Chiesa di Santa Maria – Vallo di Nera (PG)

La chiesa è d’impatto per la sua struttura esterna, ma le mozioni più forti si hanno entrando, infatti è letteralmente tappezzata di affreschi e di opere uniche come la Processione dei Bianchi.

 

Cenni Storici

La Chiesa di Santa Maria sorge all’interno delle mura del Castello, risale all’epoca imperiale: ne fa menzione un documento conservato nell’Archivio Capitolare di Spoleto del 1176.
Intorno al 1250, i minoriti occuparono la vecchia chiesa dedicata a Santa Maria, nel 1273 la ingrandirono, titolandola a San Francesco, e trasformarono in campanile una delle torri di difesa.
Intorno al complesso, nel 1400 si sviluppò il Borgo di Santa Maria.
In epoca imprecisata e per motivi sconosciuti il tetto della chiesa è stato abbassato.
Nel 1652, sotto il pontificato d’Innocenzo X, con la soppressione del convento francescano, la chiesa fu dedicata di nuovo a Maria Assunta, affidata alle cure di un cappellano che si occupò della chiesa e dell’istruzione dei giovani del paese.
Nel 1867 il Beneficio di Santa Maria, con le relative rendite, fu assegnato alla Congregazione di Carità e metà del convento fu venduta a privati.
La chiesa, prima della demolizione delle strutture barocche, che ha riportato alla luce la straordinaria decorazione pittorica, aveva sette altari, il pulpito, il coro e, in un soppalco sopra quest’ultimo, trovava collocazione l’organo.
Danneggiata dal terremoto del 2016 è stata restaurata e riaperta nel 2019.
Da Santa Maria dipendeva, come filiale, Santa Maria della Neve o Immagine delle Forche, poco distante dal paese.
 

Aspetto esterno

La chiesa si affaccia su una piazza che permette di gustare le forme sobrie e misurate della sua architettura; la nuda muratura della facciata, in pietre conce, è movimentata in basso dal portale ogivale a strombo con colonnine che si concludono in capitelli fogliati e dal rosone scandito da dodici archetti; termina al centro con una cuspide,forse tarda sistemazione dell’originale a ripidi spioventi.
L’austera torre campanaria si eleva al di sopra del presbiterio; risulta inserita nella cinta del castello, utilizzandone una delle torri; l’ampia cella contiene tre campane in bronzo, la maggiore del secolo XIV, suonate a mano e con i piedi in occasione delle festività.
In un vano inferiore era custodito l’orologio con pesi di pietra il cui meccanismo è stato smontato ed è visibile nel portico del Chiostro.
Sulla sinistra è l’ingresso all’ex Convento, sopra cui è visibile un affresco trecentesco raffigurante le Stimmate di S. Francesco.
In fondo al braccio di ingresso del chiostro, molto rimaneggiato, sono visibili opere del maestro di Eggi: San Cristoforo e Sant’Apollonia.
 

