San Bartolomeo di Tevellaria – Pian di San Martino Todi (PG)


 

Cenni Storici

Sede di una pievania tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo risulta confinante con il plebato di Santa Maria di Petriolo, con quello di Santa Maria del Monte e con il fiume Tevere.
Tra le 19 pievanie del comitato tuderte elencate nel 1290, quella di San Bartolomeo è una delle meno estese e con il minor numero di fuochi, anche se conta una delle ville più popolose del contado (Pian di San Martino).
Singolare è che per essa mancano i Catasti trecenteschi invece pervenuti per tutte le altre circoscrizioni.
Dal Liber Focolarium del 1290 il plebato, che contava 71 fuochi, era composto da sei ville:
Pian di San Martino con 28 fuochi, Poggio Albrico con 12 , Cecanibbi con 9, San Giovanni di Tevellaria con 9, Tevellaria con 9, Santa Maria della Cerossa con 4.
Nel 1399 conta ben nove chiese, compresa quella omonima del priorato: San Martino, San Lorenzo in Valle, San Giovanni in Valle, San Giovanni di Tevellaria, San Giovanni de Heremo Canali, Sant’Antonino, Sant’Angelo di Cecanibbi, San Giorgio di Poggio Albrico.
A quest’elenco si aggiunge dopo il 1416 la chiesa di San Sebastiano all’interno di Torre Piera.
Per quanto riguarda l’origine del termine Tevellaria, o Tavellaria o Tabellaria riferito alla chiesa di San Bartolomeo, alcuni lo fanno derivare dal latino Tiberis hordes, in relazione alle piene del fiume Tevere, mentre l’Alvi da Tiburalia, nome indicante il vecchio castro tiberino o da Tiberis laris, relativo al culto della divinità protettrice del fiume.
Una lettura forse più semplice è la derivazione dal latino tabella (lettera, dispaccio) e il relativo aggettivo tabellaria; il tabellarius era il portalettere, il corriere.
Tabella è anche il diminutivo di tabula, tavola o tavella (grosso mattone), forse da riferire ad un insediamento produttivo di laterizi.
Comunque qualunque sia la sua etimologia, religiosa, con sostituzione del culto pagano-naturistico con quello cristiano, o collegata alla sua funzione viaria o relativa al centro di produzione, è certo che la scelta di farne una sede plebana è indicativa del ruolo svolto all’interno dell’area.
Certamente la sua posizione sopraelevata ne faceva un punto nevralgico per il controllo territoriale.
La chiesa di San Bartolomeo probabilmente è sorta sopra o nei pressi di una stazione di posta o di cambio di cavalli, in un luogo importante dal punto di vista della viabilità sia in direzione Perugia, sia in direzione Orvieto.
La chiesa di San Bartolomeo “è poco distante dalla diruta chiesa di Sant’Antonino situato su una rupe: consueti habere unum priorem, qui eligebatur per capitulum Ecclesiae Tudertinae cum quatuor canonicis prebendatis qui erant: Ugolini Ioli prior, dominus Egidii Simarelli canonicus, dominus Monaldus Coli canonicus, dominus Franciscus Andreuzzi canonicus, dominus Monaldus Coli canonicus, Leo Bizzocchi canonicus; qui legitur et cetera in Sant’Angelo de Avigliano”.
Il Petti ci ha conservato un elenco delle chiese censuarie del capitolo redatto nel 1399, dove troviamo:
item ecclesia sancti Bartholomei de Tebellaria et Prior, qui in ipsa ecclesia pro tempore fuerit tenebatur Priori maioris Ecclesiae Tudertinae nomine ipsius Ecclesiae sancti Bartholomei promittere oboedentiam et reverentiam et annuatim dare unum bonum latum porci, et unam cosciam vaccae cum viginti quatuor panibus in festo sancti Bartholomei, vel quandocumque eidem priori maioris ecclesiae placuerit, et dare annuatim unum urceum olei in festo sancti Andreae, et dare annuatim unum albergum ipsi priori cum quatuor sociis, ita quod cum priore si ut quinque in equitibus a mense mai usque ad festum sancti Andreae, et ipsum priorem, et quatuor suos socios honorifice recipere, et alia facere tam in electione prioris quam in aliis, prout in instrumento publico, vel laudo manu Bonaccursi notarii confecta plenius continetur sub 1230 de die Kal. Februarii“.
