, popolari e medievali.
Dei toponimi sopra elencati daremo per prima l’interpretazione del Rossetti e poi quella che dovrebbe essere a livello linguistico:

Li Spagnoli = gli iberici guidati da Maarbale;
Piccolo bosco sulla sommità pianeggiante delle Allocchie.
La piccola, ma rigogliosa foresta deve il suo nome a un proprietario Spagnolo o almeno d’origine spagnola.
L’ultimo proprietario, prima dell’esproprio del 1920 da parte della Società Combattenti costituitasi alla fine della I Guerra Mondiale, è stato il Marchese Barugia di Foligno.

Fraia o Afraia = Afros, cioè africani;
Lat. farrea (arva) con metatesi di –r(r)- e normale passaggio di –e– in iato a –j-; quindi campi di farro.
Quando poi è sorto sul posto l’abitato, la denominazione, sentita come singolare pur essendo plurale neutro, è stata assunta dal villaggio.

Strada Fabbocconi = strada dove i romani vengono fatti a pezzi e a bocconi;
Il toponimo dovrebbe essere la risultanza delle due parole latine fagis buccones e, anche, risonanti al soffio dei venti, che lassù fischiano in maniera particolare.
Adesso i faggi non ci sono più, ma a meno d’un chilometro in linea d’aria c’è un bosco detto significativamente Lu Faitu e i Monti di Copana, dirimpettai, sono coperti di faggi.
Buccones poi è da bucca e significa dalle gote rigonfie.
Infine Buccus era una delle maschere delle Fabulae Atellanae, che caratterizzava il tipo che non sta mai zitto.

Ara dei cavalieri = alcuni della cavalleria romana riuscirono, risalendo il colle, a salvarsi;
Questo termine seppur fantasioso mette un po’ d’accordo entrambi gli autori infatti:
Lat. area cioè aia, spiazzo, piccola zona pianeggiante.
Suggestiva, e tra tutte la più realistica, appare l’ipotesi che proprio lì si siano accampati, per passarci la notte precedente lo scontro, i lancieri e i cavalieri di Maharbale, prima di scendere a valle per azzuffarsi coi cavalieri romani guidati da Gaio Centenio, scontro ricordato con cenni, per la verità molto sommari e non univoci, dagli storici antichi: Polibio, T. Livio, Cornelio Nepote, Appiano d’Alessandria e Zonara bizantino.

Cotinello o Centiniello = un nome che con certezza ricorda Centenio;
E’ così chiamata una sorgente acqua piccola ma perenne vicina al villaggio di Fraia.
Lat. Cotinelli dimin. di cotinus, greco ktinos, oleastro, poi arbusto in genere; ce ne dovevano crescere molti un tempo.

Popola = Popoli stranieri invasori;
Dal lat. (arx) populea, con sineresi di –ea in –a, cioè rocca vicina ai pioppi, che svettano, e più ne svettavano nei prati sottostanti.
Si sa che populus in latino significa appunto pioppo .

Li Spedali = qui vi sono state rinvenute tombe, salme con a fianco le proprie armi.
Ripe prative alle falde occidentali di Trella: son detti de li Spedali, perché appartenenti all’Amministrazione Ospedaliera di Camerino.

Cesi = Dal latino caesi cioè caduti (in battaglia) riferito ai soldati romani sopraffatti dai Cartaginesi;
II nome antico Le Cese, da cui il moderno Cesi, non è che il part. pass. del verbo latino caedere, caesae (silvae), cioè macchie tagliate, quindi spazio ottenuto diboscando.
Può derivare anche da caesi cioè caduti che lo riferirebbe ai cavalieri romani del propretore G. Centenio, però questa spiegazione sembra avere minor credito.

Il toponimo di Annifo, secondo il Rossetti sarebbe stato una prova certissima della venuta di Annibale a Plestia; Annifo deriverebbe da Annibal fuit, vale a dire, qui é venuto Annibale.
Annifo deriva da (ad ninphas) cioè luogo consacrato alle ninfe, del bosco, ed infatti fino a tempi a noi vicinissimi sappiamo come la via e il monte di Annifo fossero tutti ammantati di bellissimi boschi d’alto fusto.

