Castello di Pale – Foligno


 

Cenni Storici

Quante volte, percorrendo la Statale 77 Val di Chienti che da Foligno conduce in terra marchigiana, abbiamo notato turisti fermi lungo i tornanti che precedono l’abitato di Pale, intenti a contemplare e fotografare lo splendido e seducente paesaggio?
Lo scoglio, le balze, i dirupi, l’acqua del Menotre che compare e scompare tumultuosamente tra gli anfratti della parete rocciosa, per poi proseguire tranquilla tra il verde dei lecci e l’argento degli ulivi fino alla confluenza del Topino, fanno di questa zona il luogo più bello e suggestivo dell’intera vallata.
Le prime notizie su di esso ce le fornisce lo storico Ludovico Jacobilli nella sua “Cronica della chiesa e monastero di S. Croce di Sassovivo” del 1653, anche se il più antico riferimento storico sull’esistenza di questo castello è del 970, allorquando come risulta da un atto notarile dell’epoca, Monaldo di Roderico I° dei conti di Uppello fece edificare a proprie spese nei pressi del paese la chiesa di S. Lucia.
In epoca successiva, in altri carteggi che datano 1082 e 1086, si parla di alcune donazioni di possedimenti posti in Pale, fatte dal conte Ugolino discendente di Monaldo alla chiesa di S. Maria del Vecchio di cui era monaco ed eremita Mainardo, futuro fondatore dell’Abbazia di Sassovivo. All’inizio del XII secolo, il conte Monaldo di Oderisio fece testamento in favore della stessa Abbazia donando due moggi di terreno.
Nel 1111 il conte Offredo di Gualtieri 3° donò a suo fratello Alberto, abate di Sassovivo tutto ciò che possedeva “in curte di Pale“, compresa la chiesa di S. Biagio posta all’interno del castello. Alla metà del XIII secolo, venne istituito in Pale l’ospedale della “Santissima Trinità“, presso il quale nel 1298 l’allora abate Angelo di Sassovivo delegò priore certo Benvenuto.
A tal proposito, numerosi documenti esistenti presso l’Abbazia testimoniano l’attività continuativa dell’ospedale perlomeno fino alla seconda metà del XVII secolo, allorquando da come si apprende da un libro di amministrazione della parrocchia di Pale, fu fondata la “Confraternità della S.S. Trinità” scopo precipuo della quale era quello dell’assistenza ai malati e agli infermi.
Pur se le notizie giunte fino a noi sono frammentarie ed incerte, si presume che l’edificazione del castello sia di gran lunga antecedente all’avvento dei Trinci, anche se il suo massimo splendore si ebbe proprio sotto la loro dominazione. Estinta la famiglia Trinci in seguito alle ben note vicende del 1439, il castello rimase proprietà del Comune e venne usato solamente come luogo di rifugio per gli abitanti e le loro masserizie in caso di pericolo.