Nel Libro dei Livelli del 1531(quando San Bartolomeo è già unito al Capitolo) si legge che nel 1242 l’elezione del priore spettava al Capitolo e al priore della chiesa di San Bartolomeo risultò eletto il prete Andrea che entrò in carica lo stesso giorno con disposizione firmata da Bonifacio vescovo di Todi.
Questa dipendenza così stretta dal Capitolo, che sarà ribadita anche in seguito, sta a significare che il vescovado aveva forti interessi su questa pieve sia di carattere religioso sia, e soprattutto, di carattere economico.
Una conferma forse ci viene, nel 1291, dalla notizia che è cappellano di San Bartolomeo un tale Giovanni che ricopriva anche la carica di rettore di Santa Prassede a Todi.
Chiarimenti su questo personaggio si ricavano da altri tre documenti.
Il 20 marzo del 1294 è nominato priore di San Bartolomeo e viene detto già cappellano di frate Matteo (il famoso cardinale d’Acquasparta).
Il 18 dicembre del 1300 il rettore di Santa Prassede paga la decima per conto di Giovanni, priore di San Bartolomeo.
Il 25 dicembre dello stesso anno, sempre per suo conto, è Tabolatius Raynerii a pagarla.
Il legame di Giovanni con Matteo d’Acquasparta indirizza ad analizzare il gruppo di potere che governava Todi alla fine del XIII secolo e, all’interno di esso, il ruolo svolto dalla famiglia Bentivegna o Bentivenga.
Occorre subito dire che, proprio dalla metà del Duecento, nel rapporto dell’istituzione con la chiesa locale si riscontra una coesione tra vescovi e magistrature civili.
Per legami parentali e convergenza d’ideali e piani politici si venne a creare una compattezza del ceto dirigente.
Fu la famiglia Bentivegna, che abitava nel rione di santa Prassede, a fornire i maggiori elementi per questo gruppo di potere.
Bentivegna dei Bentivegna, dell’ordine dei frati minori, fu vescovo di Todi dal 1276 al 1278 (dal 1278 al 1290 cardinale-vescovo di Albano).
Gli succedette suo fratello Angelario (vescovo dal 1278 al 1285).
Numerosi parenti di tali ecclesiastici appartennero alla classe notarile e in genere nobiliare (ad es. Gilio Bentivegna).
Occorre ricordare che nel Libro dei Fuochi del 1290 in relazione alla villa di Cecanibbi viene elencato come primo nome un certo Benvenutus Bentevegno.
Sembra logico pensare che tale posizione nella lista di un capofamiglia all’interno di una piccola villa con nove fuochi non sia casuale e debba corrispondere ad un ruolo di prim’ordine che svolge nella comunità.
Forse potrebbe riferirsi al proprietario del cassero, il torrione risalente almeno al XII secolo che domina in posizione centrale l’abitato.
Dallo stesso Catasto ricaviamo che nella villa di san Giovanni di Tavellaria ci sono due Bentevegne, Pucciaronus e Johanutius; anche in villa podij Albricii troviamo, come primo citato, Tudinellus Bentevegne e altri tre fratelli Ninus Brucius e Vanni sempre Bentevegno.
E’ molto probabile che molti dei territori, e forse anche alcune ville, che ricadono nel plebato di San Bartolomeo, siano appartenuti a tale famiglia sia a titolo privato sia come possedimenti vescovili.
Il già citato Giovanni, oltre i rapporti con Matteo d’Acquasparta, fu come detto priore di Santa Prassede, la chiesa di riferimento della famiglia Bentivegna e anche quando ricoprì, pochi anni dopo, la stessa carica in San Bartolomeo fu il suo collega di Santa Prassede a pagare per suo conto la decima.