Fossu de lu Cecu = Questo toponimo mette d’accordo tutti gli studiosi perché senza ombra di dubbio certifica la presenza di Annibale e lo scontro con i Romani, infatti tale Fosso scende con direzione SE/NO tra Colle Puzzu e i Felceti verso il Piano del Casone, nei pressi di Taverne.
Li vicino stanno i Campi d’Annibale, dalla parte opposta del Piano i Campi di Servilio e, non lontane, le Cartagìne.
Giova ricordare che, dopo la battaglia del Trasimeno. Annibale si gettò recto itinere su Spoleto, ma repulsus (T. Liv . XXll,9,1) per la Via della Spina raggiunse questo Altopiano dove già Maharbale, per suo incarico, aveva seguito, impegnato e battuto i 4.000 cavalieri del propretore Centenio, che il console Servilio Gemino aveva mandato in avanscoperta, come narra Polibio (St. III, 86).
Il Cieco quindi è il Cartaginese, che, come tutti sanno, aveva perduto un occhio nel passaggio dell’Appennino, probabilmente per un’uveite purulenta che si trascinava dietro da qualche mese.
 

Esercito Romano

Andiamo ora ad analizzare per sommi capi la formazione dei due eserciti, quello Romano e poi quello Cartaginese per avere un’idea della differente formazione e struttura dei due eserciti.
Le riproduzioni sono state ricavate da descrizioni fatte dagli storici dell’epoca, disegni su ceramica, steli funerarie, statuette sparse per il mondo e conservati nelle collezioni museali e private, altre desunte da riproduzioni postume (la provenienza è tutta è documentata ma non del tutto in questo testo).
Cominciamo da quello Romano:

Velites, fanteria leggera
I contingenti di velites, che precedevano la fanteria pesante legionaria e davano inizio alla battaglia, erano tratti dalle classi più umili della popolazione.
L’armamento soprattutto difensivo era ridotto all’essenziale per queste truppe, che contavano principalmente sul requisito dell’agilità; essi portavano corti giavellotti (cerata), spada, piccolo scudo rotondo ed elmetto di bronzo o di cuoio.
La figura di sinistra ha coperto il casco con una pelle di lupo, segno, secondo Polibio di distinto valore; in quella di destra si distingue la particolare impugnatura del giavellotto, con l’amentum, la correggia di cuoio avvolta intorno all’asta, che andava tenuta tra le dita al momento del lancio per aumentarne la forza.

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Fanteria pesante di linea (hastati, principes)

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Ancora alla vigilia delle guerre puniche erano almeno teoricamente i singoli a provvedersi dell’armamento individuale; e questo, pertanto, non era del tutto omogeneo, benché tipologicamente caratterizzato.
Le due figure a destra e al centro portano i pila, i lunghi giavellotti in dotazione ai primi scaglioni della fanteria legionaria: bastati e principes.
Il primo, più leggiero, veniva scagliato a circa venti metri di distanza dal nemico; il secondo, appesantito da un tozzo cuneo di legno posto immediatamente al di sopra dell’impugnatura, veniva lanciato prima di compiere gli ultimi passi e di attaccare il nemico con la spada.
I legionari avanzavano quindi protetti da queste salve ripetute e fitte di dardi, destinate a scompaginare le file avversarie.
Nel disegno il loro armamento difensivo è costituito dal kardiophylax, la piastra metallica di forma rotonda o quadrata a protezione del torace, di cui parla Polibio; solo la terza figura, sulla sinistra, porta la lorica hamata, la cotta di maglia di origine celtica, ben più efficiente e completa.
Lo scudo è oblungo, simile a quello celtico, ma a struttura ricurva, caratteristico delle legioni, composto di lamine di legno disposte a strati alternati e sovrapposti, era ricoperto di feltro e rinforzato da una costola lignea e da un umbone metallico centrale.
L’elmo, di bronzo, è del tipo cosiddetto Montefortino, prodotto in serie già prima del conflitto annibalico.
La spada è il gladio iberico.
Benché un’arma simile fosse in dotazione alle legioni già al momento della calata cartaginese, i Romani ignoravano il segreto della tempra che ne costituiva il pregio principale, gelosamente custodito dai fabbri spagnoli: furono gli artigiani liberati a Cartagena che rivelarono agli uomini di Scipione i procedimenti necessari.
La gamba sinistra è protetta dallo schiniere.
Triarii
I triarii, maturi veterani di provato valore, costituivano il terzo scaglione della fanteria pesante legionaria.
Rispetto alle altre componenti, essi avevano una consistenza numerica dimezzata: la legione ordinaria contava solo 600 triarii, mentre 1200 erano i velites ed altrettanti gli hastati ed i principes.
Anche quando, come durante la guerra annibalica, l’organico veniva portato a 5 mila uomini o più, venivano proporzionalmente accresciuti gli altri scaglioni, ma il numero dei triarii restava invariato.
Essi venivano impiegati solo in contingenze particolarmente difficili: è rimasta proverbiale l’espressione “res ad triarios rediit” la situazione è talmente compromessa da dover essere affidata al valore dei triarii.
Questo scaglione, resisteva onde consentire alle prime linee, in caso di bisogno, di riorganizzarsi alle loro spalle; a ranghi serrati; i suoi componenti portavano pertanto, almeno fino alla riforma tattica attuata da Scipione, non i pila da getto, ma l’hasta, la lunga lancia da urto.
Alcuni di loro portavano l’elmo di tipo etrusco-corinzio.
Quest’arma ebbe vita operativa lunghissima; nota in ambiente italico fino dal V secolo a.C., essa fa parte dell’equipaggiamento delle legioni ancora sui rilievi dell’ara di Domizio Enobarbo (fine II o forse prima metà del I secolo a. C.).
Con la nuova manovra avvolgente, sperimentata da Scipione in Spagna e perfezionata in Africa (soprattutto alla battaglia dei campi Magni), questo scaglione è destinato non più all’urto frontale, ma all’attacco sul fianco dello schieramento avversario: è verosimile pertanto che anche i triarii abbiano ricevuto in dotazione i pila da lancio, come il resto della fanteria pesante legionaria.

