Abbazia di San Firmano – Montelupone (MC)
Cenni Storici
Si ha ragione di credere che il complesso monastico sia stato costruito nel IX secolo, quando il potere politico-patrimoniale era in mano alle grandi Abbazie sovraregionali: Farfa in Sabina, S. Apollinare in Classe-Ravenna, Fonte Avellana, Montecassino.
Notizie storiche confermano possedimenti in zona sia dell’Abbazia di S. Apollinare che dell’Abbazia di Farfa che in quegli anni e precisamente dopo l’897 si divise in tre tronconi, diretti nelle zone di: Roma, Rieti, Marca Fermana.
La costruzione dell’attiguo convento fu voluta dalla “Pia Signora” dei Conti di Lornano, alla fine del X secolo.
Avvicinandosi all’ingresso della chiesa si nota subito la lunetta bizantina del portale che si presenta in tutta la sua bellezza e preziosità.
Cinque figure in altorilievo sono state ricavate sul retro di una statua romana ancora ben visibile dalla parte interna alla chiesa; nella dualità della scultura si può intendere il simbolo del passaggio dal paganesimo alla religione Cristiana.
Le figure sono disposte in un unico piano frontale, hanno grandi occhi spalancati, sporgenti dalle orbite ed al centro si trova il Cristo sulla croce dai quattro bracci quasi uguali; particolare è il fatto che sia raffigurato con la corona regale e non di spine: è il Cristo Re dell’Universo.
Sotto la croce sono scolpiti la Maddalena e S. Giovanni.
Nella parte inferiore vi è la Santa Vergine in trono con il Bambino e di lato un monaco.
Differenti sono le due colonnine e capitelli che sostengono l’arco della lunetta: il capitello a sinistra presenta piccole palme di acanto, l’altro volute e germogli di acanto.
Sopra la lunetta incombe un’aquila che afferra un felino attraverso i suoi artigli; potrebbe essere il simbolo degli Ottoni, che nel secolo X dominavano in Italia (il “Pactum” o “Privilegium Ottonianum” è del 13 febbraio 962), ma l’aquila è anche il simbolo dell’evangelista Giovanni, al quale era dedicata all’inizio la chiesa e il felino è un leone, simbolo, del peccato e della morte in molte opere del periodo romanico.
L’abbazia è rivolta verso l’oriente, come tutte le antiche chiese cristiane.
Di stile romanico, a tre navate concluse da absidi circolari, misura 28,1 metri di lunghezza e 13,9 metri di larghezza.
La navata centrale, più alte di quelle laterali, presenta cinque finestre a feritoia sulla destra e due sulla sinistra. La finestra frontale è stata probabilmente aperta nel secolo XVIII per illuminare meglio l’interno del tempio.
Dodici pilastri (probabile simbolo dei dodici apostoli) sostengono archi a tutto sesto, che accompagnano i fedeli verso l’altare.
Chi visita questo sacro luogo si meraviglia subito della grande gradinata, soprattutto per la sua altezza e ripidità.
Questa caratteristica, probabilmente unica, si deve al fatto che era necessario tenere alta la cripta per proteggere l’abbazia dalle frequenti esondazioni del fiume Potenza, che scorre poco lontano. Entrando, a sinistra si può ammirare una splendida tela attribuita a Carlo Maratta: “S. Stefano, l’apostolo Pietro, la Maddalena e un abate”: S. Stefano ha in mano la palma e la pietra del martirio; la Maddalena tiene il vaso di alabastro.
Appesi alle colonne si possono notare i quadretti relativi ad una preziosa Via Crucis del ’600.
Salendo l’alta scalinata, composta da 17 gradini, si giunge al piano superiore, dove si innalzano quattro pilastri, che hanno basamenti accentuati in corrispondenza del pavimento; ciò fa pensare che l’intero complesso abbaziale sia stato costruito come lo vediamo ora, quindi nella sua struttura originale con i suoi tre piani, come in tutte le chiese romaniche.
Sopra l’abside si vede la traccia lasciata dalla volta caduta a causa del crollo del muro di destra della navata centrale, sicuramente rifatto in quanto non ha l’impronta della volta.
L’abate Teodorico scrive: “Essendo crollata all’improvviso una parete della predetta chiesa, i monaci avendo riedificato il medesimo muro che era crollato, collocarono il corpo di San Firmano nell’ambito della chiesa di San Giovanni Evangelista e ve lo sistemarono decentemente” (cap. X). Nella navata di sinistra, nel piano rialzato, si può ammirare un bellissimo affresco del XIV secolo, opera attribuita a Giacomo di Nicola da Recanati, che ripropone il motivo della lunetta con al centro la Vergine in trono e il Bambino che benedice rivolto verso S. Firmano, a sinistra è rappresentato S. Sebastiano.