Lo stesso Jacobilli nelle sue “Croniche della città di Foligno“, accenna ai Signori Priori di Scopoli che nel 1442, chiesero al Comune di poter riedificare castello di Serrone, in quanto lo stesso era indispensabile per la salvaguardia degli abitanti e a tal proposito aggiunge “…si crede ancora che in questo tempo fussero edificati li castelli di Scopoli e di Pale per timore dei nemici della chiesa…”. Poiché l’illustre storico parla di “riedificazione” del castello di Serrone, essendo storicamente accertato che i castelli di Scopoli e di Pale risultavano già esistenti, è verosimile l’ipotesi che anche per questi ultimi si sia voluto parlare di “restauro” e non di nuova edificazione.
Il castello di Pale non fu mai ritenuto strategico dal punto di vista militare, in quanto non di confine, ma la sua importanza economica dovuta soprattutto allo sfruttamento delle acque del Menotre, ne fece il punto di riferimento di tutta la vallata.
Sin dall’epoca pre – romana infatti, si hanno notizie di numerose opere idrauliche in zona, ma fu soltanto con l’arrivo della nobile famiglia degli Elisei di Foligno che il paese ebbe un enorme impensato sviluppo.
In alcuni manoscritti conservati nella biblioteca comunale di Foligno, il Coresi fa risalire già alla seconda metà del 1200 la presenza degli Elisei a Pale e a tal proposito così descrive il fatto: “… un istrumento di compera di un molino nel castello di Pale fatta da Gentile Elisei per rogito di Ser Pietro Foligni Dio-taiuti notaro, li 16 febbraio 1268…”.
Con l’avvento di questa famiglia, ebbe inizio l’utilizzazione dell’energia idraulica a scopo artigianale ed in poco tempo nella zona sorsero opifici, gualchiere, ecc.
All’inizio del secolo scorso Mons. Faloci Pufignani, nel suo studio “Le antiche cartiere di Foligno“, scrive che già nel 1256 i monaci di Sassovivo possedevano una gualchiera a Pale.
In un primo tempo fu solo una fabbrica di stracci, ma verso la fine del secolo (1280 circa) venne trasformata in cartiera.
La fiorente industria della carta, si espanse notevolmente negli anni a seguire, fino a raggiungere il suo apice nel 1900.
In quell’anno infatti si contavano in zona ben sedici stabilimenti. Nel corso dei secoli la carta di Pale divenne famosa in tutta la penisola, superando di gran lunga quella di Fabriano.
Appare certo che la carta usata per la prima edizione della Divina Commedia nel 1482 provenisse da Pale e che lo stesso Emiliano Orfini, insieme a Giovanni Numeister si recò sul luogo per controllarne la qualità.
Oltre un secolo dopo, precisamente nel 1590, il dotto Angelo Rocca bibliotecario vaticano ebbe a dire che: “la carta di Pale non ha chi la uguaglia in bontà...”. Adiacente alle cascate del Menotre all’interno del castello, gli Elisei nel XVII secolo diedero inizio alla costruzione di un sontuoso palazzo, ricco di pitture, giardini e piscine, nel quale soggiornarono numerosissimi illustri personaggi attratti dal fascino del paesaggio.
Tra questi vanno ricordati la regina Cristina di Svezia, Cosimo III Granduca di Toscana, Anna Violante di Baviera Granduchessa di Toscana, Isabella di Spagna, ecc.
 