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Signifer e cornicen

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Durante l’età altorepubblicana le insegne (signa) dell’esercito romano recavano motivi diversissimi, da quello più diffuso, costituito da una mano aperta, alle figure di animali (il cavallo, il lupo, l’orso, il cinghiale. etc.); solo con la riforma di Mario, infatti, l’aquila divenne il simbolo delle legioni.
È dubbio, infine, se la barra traversale dell’insegna recasse o meno il numero del reparto.
Ogni manipolo aveva il proprio signifer, prescelto dal centurione; tra i soldati che più si erano segnalati per il loro valore, distintivo del quale era forse, come per i velites, la pelle di fiera che ne copriva l’elmetto.
Ricordando il culto reso alle insegne e il loro primitivo valore totemico, alcuni studiosi riconducono l’origine delle pelli d’animale all’antico abbigliamento dei sacerdoti nelle culture tribali, dei quali i portainsegne sarebbero discendenti in linea diretta.
Anche il cornicen di ogni reparto era scelto dal centurione.
Centurione
La legione stessa eleggeva, in numero di 30, i primi centurioni, incaricati di guidarne i manipoli.
Ciascuno di questi uomini riservava a sé la prima centuria; e sceglieva poi a sua volta un secondo sottufficiale, cui affidava il comando dell’altra unità che componeva il suo reparto.
La ricostruzione dell’equipaggiamento è congetturale, o almeno è fondata su elementi di molto posteriori.

