Chiesa di San Francesco – Monteleone di Spoleto (PG)

È la costruzione più grande, veramente monumentale e ricca, del centro storico di Monteleone.

 

Cenni Storici

Il complesso monumentale di S. Francesco in Monteleone di Spoleto è forse l’opera più appariscente e suggestiva per complessità di storia, sviluppo, arte, e fede. E’ un libro di storie, santi e simbologie da scrutare e leggere con cura. Il perno principale di questo luogo è rappresentato dall’odierna chiesa di San Francesco eretta gradualmente nel corso del XIV secolo su un precedente oratorio benedettino del XII secolo.
Il titolo della chiesa è in realtà quello di S. Maria o meglio Madonna dell’Assunta ma è comunemente nota col nome del poverello d’Assisi da quando intorno al 1280 vi s’insediarono i primi francescani. Infatti, fino alla soppressione del convento, l’ordine francescano in Monteleone utilizzò sempre e in ogni atto ufficiale, un sigillo recante l’emblema dell’ordine sovrastato dall’immagine dell’assunta rapita in cielo con le iniziali S(anctae) M(ariae).
In origine la chiesa era costituita da una sola navata e tetto a capriate.
Lungo la parete ovest vi correva un porticato e da questo si entrava in chiesa; ad est fu edificato il chiostro nel sec. XIV.
Tra il 1395 e il 1398 la chiesa fu « tagliata » nella sua altezza da una volta a tutto sesto ricavando così due chiese: una superiore ed una inferiore.
Nella parte superiore furono costruite la sacrestia, il corridoio laterale con le porte di accesso al convento, la facciata ed il portale.
Nella parte dell’abside fu chiuso il finestrone originale e furono aperte due finestre per dare luce alle due chiese.
Fu costruita la parete ovest attuale in linea con i pilastri del porticato che, insieme ai capitelli, formano un elegante decorazione architettonica.
Il locale ricavato tra l’antica e la nuova parete ovest della chiesa fu diviso anche esso in due parti: l’inferiore adibita a cimitero, la superiore divenne l’attuale navata laterale, più piccola, messa in comunicazione con la grande con fornici tagliati nella primitiva parete.
Questa navata piccola, spogliata recentemente dagli intonaci che ricoprivano pilastri e crociere, ha una sua caratteristica ben definita: trecentesca.
La navata grande, lunga 44 metri, è la vera sala dell’assemblea.
Nei lavori di restauro eseguiti dalla Sovraintendenza ai monumenti e gallerie dell’Umbria dal 1956 al 1960, è stato ricostruito il tetto, rinnovato il pavimento con cotto dell’Impruneta, riportati alla luce tutti gli affreschi restaurati poi dal Prof. Blasetti. (Dopo un grave furto subito la notte del 26 ottobre 1976, l’amministrazione del Consorzio dei Possidenti di Monteleone offrì le porte blindate per meglio proteggere le ricchezze artistiche custodite nella chiesa).
Il terremoto del 1703 recò gravissimi danni al monumento.
Crollò il tetto e la parte superiore della facciata con il rosone, oggi è ben visibile tale mutilazione; al posto dell’antico tetto a capriate fu costruito l’attuale soffitto ligneo a cassettone diviso in otto riquadri.
Essendo la chiesa come abbiamo detto dedicata alla Madonna, la decorazione del soffitto è tutta improntata su simboli biblici che si riferiscono alla Madonna.
L’opera fu eseguita a tempera da « Joseph Frigerius de Nursia – 1760 », così è scritto nell’angolo sinistro anteriore.
La grande pila dell’acquasanta, a sinistra della porta principale, è datata 1639, come le due piccole ai lati del coro sorrette da una mano; fanno parte di un complesso di opere compiute in quegli anni dal grande restauratore del convento: Padre Giovanni Antonio Massari di Monteleone.
Nell’interno, alla parete di sinistra, si nota una statua lignea di Sant’Antonio abate (sec. XVI), segue un ricco altare barocco in legno dorato con sarcofago in rococò contenente le reliquie di S. Felice Martire.
Vari affreschi rappresentano: la « Dormitio Virginis » (morte della Madonna), San Giorgio, altre due immagini della Madonna, un resto di una Crocifissione, una Madonna col bimbo in trono, un’altra immagine della Vergine col bimbo (visibili soltanto le teste), una parte del corpo di S. Maria Maddalena e di un santo eremita (forse S. Ilarione).
Tutti questi reperti sono di una grande finezza, superiore alle comuni immagini devozionali fatte eseguire da pittori ambulanti; probabilmente sono da attribuirsi a pittori della scuola umbra del sec. XIV.
Una ricca cornice seicentesca contiene una bella tela raffigurante la Madonna col Bambino, S. Francesco da Paola con angioletto reggente « Charitas » e S. Gaetano da Thiene, il santo della provvidenza; infatti alla sua preghiera rivolta al cielo rispondono gli angeli gettando spighe di grano sulla terra.
Un’altra tela, senza cornice, raffigura l’Annunciazione: è opera del pittore romano Agostino Masucci ed è datata: 1723.