Tutto avviene in uno stretto intreccio d’interessi che nasconde una certa “familiarità” d’azione.
Sul finire del Duecento questa compattezza e stabilità politico-istituzionale, oltre a favorire un programma di ripopolamento del contado con la concessione d’immunità fiscali, vide l’avvio di grandiosi progetti urbanistici all’interno delle mura di Todi: nel 1292 si iniziò San Fortunato, il tempio francescano per eccellenza e nel 1293 cominciò la costruzione del palazzo del Capitano del Popolo.
La presenza francescana nella diocesi tuderte sullo scorcio del Duecento è di grande importanza.
Oltre il vescovo Bentevegna, che fu sepolto in San Fortunato come suo fratello Angelario, anche un altro francescano Teobaldo Pontani nel 1296 ricoprì in città la stessa carica.
Accade spesso che i francescani s’insedino su precedenti comunità religiose benedettine: un simile passaggio si potrebbe ipotizzare per il convento di San Bartolomeo.
Dalle Rationes Decimarum del 18 dicembre 1300 al n° 10145 si legge:
Dominus Rucius rector ecclesiae S. Praxedis solvit pro domine Iohanne priore ecclesiae Santi Bartholomei de Tebellaria pro suis beneficiis XII lib. Pro quibus dedit IV fo. Aurii, IV ancon., IV den. Cort., in presentia Guidarelli et Iotti Iacopi“.
Invece al n° 10490 del 25 dicembre si legge: “Tabolatius Raynerii solvit pro domine Iohanne priore Santi Batholomei de Tebellaria pro decimo dicti termini XXII lib. et XVIII den. pro quibus dedit XXI sol. raven. et VI den. cort. in presentia predictorum et solverat pro rata“.
E’ di estremo interesse notare che il pagamento avviene con monete di diverse regioni della penisola.
Oltre le libbre compaiono fiorini aurei, anconetani e denari cortonesi.
Il 1300 è anno giubilare e tale varietà monetaria si potrebbe collegare ai flussi di pellegrini che si recano a Roma.
Nel secondo caso oltre libbre e denari vengono utilizzati soldi ravennati e denari cortonesi.
Nel 1406 era priore Ugolino di Iolo di Astancolle; nel 1462 lo era invece Luca Bartolomeo da Assignano che “concede in locazione ad Angelino di Baldassarre di Astancolle tutte le terre lavorative e sodive con i pascoli e i boschi appartenenti alla chiesa per nove anni dietro corrispettivo di otto quartenghi di grano e del pagamento di ogni spesa necessaria alla chiesa, al vescovato o al capitolo“.
Nel 1463 fu unito alla sacrestia della cattedrale e don Melchiorre di Pio Regensi da Tenaglie operaio della chiesa affittò le terre a Iolo Astancolle.
Durante la visita del vescovo Camaiani nel 1574 la chiesa si presentava in buone condizioni; l’altare maggiore era ornato con un’icona della Beata Vergine.
Nel 1597 San Bartolomeo è una chiesa battesimale, ancora unita al capitolo ed è un priorato semplice con quattro canonici e un priore.
Sulla mappa ottocentesca del Catasto Gregoriano il complesso religioso viene indicato con la lettera capitale B.
A metà del XIX secolo la chiesa risulta essere adibita a casa di villeggiatura per i canonici della cattedrale di Todi.
Piuttosto travagliate sono le vicende che riguardano la chiesa da un punto di vista architettonico, i documenti raccontano dei molti interventi di consolidamento e di restauro realizzati nel corso dei secoli.
Approssimandosi ai nostri giorni, si può citare l’Annuario della città di Todi del 1927 dove, relativamente a San Bartolomeo de Tevellaria si legge: “…Oggi la villa è ridotta a un fabbricato agricolo… che conserva però un aspetto di grandiosità e almeno in parte le vecchie mura formate di pietre oscure e rozze“.
 