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Tribuno e console

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Il tribuno è uno dei sei che componevano l’ufficialità delle legioni.
La dotazione bellica del personaggio ha caratteri molto più simili all’armamento greco che a quello del comune legionario romano.
Il tribuno tiene in pugno una lancia di tipo greco ed imbraccia lo scudo rotondo da oplita; l’elmo è attico, di tarda epoca ellenistica; la corazza con spalline, di tipo anatomico, è in bronzo, corta alla vita ed orlata da due file di pteruges, bandelle di cuoio che proteggono il basso ventre.
La fascia che gli cinge il tronco è il simbolo del grado, mentre il colore del mantello e la banda sull’orlo della tunica indicano il rango sociale del personaggio.
La figura sulla destra rappresenta un console, o comunque un magistrato cum imperio, abilitato a comandare gli eserciti della Repubblica.
La corazza anatomica e l’elmo di tipo attico sono riccamente decorati a sbalzo; la spada, uno stocco sottile e adatto a colpire di punta assai più che di taglio, è probabilmente il parazonion di tipo greco.
Cavalieri romano-italici
L’armamento dei cavalieri romani ed alleati può essere ricostruito, sia in via del tutto congetturale, sia sulla scorta di un gran numero di statue, rilievi e dipinti.
Spesso i cavalieri indossavano un elmo a campana, di tipo italico e la cotta di maglia.
Prezioso è il dettaglio della bardatura del cavallo.
L’armamento del cavaliere è tipicamente ellenistico, come doveva essere talvolta quello dei Romani: piccolo scudo rotondo (panna equestris) decorato con gorgoneion, corazza lintea orlata di pteruges, elmo attico con pennacchio.
Alcuni di loro avevano una sella è di tipo celtico e il casco frigio simile a quelli raffigurati su numerose urne etrusche, la corazza lintea è rinforzata nella parte superiore da scaglie metalliche, nella parte inferiore da anelli, pure metallici, cuciti sul tessuto; lo scudo rotondo, con gorgoneion centrale, è forse dello stesso tipo impiegato anche dagli ufficiali etruschi e romani.

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Armature

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Nella sequenza di immagini sono raffigurati, da sinistra, un esemplare di lorica anatomica (con, in basso, il particolare dell’allacciatura); una spada con fodero (gladio), un pilum di tipo pesante (con il particolare relativo all’inserimento del ferro); un sandalo legionario aperto.

Nella seconda foto sono raffigurati, dall’alto e da sinistra, i due tipi di elmo (etrusca-corinzio e Montefortino); la vista in sezione di uno scudo (con la disposizione dell’umbone metallico, la sequenza dei diversi strati lignei, la copertura in pelle o in stoffa); una cotta di maglia (con il particolare dell’attaccatura dello spallaccio sinistro) e le fasi di unione degli anelli metallici.

 

Esercito Cartaginese

Cavalleria leggera numidica
Oltre che sul dato degli autori antichi (Polibio e Livio soprattutto, ma anche Appiano, Strabone, Lucano, Silio Italico etc), la ricostruzione di queste figure si fonda soprattutto su fonti iconografiche, stele e figurine in terracotta, provenienti dal Nord Africa o dall’Italia meridionale (come quella da Canora, risalente al III secolo a.C., conservata al Museo del Louvre), e alcuni rilievi della Colonna Traiana; a tre secoli di distanza armamento e caratteri delle cavallerie berbere non erano cambiati di molto.
Pur non potendo in alcun modo costituire una valida forza d’urto, i Numidi erano forse la miglior cavalleria leggera del mondo antico; erano in grado di impegnare con i loro continui caroselli, come avvenne sul campo di Canne, anche forze assai più pesantemente armate.
Tale cavalleria era preziosa per la ricognizione e per l’interdizione, indispensabile per l’inseguimento di nemici sbandati ed essenziale nelle imboscate.
Questi superbi cavalieri montavano a pelo cavallini africani, di dimensioni non superiori a quelle di un pony, che guidavano con la pressione delle ginocchia e come si desume da un particolare della Colonna Traiana con l’aiuto di una correggia di cuoio intrecciata legata attorno al collo dell’animale.
Il loro armamento era ridotto all’essenziale: giavellotti da lancio e piccolo scudo rotondo in vimini di tipo nord-africano e di un lungo coltello di tipo berbero.
Nelle loro usanze di guerra i Numidi erano soliti recidere al nemico i tendini delle cosce o dei garretti scavalcandolo e lasciandolo a morire dissanguato.

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Cavalleria pesante libica

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

I caratteri del cavaliere pesante sono del tutto opposti; l’armamento è quello pesante dei cavalieri ellenistici; elmo di tipo tracio, corazza lintea rinforzata da scaglie metalliche, pesante lancia da urto, spada di tipo greco.
Cavalleria pesante gallica
I Celti fornirono, prima ad Annibale e poi agli stessi Romani (cfr., ad es., Liv.. XLI, 21), contingenti di ottima cavalleria pesante.
I soldati indossano cotte di maglia a mantellina, di tipo celtico e Montefortino; la cappa che protegge le spalle è staccata dal resto della corazza per consentire un uso più agevole della lunga spada, maneggiata al di sopra della testa con movimenti a mulinello e adatta a colpire soprattutto di taglio.
Di tipo celtico sono anche gli elmi, che in alcuni casi erano provvisti di un alto cimiero (un esemplare è stato rinvenuto a Filottrano, nel territorio dei Senoni, e conservato nel Museo di Ancona) e verosimilmente identifica un capo tribù o un capo di guerra.
Le spade di entrambi sono del solito tipo “a labbra” e tipica del mondo celtico come la catena che sorregge il fodero.
Lo scudo è di forma rotonda, diverso da quello in dotazione alle fanterie, mentre di tipo celtico sono i finimenti e la sella, decorati con phalerae.