Interno

L’edificio, a una sola navata, ripete il tipo della chiesa francescana di tipo castrense; in origine era coperto con volte a crociera, ora la copertura è a capriata.
La profonda tribuna cui si accede tramite un grande arco, è coperta da una crociera con costoloni, è priva di cappelle laterali e termina con un’abside.
Sulla parete sinistra destra della navata, si apre una finestra monofora attigua al convento, tre se ne trovano sulla destra.
Le pareti della chiesa, in origine, erano completamente affrescate, nonostante i guasti del tempo e gli interventi succedutisi nel corso dei secoli ne rimane larga parte.
Nella parete sinistra, a partire dall’ingresso, si ammira Santa Lucia trascinata dai buoi, attribuito a Cola di Pietro da Camerino: la vergine è avvinta a due pariglie di buoi per essere trascinata in un postribolo, ma i buoi non riescono a smuoverla.
Due aguzzini la tengono ferma per le spalle mentre il carnefice le affonda in gola una daga.
Dietro, il magistrato Paschasius, una gamba sull’altra, in contrasto coi corrucciati personaggi che lo circondano, assiste divertito alla scena.
Una strofa popolare della santa protettrice della vista recita:
Santa Lucia non volse lu maritu / volse la gloria de lu paradisu (…) Santa Lucia non volse l’anellu / volse la gloria de lu Patreternu. / Chi serve Cristo e chi serve la Croce / Santa Lucia ce mantenga la luce“.
Segue una Annunciazione, di un maestro umbro degli inizi del secolo XV, la vergine è racchiusa entro un’architettura a mo’ di edicola, con un arco trilobato sul fronte, sopra l’angelo si scorge la mano benedicente dell’Eterno: poi una raffigurazione della Madonna della Misericordia, del secolo XV, in alto due angeli sorreggono il mantello della vergine, sotto di cui cerca protezione il popolo, le donne a sinistra e gli uomini a destra.
In basso Due Committenti.
Proseguendo: Santa Caterina d’Alessandria, incoronata, con la palma e la ruota a raffi (eculeus), accanto San Francesco con le stimmate e la Regolae San Gabriele arcangelo, tutti di scuola umbra della prima metà del secolo XIV.
Il successivo altare a edicola risulta decorato da affreschi datati 1602, nel timpano l’Eterno, nell’arco Annunciazione, nel sottarco Due Stemmi, probabilmente della famiglia Angeletti, al centro l’Immacolata; vi si trova un Tabernacolo con Crocifisso ligneo, del secolo XVII.
Dopo l’altare, nel registro superiore: Madonna in trono, affresco frammentario del secolo XV; due figure di San Bernardino da Siena con donatori, del 1452, si legge la scritta:
HOC OPUS FECIT FIERI IOHANNES PALONI- IOHANNES PALUTII FECIT FIERI HOC OPUS M.CCCC.LII.; Madonna in trono, del 1447si legge la scritta:
HOC OPUS FECIT FIERI PAULUS PALONI ANNO DNI. M.CCCC.XLVII;
San Michele Arcangelo, Madonna in trono, molto danneggiati, del secolo XV; San Bernardino da Siena; Trinità, con data frammentaria, del Maestro di Eggi; Madonna di Loreto, del secolo XV.
Nel registro inferiore, sempre da sinistra a destra: Beato francescano, sovrapposto ad uno strato precedente, del secolo XVI; due Madonna in trono, frammentarie, cui è stata sovrapposta una Madonna del latte tra San Gregorio Magno e San Girolamo, del secolo XVI; Madonna del latte, una delle opere migliori del Maestro di Eggi (datato 1435?); Madonna in trono;Santa Caterina d’Alessandria, frammentario, e Santa Barbara, affini ad opere del Maestro di Eggi; Santa Cristina, del secolo XV, San Michele Arcangelo, frammentario; Madonna in trono, del secolo XIV, sotto Madonna in trono, di un ignoto maestro del secolo XV.
Sull’arco, in alto San Leonardo, in basso Sant’Antonio abate.
Nell’abside e nel presbiterio sono affreschi di Cola di Pietro da Camerino e Francesco di Antonio, datati 1383, probabilmente ricoprono una grande Crocifissione, opera del Maestro di Cesi, di cui si intravedono alcuni brani ove c’è stato distacco d’intonaco.
Sopra l’altare si conserva il tabernacolo della Crocifissione, ma il Crocifisso è una copia, che l’originale è stato trafugato.
Nel lato sinistro del presbiterio: in alto, Dormitio Virginis, la Madonna in fin di vita è attorniata dai dodici Apostoli, cinque angeli ne cantano le lodi, mentre altri quattro l’elevano verso il cielo circonfusa di luce; in basso Sant’Antonio da Padova, sotto si legge la scritta:
NICOLAUS PETRI DE CAMERENO ET FRANCISCUS ANTONI DE ANCONA FECERUNT HOC OPUS TEMPORE SER PLEBANUS ANDRA;
Madonna in trono tra i Santi Cristina e Francesco d’Assisi, in basso a destra il committente; Fuga in Egitto, in cui è possibile ammirare due angeli che guidano San Giuseppe recante in spalla un bastone cui è appeso un otre e due pani, Maria cavalca un’asinella ed un garzone sprona l’animale.
Sull’arco, in alto Angeli musicanti con resti di una Incoronazione della Vergine, danneggiata dall’abbassamento del soffitto;
Nell’abside, in alto, Annunciazione.
Nel registro superiore dell’abside: Natività Maria è distesa accanto al Bambino avvolto in fasce; fuori della capanna, un pensieroso San Giuseppe e due donne intente a bagnare il Neonato; un angelo sovrasta la scena dando l’annunzio ai pastori; sulle nubi, angeli in preghiera; Adorazione dei Magi.
Nel registro inferiore dell’abside: San Giovanni Battista; Santa Cristina; San Lorenzo, in basso, a sinistra, la piccola figura della Committente; Crocifissione, inquadrata tra Maria e Giovanni seduti ai piedi della croce, con tre angeli che raccolgono il sangue del Cristo; San Giacomo, Santa Caterina d’Alessandria e San Bartolomeo.
Nel lato destro del presbiterio, nel registro superiore: Stimmate di San Francesco d’Assisi; Predica agli uccelli di San Francesco d’Assisi.
Nel registro inferiore Flagellazione di Cristo.
Nelle vele sono tondi con i Padri della Chiesa.
Nel sottarco Cristo, Patriarchi e Profeti.
Nell’intradosso dell’arco: Sant’Antonio Abate e a destra San Leonardo sotto il quale è leggibile un’iscrizione:
ANNO DOMINI MCCCLXXXIII TEMPORE DOMINI URBANI PP. VI INDICATIONE VI DE MENSE AUGUSTI DIE XIII.
Sull’arco, un gigantesco San Cristoforo.
Nella parete destra, a partire dall’altare maggiore: Madonna con i Santi Pietro, Paolo, Giovanni Battista, Giacomo, Michele, Anna, Giuliano e altre figure frammentarie, opera di Cola di Pietro; in basso Processione della confraternita dei Bianchi, dello stesso Cola di Pietro, firmato e datato 1401.
Il movimento di penitenti era sorto nel 1399 allo scopo di proclamare la pace universale e ottenere il perdono dei peccati: il dipinto ha quindi la freschezza di una cronaca contemporanea, li ritrae durante il loro passaggio alla volta di Roma, con i lunghi sai rossocrociati,intenti a scambiarsi il bacio della pace, a cantare le lodi della Vergine (“misericordia, o Vergine pia, pace o Vergine Maria“), o a implorare misericordia dinanzi al Crocefisso.
La chiesa è stata sede della “Compagnia dei Bianchi“.
Riferisce Ansano Fabbi:
Le Compagnie dei Bianchi sono la continuazione del movimento dei Disciplinati per muovere le masse alla pace e alla conversione con una psicosi collettiva.
“Pace e misericordia” era il grido dei contestatori anonimi contro le lotte medievali, la
continua guerriglia che insanguinava le vie cittadine.
Era un’avventura di mistico fervore di nove giorni, di migliaia di cittadini d’ogni ceto e categoria sotto l’anonimato di un saio bianco e del cappuccio con l’insegna di una croce rossa sulla spalla, peregrinanti da una città all’altra: una protesta anonima contro i delitti, le usure, le vendette, le oppressioni, l’insicurezza: Misericordia, Eterno Dio, Pace, pace, Signore pio, non guardare il nostro errore.
Misericordia andiam gridando: Misericordia! non sia bando; Misericordia! Iddio chiamando.
Nove giorni di emozione, di riconciliazione con Dio e col prossimo, di richiamo degli esiliati, di liberazione dei carcerati, di condono dei debiti, di dimenticanza delle offese.
Prediche, canti si alternavano a grida di pace e di misericordia fino al parossismo.
Tutti bramavano di indossare il saio dell’innocenza.
Era stata l’ispirazione della Madonna:
Ma dirai ad onne gente
Da mia parte, prestamente,
De bianco prenda vestimente
Se non vole esser dannato.
Nove dì vadan gridando
Misericordia, Iddio chiamando
Ad onne gente pace dando
E ciascun sia perdonato!
Eccoli dipinti sulla parete destra i Bianchi, un corteo di 7 metri: donne, uomini, nobili, plebei, magistrati ed ecclesiastici, contadini ed artigiani… recano palme, gigli, ceri accesi, flagelli dietro a stendardi.