Convento e chiesa di San Bartolomeo de Tevellaria

Dalla strada che conduce a Cecanibbi, poco prima del segnale turistico che ne indica la presenza, una strada bianca, che diverge alla sinistra di quella, conduce ad un viale che ben conserva il lastricato antico e che conduce al complesso di San Bartolomeo de Tevellaria.
Il convento benedettino di San Bartolomeo, situato su un’altura a dominio di tutto il territorio circostante, dal sec. XIII divenne la Pieve del Plebato omonimo: aveva in pratica sotto di sé tutte le altre chiese del territorio.
La chiesa di epoca romanica, con ingresso ad arco oggi murato, presenta la facciata a capanna realizzata con conci ben squadrati.
Fino a non molti decenni fa vi era ancora addossato una specie di portico utilizzato come rimessa agricola.
Dalle foto dell’epoca si potevano ancora notare il campanile a vela con relativa campana e un’elegante bifora con colonnina centrale e sopra il capitello un concio che recava scolpita una croce greca.
Gli edifici si sviluppano intorno ad un cortile pavimentato dominato al centro da un pozzo-cisterna per la raccolta dell’acqua piovana.
A pochi metri dalla facciata, lungo la carrareccia che conduce verso Torre Francisci, si scorgono i ruderi di un fontanile ed abbeveratoio ormai nascosti dai cespugli.
Il lato ovest del complesso è occupato dalla piccola chiesa di Sant’Antonino.
Un interessante muro absidato risalente alla primitiva costruzione è visibile nell’ambiente destro, dietro l’attuale presbiterio.
Uno studio del sito basato sulle analisi murarie e uno scavo archeologico potrebbero far luce sulle origini cultuali dell’area e accertarne una datazione più antica, fino a risalire ad epoca longobarda. Una spia in tal senso potrebbe essere la dedica della chiesa a San Bartolomeo.
Si tratta di una “dedicazioni tipica” longobarda secondo il Bognetti come le consacrazioni al S. Salvatore, a san Martino, a san Michele Arcangelo a san Giovanni Battista e a san Giovanni evangelista.
Tali dediche le ritroviamo nelle chiese elencate nel 1399: San Bartolomeo di Tabellaria, san Martino di Pian di san Martino, sant’Angelo di Cecanibbi, s. Giovanni di Tabellaria, San Giovanni della Valle, San Giovanni de heremo canali.
La diffusione di tali culti, come quella per i martiri, avviene attraverso le vie di comunicazione e tra queste principalmente il Tevere.
E’ possibile che molte delle devozioni succitate provengano dal mondo culturale bizantino, avendo come direttrice privilegiata il percorso Ravenna – Roma.
I culti per s. Bartolomeo, santa Lucia, sant’Antonino e san Giorgio potrebbero essere giunti nell’area tuderte dal mondo bizantino, passando per Roma o Ravenna, essendone promotori i vescovi e loro principali diffusori i monaci.
 