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Cavalleria iberica

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Di piccole dimensioni, assai rapidi, resistenti alla fatica e adatti a qualunque tipo di terreno, i cavalli spagnoli non erano probabilmente molto diversi da quelli africani.
Polibio (III, 65, 6; cfr. Liv. XXI, 46, 5) distingue i Numidi dai cavalieri le cui montature erano invece provviste di morso: forse solo la presenza dei finimenti permetteva di riconoscere i cavallini iberici.
Essi portavano sul dorso una coperta di lana a mo’ di sella, trattenuta da un sottopancia di cuoio, ed avevano briglie e morso di forma particolare.
Abbigliamento ed armamento dei cavalieri era simile a quelli numidi cioè indossavano una tunica stretta in vita da un largo cinturone, bacinetto, probabilmente in cuoio, sormontato talvolta da cresta equina; come armi erano dotati di caetra, falcata e giavellotto.
La caetra, quando non veniva impiegata, era appesa dietro la spalla sinistra, appoggiata al balteo che reggeva la falcata.
Talvolta non disdegnavano di smontare da cavallo per combattere come fanti, guerrieri come questi privi di qualsiasi armamento difensivo costituivano un corpo di cavalleria leggera; non mancavano tuttavia, soprattutto tra i Celtiberi, reparti montati provvisti di corazze di tipo celtico o di tipo greco, impiegati come cavalleria pesante.
Cavalieri Campani e Lucani
La ricostruzione di queste figure si fonda su alcuni preziosi reperti archeologici nonché sulle pitture parietali di Paestum e di Capua.
Secondo Polibio questi guerrieri indossavano un’armatura a piastra (il kardiophylax) che era in dotazione alle truppe romane ancora durante e dopo la guerra annibalica.
Alcuni soldati non indossavano corazze ma portavano semplicemente elmo e cinturone metallico; gli elmi sono del tipo cosiddetto attico, caratteristico dell’Italia meridionale è il motivo decorativo delle ali in bronzo.
Particolare è anche l’armatura dei cavalli, composta di testiera e pettorale in bronzo.

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Elefante da battaglia

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Nella campagna italiana Annibale non poté disporre di elefanti; infatti quelli scampati alla traversata delle Alpi erano morti tutti durante una tempesta di neve subito dopo la battaglia del Trebbia; tutti tranne uno (del quale conosciamo anche il nome Surus, quello che Plinio, citando Catone, ricorda come il pachiderma più resistente e valoroso della guerra annibalica) che aveva accompagnato l’esercito punico oltre l’Appennino.
Questo era un elefante indiano venuto, come sembra dal suo nome, attraverso la Siria.
I Cartaginesi, appresero da Pirro l’uso di questo strumento bellico, impiegarono però una varietà africana ora estinta, il cosiddetto elefante delle foreste (Loxodonta Africana cyclotis); più piccolo di quello indiano, era montato e guidata in battaglia da un solo cornac (raffigurazioni dell’animale appaiono su due stele da Salambo e sul rovescio di numerose monete barcidi di Spagna).
Erano protetti da piastre metalliche sospese sui fianchi.
Fanteria pesante celtiberica
Questi soldati avevano la spada, il gladius hispaniensis è simile allo splendido esemplare proveniente dalla necropoli di Las Cogatas (Avila); la cotta di maglia orlata di pteruges a difesa dell’addome, è documentata in diverse pitture vascolari.
Quanto allo scudo, esso è quello oblungo di tipo celtico, in uso anche presso queste popolazioni; la protezione del guerriero è composta di due diversi elementi: di scaglie metalliche nella parte superiore, di maglia nella parte inferiore del tronco.
Poiché presso gli Iberi furono in uso corazze lintee probabilmente simili a quelle greche, l’armatura in questione potrebbe essere appunto di lino, rinforzata con scaglie ed anelli metallici cuciti sul tessuto.
Di tipo celtico sono l’elmetto e la lunga spada, allogata nel caratteristico fodero con punta traforata “a labbra“.