Nel presbiterio l’altare di S. Antonio, opera barocca in marmo donata dalla famiglia Rotondi nel 1694. L’altare maggiore è arricchito da un grazioso paliotto in pietra ornato di testine d’angeli; al centro lo stemma della famiglia De Rubeis.
Dietro l’altare maggiore il coro in noce, con 14 stalli, del sec. XV.
In mezzo al coro, su un piedistallo di ferro, un prezioso Crocifisso ligneo del sec. XIV di preziosa fattura.
Nei due lati restringenti il presbiterio affreschi del sec. XVI raffiguranti S. Leonardo e S. Stefano con gli stemmi dei francescani e del Comune di Monteleone.
Sotto l’arco della prima cappella, vicino al presbiterio, un elegante Tabernacolo in pietra con angeli adoranti e pilastrini laterali ornati, opera rinascimentale.
Sopra questo Tabernacolo due immagini della Madonna della Quercia in affresco; sotto una c’è scritto « Devitie devotione » (con tanta devozione).
La parete destra, da cima a fondo, è ornata di una serie di tredici quadri raffiguranti Gesù con i dodici apostoli; furono donati alla chiesa di S. Francesco da un prelato monteleonese: Tommaso Sereni nel 1666 (la data è nel quadro del Redentore).
Dopo la terza tela una lapide in marmo ricorda il Governatore Alberto Cibò e il benefattore Amico Sinibaldi, nobile romano.
Nella navata piccola, in fondo, fonte battesimale con colonnina quadrongolare romanica proveniente dall’antica chiesa di S. Nicola ed una vasca in pietra cinquecentesca.
Sul primo pilastro sono incastonati due vecchi cimeli: un’acquasantiera ricavata da un capitello ed un’immagine di S. Maria Maddalena, in pietra, opera di arte longobarda.
La stessa riporta il simbolo greco del Tau.
L’ultima lettera dell’alfabeto ebraico rappresentava il compimento dell’intera parola rivelata di Dio. Questa lettera era chiamata TAU (o TAW, pronunciato Tav in ebraico), che poteva essere scritta: /\ X + T.
Esso fu adoperato con valore simbolico sin dall’Antico Testamento; se ne parla già nel libro di Ezechiele: «Il Signore disse: Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un Tau sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono…». (EZ. 9,4).
Molto probabilmente, Francesco fu influenzato nella sua attenzione verso il Tau da un discorso di Papa Innocenzo III, tenuto l’11 novembre del 1215, in occasione dell’apertura del IV Concilio Lateranense.
Il Papa, facendo propria la parola di Dio al profeta Ezechiele, si rivolse a ciascun membro del Concilio: «Segnate con il Tau la fronte degli uomini, segnateli con la forma della Croce prima che fosse posto il cartello di Pilato. Uno porta sulla fronte il segno del Tau se manifesta in tutta la sua condotta lo splendore della Croce; si porta il Tau se si crocifigge la carne con i vizi e i peccati, si porta il Tau se si afferma: di nessun altro mi voglio gloriare se non della Croce di Nostro Signore Gesù Cristo. Siate dunque campioni del Tau e della Croce».
È probabile che Francesco, presente a quel Concilio in cui fu approvata la Regola Francescana, volle, per obbedienza al Papa, segnare se stesso con il Tau della penitenza e, segnando i suoi frati, richiamare le esigenze della vocazione.
Dietro il fonte battesimale una grande cornice in noce intagliata e dorata contenente la tela raffigurante l’Immacolata (rimaneggiata con vari Santi) ed in basso un paesaggio classico con frasi inneggianti alla Vergine.
Lungo la parete esterna affreschi con le immagini di S. Giuseppe e S. Antonio da Padova (1532) e la Madonna di Loreto (1527).
Più avanti, vicino alla finestra tribolata, preziosa immagine affrescata di Gesù Sommo ed eterno sacerdote, con paludamenti pontificali bizantini, inchiodato sulla croce; ai suoi piedi un altare con calice e pane, opera del XV sec.
Sulla parete di fondo altare con paliotto in marmo intarsiato e sopra un grande crocifisso ligneo del sec. XVI con ai lati due statue in carta pesta napoletana raffiguranti la Madonna Addolorata e S. Giovanni evangelista.
Sopra il confessionale tela figurante l’adorazione del SS. Sacramento a ricordo dell’istituzione della relativa confraternita e stemma di Giovanni Antonio De Rubeis (costui, proprietario di una casa a Monteleone — in Via del Teatro — e della chiesina di S. Lucia nella vallata, donatore dell’altare maggiore e dell’altare di S. Felice in S. Francesco, fu celebre architetto in Roma; di lui si sa con certezza, che, tra le altre cose, fu consultato dall’architetto Pozzo per la costruzione dell’altare di S. Ignazio nella chiesa del Gesù.
Morì a Roma nel 1695 e la sua tomba si trova proprio in mezzo alla chiesa del Gesù, con generoso epitaffio).
Nella chiesa vengono inoltre conservati armadi e tavoli di preziosa fattura; tre codici membranacei del sec. XV e un piccolo organo, del 1700, con ricca cantoria e sportelli dipinti a tempera sullo stesso stile del soffitto.
Le vetrate, donate da alcuni monteleonesi, sono opera moderna della ditta M. Mellini di Firenze.
La grande vetrata nella parete di fondo raffigurante l’Assunta e uno scorcio di Monteleone, fu progettata dall’Arch. Guerrino Cardinali, monteleonese.
 