Interno

Una breve rassegna occorre fare sulla decorazione ancora superstite nella chiesa di San Bartolomeo prima che essa svanisca completamente, viste soprattutto le condizioni fatiscenti in cui versa l’intero complesso conventuale.
Nella visita pastorale del 27 agosto del 1592 la chiesa di San Bartolomeo è già definita rurale, mentre dalla visita del 1593 si ricava un’informazione importante: “Postea accessit ad ecclesiam ruralem – sotto l’invocazione di san Bartolomeo- ….. quidam imago san bartholomei parva et indecora in latere dextero dicte ecclesie delende“.
Il motivo del degrado è spiegato nella Visita apostolica del 1597 (Possevino + Cesi): “tabula cum quadam pictura antiquissima in qua est depicta immmago sancti Bartolomei parva decentior non fuit combusta…, altare dextro tabula comburi“.
E’ forse l’incendio che ha posto fine all’importante storia di questa pieve.
La chiesa attuale è divisa in due locali distinti da una cortina muraria posticcia.
Nel primo vano, sulla parete destra all’interno di una nicchia definita da lesene con motivi floreali è inserita una figura con barba e capelli lunghi che tiene nella sinistra un libro (forse San Bartolomeo); indossa una veste gialla con colletto azzurro e un mantello rosso; la calotta della nicchia è raggiata e si vedono i segni delle incisioni da cartone.
La raffigurazione potrebbe risalire alla metà del XVI secolo ma la presenza di scialbi e muffe non consente ulteriori precisazioni.
Sul pavimento in parte divelto pochi scalini conducono alle sepolture.
Nell’ambiente successivo sul quale si apre il presbiterio, entrando a destra, alla base dell’arco absidale, è visibile una cornice gialla affrescata (cm 11 x cm 74) con stampi a foglie rosse: la parte interna è completamente coperta da una scialbatura e da colonie fungine.
Un piccolo pannello votivo raffigurante San Bartolomeo è realizzato sul muro sinistro dell’arco absidale.
In realtà dell’immagine si conservano solo le incisioni della cornice e quelle da cartone.
San Bartolomeo ha un aspetto scheletrico con testa grande e braccia piccole, tiene nella destra un coltello e con la sinistra regge sulla spalla la sua pelle.
Tracce cromatiche si sono salvate solo nell’aureola gialla e nella cornice gialla e rossa.
Per queste caratteristiche tecniche e per il formato (cm 62 x cm 85) è possibile collegare l’immagine al dipinto Madonna col Bambino affrescato nella cappella di Sant’Angelo nel castello di Cecanibbi. Sulla parete sinistra, dall’entrata, doveva trovarsi una grande composizione ad affresco delimitata da lesene (incise) che sostenevano un arco: nell’estradosso sinistro sono appena visibili due angeli, uno dei quali a mezzo busto con veste rossa.
Probabilmente poteva raffigurare una Natività o un’Adorazione dei Pastori.
Dalle poche tracce superstiti è possibile ipotizzare che nel XVI secolo un’ampia decorazione pittorica fu realizzata all’interno della chiesa.
Un giro negli ambienti conventuali circostanti conduce a richiamare l’attenzione su tre strutture.
La prima, accanto al vecchio muro absidale, è un piccolissimo vano basso interamente voltato in pietra con i conci disposti di taglio in senso longitudinale (forse il piano terra di una piccola torre di avvistamento antica); la seconda è la torretta adiacente che presenta ornamenti architettonici tipici delle palombare umbre; la terza racchiude le stalle che conservano ancora le mangiatoie.
Qui sulla parete di fronte all’ingresso sull’intonaco sono disegnati due carri di cui sono ben visibili le ruote.
Al piano superiore le abitazioni che conservano in alcuni ambienti tracce di decorazioni a tempera.

Visita apostolica fatta dal vescovo Camaiani il giorno 23 ottobre 1574 nella chiesa di
San Bartolomeo di Tevellaria