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Fanteria leggera iberica

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

La fanteria iberica leggera era costituita da soldati chiamati caetrati; essi impugnano le armi caratteristiche della fanteria leggera iberica, la caetra appunto, dalla quale prendono il nome, e la falcata.
La caetra era un piccolo scudo rotondo, di cuoio, vimini intrecciati o legno, con umbone ed impugnatura metallici.
La falcata era una spada leggermente ricurva, lunga 55-60 cm. e adatta a colpire soprattutto di taglio, simile al kukri ancor oggi usato dai Gurkha.
In uno scomparto esterno del fodero (di solito in legno o in cuoio) era contenuto talvolta un corto pugnale.
I guerrieri portavano una corta tunica bianca con bordo scarlatto, a maniche corte, (così la descrive Polibio III, 1 14, 4), cinturone e casco di cuoio sormontato da criniera equina; altri combattevano a capo scoperto, e indossavano una pesante veste imbottita, probabilmente di cuoio.
Altri infine, coprivano la corta tunica con una sorta di lungo poncho; il loro armamento comprendeva, oltre alla lancia, anche la falcata, la cui impugnatura era sotto il mantello.
Altre armi caratteristiche delle genti iberiche erano il soliferrum (o saunion, la lanche di Polibio), un lungo giavellotto sottile, interamente in ferro (Liv. XXXIV, 14, 11) e la phalarica, descritta da Livio (XXI, 8, 10-12; XXXIV, 14, 11) come un’asta di ferro con lunga punta metallica.
A quest’arma veniva spesso fissato un batuffolo di stoppa intinto nella pece, destinato ad avere effetto incendiario.
Fanteria pesante libica
L’armamento di questo corpo di élite subì nel corso della guerra una trasformazione profonda.
La fanteria di linea africana era equipaggiata, in origine, con una panoplia in tutto simile a quella degli opliti greci.
Erano dotati di una lunga picca, elmo di tipo tracio-macedone, corazza lintea ellenistica rinforzata come d’uso con scaglie metalliche e un grande scudo rotondo di tipo oplifico; quanto al pegaso che lo decora, è anch’esso un motivo greco.
Con la vittoria al lago Trasimeno e ancor più con quella di Canne, quasi tutti i veterani libici e spagnoli (e probabilmente molti dei guerrieri celti che combattevano nell’esercito di Annibale) ricevettero in dotazione le cotte di maglia, gli scudi ed i pila tolti ai caduti romani; gli uomini delle ultime file, tuttavia, conservarono probabilmente la lunga lancia da urto, necessaria a fronteggiare l’attacco dei triarii.
Per quanto concerne la spada, Annibale aveva avuto modo di apprezzare fino dalle sue prime campagne la straordinaria efficacia del gladius hispanicus in dotazione ai suoi mercenari, e alle tribù iberiche indipendenti, e quasi certamente fornì di queste armi tutte le sue truppe migliori.

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

 

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.


 
Fanti gallici

Benché proprio i Celti, pare producessero le cotte di maglia fino dal 300 circa a.C., l’uso di questi manufatti era riservato, forse per il loro alto costo, esclusivamente ai capi e ai notabili; i semplici guerrieri erano armati soltanto di spada e di scudo.
I Galli erano soliti farsi una particolare acconciatura chiamato torques ottenuta trattando i capelli con la calce.
Malgrado fossero quasi tutti privi di un vero e proprio armamento difensivo, i Galli preferivano di solito combattere nelle file della fanteria pesante.
Delle truppe celtiche Annibale si servì sempre come di una forza da sacrificare senza troppi rimpianti, per ammorbidire la resistenza dei Romani prima di gettare in battaglia í suoi reparti di élite, e i Galli, malgrado le pesanti perdite che ciò comportava, accettarono il compito senza esitare, sentendolo forse come segno di onore.
Alcuni di loro portavano un elaborato elmetto in bronzo e in ferro, una lunga spada nel fodero “a labbra“, un grande scudo ovale con decorazioni e usavano spesso un’insegna con raffigurato un cinghiale.
Nella loro usanza di guerra erano soliti recidere la testa dei nemici, (come avvenne al Trasimeno con il Console Flaminio di cui non si trovò mai più il corpo).