Sono gli spoletini giunti a Vallo.
Sentiamo l’eco delle loro grida confuse materializzate dal pennello di mastro Cola:
“Misericordia, o Vergine pia / Pace, o Vergine Maria”.
Gli va incontro a destra, davanti alla chiesa, la processione dei Vallani con in testa il Priore dei Conventuali.
Più indietro è l’abbraccio di pace di due capi-partito, un guelfo e un ghibellino, quest’ultimo da poco tornato dalla macchia, e attorno volti mesti e corrucciati.
Uno di essi era un Giovannoni:
“Hoc opus fecit fieri Ioannoni a Vallo et Dio li dia pace”.
Ecco una contestazione pacifica e costruttiva: la riconciliazione degli animi, utile anche nel nostro tempo incerto e burrascoso“.
Dopo la seconda finestra: Sant’Antonio Abate protettore degli animali, con la campana il cui suono scacciava il demonio, il bordone e il lungo mantello segnato dal tau protettore; Sant’Urbano V papa, coronato col triregnum, mostra un dipinto con i Santi Pietro e Paolo.
Di seguito una decorazione a drappeggio è quel che rimane di un altare oggi non più esistente.
Seguono: Madonna in Trono della metà del Quattrocento che porta sulle ginocchia il Bambino con un passerotto, a fianco Santa Chiara e Santa Maria Egiziaca coperta dai lunghi capelli: meretrice, poi eremita nel deserto, col capo nimbato da un’aureola, la ex-prostituta testimonia la potenza del pentimento e la grandezza della misericordia divina.
A destra dell’anzidetto affresco, è un gruppo di pitture; nel registro superiore: frammento di Madonna del secolo XV; Madonna del latte, San Rocco, San Sebastiano, datato 1486; San Pietro martire, datato 1486, pugnalato da eretici carnefici il santo è importante nel calendario rurale: nel giorno della sua festa, il 29 aprile, si benedicevano i ramoscelli d’ulivo e i giaggioli (li giji) da apporre alle croci infisse nei campi a protezione delle messi.
Madonna; in basso Santi Sebastiano e Pietro martiri, datato 1486.
Nel registro inferiore: Madonna in trono col Bambino, Sant’Urbano V papa, San Pietro Martire, e frammento di Madonna, Trinità del tipo iconografico con tre volti reca un libro su cui è scritto:
PATER ET FILIUS ET SPIRITUS SANCTUS ET TRES UNUM SUNT,
tutti ex voto eseguiti nel secolo XV; frammento con Oranti; Sant’Antonio di Padova entro una edicola, del secolo XVI.
In fondo alla chiesa una lapide ricorda il 30 marzo 1944, quando gli abitanti di Vallo, rinchiusi nella chiesa per essere poi fucilati, scamparono a una strage.
La chiesa aveva una Croce azzurra di maestro spoletino, ora al Museo diocesano di Spoleto, che deve il suo nome alla particolarissima gamma cromatica dei lilla e degli azzurri che la caratterizza.
Tempera su tavola della fine del XII secolo-inizio XIII secolo.
Il Cristo è “trionfante“, ha gli occhi aperti ed i piedi non sovrapposti.
Ai lati sono raffigurati la Madonna e San Giovanni.
Il Cristo è dipinto su un fondo azzurro, il più immateriale dei colori.
Esso è anche il colore del Padre e traduce la verità manifestata dal soffio dello Spirito.
L’azzurro è anche il colore della immortalità: Cristo ha gli occhi aperti, non è vinto, ma è colui che trionfa dal legno e, come nel deserto il serpente issato sull’asta, è salvezza e vita per chi si volge a lui.
L’immagine è dipinta su pergamena applicata su tavola come la Croce del Sozio nella Cattedrale, ed è caratterizzata da un’esecuzione molto raffinata.
 

Fonti documentative

AA. VARI Vallo di Nera e il suo Territorio – Storia, Arte, Ambiente e Tradizioni Grafiche Millefiorini – Norcia 2010
FABBI ANSANO. Guida della Valnerina: storia e arte / Abeto (PG), presso l’autore, 1977
FABBI ANSANO Storia dei comuni della Valnerina / Abeto (PG), presso l’autore, 1976
FAUSTI LUIGI, Le Chiese della Diocesi di Spoleto nel XIV secolo secondo un codice del XVI secolo, Archivio per la storia ecclesiastica dell’Umbria, Foligno, 1913
GENTILI, GIACCHÈ, RAGNI, TOSCANO, L’Umbria – Manuali per il territorio – La Valnerina, Il Nursino, Il Casciano – Edindustria Roma, 1977
NESSI-CECCARONI, Da Spoleto a Visso, Itinerari Spoletini, Spoleto, 1974
 

Nota

La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
 

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