Proseguendo di gran lena la visita ispettiva, [il vescovo] giunse alla chiesa rurale di San Bartolomeo cui è unito il semplice beneficio di Sant’Antonino, nella tenuta del villaggio detto Cecanibbi in cui questa chiesa è posta.
Ne loda la pavimentazione perché forte e resistente: pochissime parti di questa hanno ceduto ma sono state tamponate con impasto di calce.
Una piccola porta conduce nella sacrestia sulle cui pareti sono ricavate varie edicole.
Le pareti sono rinforzate dalla calce e imbiancate.
Vi è appeso un piccolo e ornato armadio per la conservazione dell’olio per gli infermi.
Sopra la porta della chiesa sono state ricavate due finestrelle per l’illuminazione.
Allo stesso modo e per lo stesso motivo è stata costruita una finestra sopra l’altare di San Bartolomeo.
[Il vescovo rileva che] l’altare maggiore deve essere abbellito con una cornice lignea e con tutte le altre cose che servono a renderlo decente.
L’icona in cui è rappresentata la gloriosissima sempre Vergine Maria che sostiene il Redentore, anche se ben decorata, deve essere interamente rimossa e il suo posto deve essere preso da un’altra più conveniente immagine di San Bartolomeo; la grandezza di questa deve occupare tutto l’altare.
L’altare di San Bartolomeo deve essere ingrandito di molto, secondo quanto deciso dal Concilio: per cui o è demolito subito oppure ai sacerdoti che vi continuino a celebrarvi la messa li colpisca la pena della sospensione a divinis; una volta ricostruito nella forma prestabilita e fornito di tutti i requisiti, la chiesa sia chiusa e fornita di una robusta serratura, la cui chiave deve essere custodita dai pacifici abitanti del luogo.
Deve essere, inoltre, costruita una nuova custodia per i paramenti di seta e una per quelli di fustagno e per i manipoli; devono essere create le stole, l’amitto e il cingolo prima della prossima festa della Nascita di Nostro Signore, dovrà essere pronto anche il calice con la patena dorata e un corporale bianco pulito e purificato.
Anche la parte del presbiterio deve essere ristrutturato.
In questa chiesa, un tempo, ci furono degli antichi sacelli, ed ora ci sono, ben costruite e chiuse, le tombe in cui i corpi di tutti i morti, tanto di Cecanibbi tanto delle altre ville, trovano sepoltura in quanto manca il posto materiale nelle altre chiese parrocchiali: è stato fissato questo posto sia per la comodità delle tombe sia per le vicinanze delle altre ville.
Vi sono poi ampie e decorate cappelle presbiteriali che sono state aperte da qualche tempo dai signori che ne sono possessori e che risiedono qui comodamente con la loro famiglia.
Per quanto riguarda il fonte battesimale, è posto in un’arcata della chiesa ed è distinguibile in modo chiarissimo: più volte i vescovi precedenti si raccomandarono che venisse eretto in questo luogo.
[Nella chiesa] vi si celebra e amministra l’Eucarestia e vi si celebrano gli altri Sacramenti per i quali spesso sono celebrate le Messe.
Tuttavia ciò sarebbe meglio se venisse svolto nella prima domenica del mese per mezzo del cappellano del detto Cecanibbi e non durante la settimana dedicata ai defunti né durante la festa di San Bartolomeo in cui giungono qui numerosi sacerdoti che celebrano la festività.
Il vescovo, in comune con tutti i Signori Canonici, ha chiesto in assemblea e ottenuto in giudizio che fra quattro mesi abbia termine l’esecuzione delle opere che sono state demandate sotto la pena di dieci scudi; in caso di non soluzione si incorra nella sospensione a divinis per lo stesso fatto.
Finché l’indagine demandata non sia completata siano sequestrate le decime della chiesa e della sacrestia.
Il detto vescovo, praticati i detti sequestri, conferma la pena e nessuno ne sia escluso sotto la pena di venticinque scudi da applicarsi come sopra; questa da nessuno può essere sospesa se non dalla sede apostolica.
 

Fonti documentative

A. MANNAIOLI, A. TANTARI, Il plebato di San Bartolomeo. Ricerca storico toponomastica dei territori di Pian di San Martino e di Cecanibbi, in Colligite Fragmenta, Bollettino storico della diocesi Orvieto-Todi, II, Todi 2010, pp. 51-94.
AA. VV., Todi: circuiti del paesaggio, Comune di Todi, 2006.
M. LABATE, I dipinti murali della cappella di Sant’Angelo nel Castello di Cecanibbi di Todi (PG): vicende storico-artistiche e restauro, Tesi di laurea, A.A. 2010-11, Università degli Studi della Tuscia di Viterbo, Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali.
 

Nota

Il testo e parte della galleria fotografica sono di Marcello Labate.
 

Mappa

Link alle coordinate