Sacrestia

Sopra la porta che immette in sacrestia un’epigrafe in porfido ricorda che Padre Felice Rotondi, a quell’epoca già Ministro Generale dei Conventuali, donò nel 1700 tutto il complesso degli armadi, paratorio e casse in noce che ancora si conservano nell’interno.
Il grandioso e ricco complesso, tenuto in ottimo stato, racchiude tutta la suppellettile della chiesa: vasi sacri, paramenti, biancheria, candelieri, croci e reliquiari.
Nel vano dell’attuale sacrestia si conservano anche due statue lignee raffiguranti la Madonna col Bambino: una, del sec. XIII, proviene dalla chiesina « Madonna di Castelvecchio » l’altra, del sec. XVII, dalla chiesina « Madonna delle Grazie ».
 

Il Portale

L’angusta Piazza di San Francesco, circondata dagli antichi Palazzi dei Priori e dell’Arengo, è arricchita dal maestoso Portale della chiesa ed acquista maggiore imponenza e proporzione a causa della facciata rimasta monca dopo il terremoto del 1703.
È in pietra peperino locale, duro e lucido.
E la stessa pietra dei portoni, delle finestre e delle scale del vecchio Monteleone.
Le cave sicuramente erano in zona.
Oggi impera il cemento e il mattone; la pietra, che è il più nobile materiale di costruzione, è messa da parte perché richiede più lavoro e costo; ma chi vuole trova ancora la stessa materia che usarono i nostri antenati per costruire i monumenti che si fanno ammirare.
Lo sguancio è composto da sei fasce; inizia all’esterno una fascia di stelle esagonali a punta di diamante, seguono tre colonnine tortili intercalate da insenature concave.
Le ultime due fasce decorano gli stipiti, una con quarantaquattro figure, l’ultima con una fuga di fiocchi.
L’attenzione è attratta dalle quarantaquattro figure.
Non si tratta del solito simbolismo del bestiario cui facevano frequente ricorso gli artisti del romanico e del gotico, qui c’è il Cantico delle Creature, fiori, frutti, animali, santi, angeli, draghi, sole, luna e perfino la morte stanno lì a ricordare a chi va in chiesa le realtà della vita e invitano a cantare: “Laudato sii, o mi Signore!“.
Gli stipiti poggiano su due leoni che portano cibo ai cuccioli.
I due sguanci sono sormontati da due capitelli con doppio ordine di foglie di acanto.
Quello di sinistra è più ricco e merita attenzione.
Nella parte esterna un leone agguanta un cervo che porta ancora un ramoscello in bocca, nel primo incavo il giglio guelfo, segue una faccia di uomo, nel seguente incavo l’aquila ghibellina, ancora altra faccia di uomo.
Indubbiamente c’è una storia ed un messaggio in questo lavoro.
L’epoca della costruzione era caratterizzata anche a Monteleone di furibonde lotte paesane tra guelfi e ghibellini, di odio contro gli ultimi della famiglia Tiberti.
I due stemmi, dei Guelfi e dei Ghibellini, scolpiti nel capitello, vogliono dire soltanto che c’era la lotta oppure che fu fatta la pace? Oppure che tutte le fazioni contribuirono alla costruzione? Che ci fu una specie di compromesso storico? Fu il trionfo del “Pace e Bene” che San Francesco predicava ovunque e sempre? Questo capitello formato da un solo blocco di pietra forma un monumento da solo e l’artista che l’ha avuto tra le mani è stato veramente grande.
La lunetta dell’ogiva parte da due grandi leoni sporgenti.
Al centro è rimasto ben poco dell’antico affresco quattrocentesco delle immagini della Madonna con il Bambino, San Francesco e San Nicola.
Le intemperie lo hanno consunto.
 

Fonti documentative

Don Angelo Corona – Monteleone guida Storico Turistica – 1980
Opuscolo della Valnerina
 

Da vedere nella zona

Castello di Monteleone
Biga Etrusca
Chiesa della Madonna della Quercia
Chiesa della Madonna delle Grazie
Chiesa di Santa Maria de Equo
Chiesa della Madonna di Castelvecchio
Fonte di Nempe
 

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