Aspetto attuale

Attualmente il castello di Pale, in virtù della presenza all’interno delle sue mura della chiesa di S. Biagio e di numerosissime abitazioni, si trova in buono stato di conservazione.
Nella parte nord – est sulla sinistra per chi giunge dalla Statale 77, si possono ammirare le restaurate possenti mura, all’inizio delle quali si erge una torre quadrangolare e subito dopo due torrioni semicircolari molto ben conservati, sul primo dei quali è stato costruito in epoca successiva all’edificazione il campanile della chiesa parrocchiale Nella parte sud – ovest invece, le mura castellane sono ormai inesistenti e le poche rimaste, fanno solo da sostegno alle fatiscenti vecchie abitazioni ancora in piedi.
Al castello si accede attraverso due ampie porte ad arco poste una accanto all’altra all’inizio della stradina che conduce all’eremo di S. Maria Giacobbe.
A tutt’oggi comunque dopo lo sciame sismico del 1997, la parte interna del castello come del resto l’intero paese sono sottoposti a meticolosa e diligente opera di restauro.
 

La Dea Pale

La Dea Pale, o Pales, Palas, Palena, Balena, Belena o Pale ( maschilizzata in Palo o qualche volta in Falacer) , più volte identificata con Minerva.
Certamente Pale è una Dea Antichissima, associata spesso a Berenice Cibale Dea, Dea Dia, detta anche Magna Pale.
Assume le caratteristiche di Beleno, e della Dea Bona.
Era la Dea che proteggeva la pastorizia, i pastori, i pascoli ed in genera tutta la Natura.
Pale era una Dea italica festeggiata il 21 aprile con una festa di purificazione delle greggi, i Palilia (o Parilia) si accendevano mucchi di paglia o di fieno disposti in file e vi si conducevano attraverso i capi d’allevamento, seguiti dai pastori stessi, che procedevano saltando.
E’ probabile che palio, abbia la stessa origine di Pale.
Ma soprattutto Pale è il balzo , la roccia che affiora dalla montagna è che da lontano sembra un “palazzo”, parola che deriva appunto da Pale.
Per gli antichi la roccia affiorante (il balzo) era la manifestazione della divinità.
Uno dei Colli di Roma, il Palatino, era sicuramente dedicato a Pale, come altresì Palestrina, dove il Tempio a Pale diventa Tempio della Fortuna.
Curioso anche il termine Princi-Pale.
Palese, deriva da Pale (manifesto).
Palilicium è anche il nome antico della stella più brillante della costellazione del Toro (Aldebaran) che sorge il 21 aprile, festa natale di Roma (La costellazione del Toro è una delle dodici costellazioni Zodiacali; nel 4000 a. C. rappresentava l’equinozio di primavera, l’inizio dell’anno per le più antiche civiltà).
Palingenesia significa nuova nascita o rigenerazione; a volte si usava dire palingensia, per il passaggio dell’anima di un defunto, in un altro corpo.
Palinodia è invece un discorso cantato tipo salmo.
Come divinità dei pastori era anche chiamata, Dea Fumosa, Puerilia, Sacra, Antica, Prisca.
Un po’ come le “pulizie pasquali” che si usano ancora oggi, le Feste a Pale erano l’occasione per ripulire le stalle e le pecore.
Il pastore spruzzava d’acqua il gregge, scopava l’ovile e lo ornava di fronde, poi si andava al tempio di Vesta e ci si procurava il suffimen, il composto organico, quindi lo si bruciava su un fuoco acceso appositamente per quel rito; si saltava tre volte questo fuoco e ci si aspergeva d’acqua mediante un ramoscello d’alloro.
Il salto sul fuoco e l’aspersione d’acqua costituivano un rito chiamato suffitio che si compiva anche per purificarsi dopo esser stati ad un funerale, come ci informa Festo.
Sempre con acqua e fuoco si purificava a sera il gregge e l’ovile.
Si lavava e si spazzava nuovamente il pavimento, si ornavano le pareti con fronde e la porta con festone di fiori.
Si bruciava zolfo su un fuoco di legna resinosa, rami di ginepro e foglie d’alloro, si offrivano a Pales focacce di miglio in un paniere, latte e cibi esclusivamente vegetali.
Le offerte alla Dea venivano distribuite tra i presenti che le consumavano ritualmente.
Si pregava Pales con preghiera che veniva ripetuta quattro volte, guardando verso l’oriente. Nella preghiera si chiedeva perdono a Pale per un’infrazione del pastore o del suo gregge e se ne chiedeva l’intervento per placare le divinità.
Si chiedeva perdono per aver violare boschi sacri o alberi sacri; per aver tagliato fronde di boschi sacri; per aver fatto brucare le pecore sulle tombe; per essersi rifugiato col gregge in templi per sfuggire il maltempo; per aver intorbidito l’acqua di sorgente; per aver visto esseri divini: satiri, ninfe o altri geni dei luoghi selvaggi anche ignoti obbligandoli a fuggire.
Oltre al perdono si chiedeva protezione per le greggi, abbondanza di pascoli e di acque, abbondanza di latte, abbondanza di parti e buona qualità delle lane.
L’officiante infine beveva da una ciotola latte mescolato a mosto cotto e faceva un salto sul fuoco, quindi si offrivano latte, miglio e pizze di miglio a Pale.

Articolo di Luciano Mattioli
 

Da vedere nella zona

Cascate del Menotre e Parco dell’Altolina
Eremo di Santa Maria Giacobbe
 

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