Fanti sannitici

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Sull’armamento di questa popolazione si è molto discusso.
Quelli tra i Sanniti che erano emigrati verso la costa vennero ben presto in contatto con le genti greche qui residenti, e il loro costume ne risentì profondamente; sicché è difficile stabilire con sicurezza quali caratteri della loro panoplia siano genuinamente sannitici e quali siano invece dovuti all’influenza greca.
Alcuni guerrieri portavano elmo attico, grande scudo rotondo di tipo oplitico, corti giavellotti da lancio, largo cinturone metallico e corazza a triplice disco; è proprio quest’ultimo l’elemento più caratteristico dell’armamento sannitico.
Nell’età delle guerre puniche i Sanniti conoscevano ormai la cotta di maglia di tipo romano, e probabilmente alcuni di essi l’avevano anche adottata; ma altri continuavano ad impiegare l’armatura nazionale.
I Sanniti facevano uso di una spada di tipo greco, la kopis.
Frombolieri iberici
Da notare, oltre alla funda (fionda) che impugnano, la sacca dei proiettili e due altre frombole, di lunghezza variabile, una spesso legata in vita, l’altra legata intorno alla fronte.
I due personaggi sono armati con la falcata, la temibile sciabola iberica, e appesa sul dorso della figura di destra si intravvede anche la caetra, il piccolo scudo rotondo in cuoio, vimini intrecciati o legno caratteristico di alcune genti spagnole.

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

Squamata Iberica

Annibale, il più grande stratega della storia durante la “Campagna Italiana” nella Seconda Guerra Punica ha attraversato in lungo ed in largo la nostra Regione dova ha combattuto una delle più famose battaglie della storia, quella del Trasimeno, però pochi sanno che pochi giorni dopo ne ha combattuta un’altra sull’Altopiano di Colfiorito dove ha massacrato la cavalleria romana di Centenio grazie all’intervento del suo luogotenente e stratega Maharbale a capo della inarrestabile cavalleria Numida che gli ha risolto quasi tutte le battaglie.
Anche qui a Colfiorito questo intervento si è rivelato determinante.

In questo disegno sono rappresentate, da sinistra a destra, una lorica squamata (o piumata), in cuoio ricoperto di scaglie metalliche; il sistema di fissazione delle scaglie; e la falcata, la tipica sciabola iberica, con relativo fodero (al quale è attaccato un pugnale, di forma analoga).

 

Nota di ringraziamento

Ringrazio di vero cuore Fugnoli Stefano e Chiara Riga per aver dato il loro contributo alla realizzazione del post, impegnandosi a colorare i modellini disegnati dei soltati Romani e Cartaginesi, basandosi su altri modelli simili, antiche stampe che hanno permesso di ricostruire l’abbigliamento delle due truppe secondo uno schema più veritiero possibile, ovviamente dando anche libero sfogo alla loro incontenibile fantasia giovanile.
 

Fonti documentative

Leonardo del Turco – Un episodio della seconda guerra Punica; La battaglia di Plestia – Estratto dalla Rivista “Perusia” Fascicoli N° 3 e 4 del 1934 XII
Giovanni Brizi, Ermanno Gambini, Luca Gasperini – Annibale al Trasimeno Indagine su una Battaglia – Lombardi editore 2018
Scuola Media di Colfiorito – A proposito della Battaglia Plestina (217 a.C.) La Via della Spina – Comitato “Sagra della patata rossa” Colfiorito 1988
Gianni Granzotto – Annibale – 1996
Gilbert Charles Picard – Annibale – 1990
Raffaele Amici – Toponomastica dell’altopiano Plestino – in Bollettino Storico della città di Foligno 1985
Ansano Fabbi – Antichità Umbre – 1971
Ippolito Rossetti – La colonia romana di Spoleto e gli Altopiani Plestini nella II guerra punica – in “Quaderni dell’Appennino Camerte” n 11 Seconda Serie 1964
 

Mappa

Link coordinate: 43.009799 12.901604