Il pilastro qui presente simboleggia seconda alcuni San Pietro, “Primus inter pares”, l’apostolo che comunque pur essendo pari agli altri compagni ebbe un ruolo preminente nella storia della Chiesa.
La famiglia Galantara, ultima enfiteuta dell’abbazia, è qui ricordata con una lapide che celebra il prode guerriero dell’imperatore Napoleone III, Gabriele Galantara, morto nel 1858.
Ai lati si trovano due urne con i resti del conte Giovanni Galantara, morto nel 1884 e della contessa Laura Galantara, morta nel 1883; due lapidi ricordano Angela Zambeccari in Galantara e la stessa Laura Galantara.
Si possono quindi ammirare due cariatidi di buona fattura. Scendendo dal piano d’ingresso, attraverso due porticine laterali, si accede alla suggestiva cripta: gli archi a sesto acuto e a tutto sesto si collocano con armoniosa staticità nell’ambiente.
Uno scavo fatto sotto il pavimento della cripta ha messo in evidenza una riempitura di circa un metro, con mattoni grandi e tegole antiche, simili a quelli che si notano nelle nicchie della parete di fronte all’altare.
Anche questo materiale e le quattro colonnine di epoca romana, della cripta facevano probabilmente parte della chiesa di San Giovanni Evangelista che già qui esisteva quando giunse in questo luogo San Firmano nel 986.
Il titolo di San Giovanni Evangelista dato alla preesistente chiesa è una ulteriore testimonianza dell’influsso della cultura bizantina nel nostro territorio. (Anche a Ravenna, la principessa Galla Placidia, giunta da Costantinopoli, con il fratello Onorio, nuovo imperatore d’occidente, fece innalzare nel 430 la prima chiesa dedicandola a San Giovanni Evangelista).
Sull’altare è collocata una statua di San Firmano in terracotta policroma, attribuita ad Ambrogio ella Robbia (sec. XV). Ai piedi della statua sono poste le reliquie del Santo in un’urna di ottone inserita in una custodia di ferro battuto, sul cui lato superiore è forgiato lo stemma di Montelupone: “?siccome egli è ed è sempre stato della suddetta Terra, Patrono da tempo immemorabile”.
L’altare è sostenuto da un arco, sotto il quale i fedeli passano per nove volte consecutive per essere liberati dal mal di ossa.
In un’opera scritta prima del 1050, San Pier Damiani nomina fra i Santi vissuti nel suo tempo anche “Firmanus Firmensis”, sopra i cui resti, a motivo dei miracoli attribuitigli, era stato innalzato un altare su cui si venivano celebrati i “Divini Misteri”.
Lo stesso abate Teodorico, biografo di San Firmano, che soffriva di artrite, affermava di essere guarito per mezzo dell’intercessione del Santo di cui scriveva la vita.
Il pavimento in cotto ha la particolarità di essere costituito in cerchi concentrici che dipartono dalla croce centrale, a significare che il Cristo è re dell’universo.
I capitelli delle colonne sono il primo di derivazione dorica, il secondo in stile corinzio con decorazioni a foglie d’acanto, il terzo di derivazione corinzia, la quarta colonna ha due capitelli di cui uno rovesciato con sculture floreali La lampada in ferro battuto è opera dell’artista Eugenio Cerfoglio, come il Battistero posto all’ingresso.
Gli altri oggetti presenti nella chiesa sono stati donati dal Vescovo della Diocesi di Recanati Mons. Aluigi Cossio che inaugurò la chiesa, dopo i lavori di restauro, il 17 agosto 1930, mentre il 30 ottobre 1938 vi istituì la nuova Parrocchia di San Firmano.
L’Abate Firmano
San Firmano nacque attorno all’anno 951 probabilmente a Fermo; a 20 anni fu ordinato sacerdote simoniaco e dopo quindici anni abbracciò la regola “ora et labora” di quel S. Benedetto che partendo da S. Eutizio e da Norcia portò fede e cultura in tutta Europa.
S.Firmano, proveniente dal convento di Acquacanina, fu il primo abate del convento costruito per volere di una Pia Signora nel 986 e tuttora visibile vicino alla Chiesa, nel lato destro.
Morì l’11 marzo del 992.
I monaci restarono nell’abbazia fino al 1468, bonificando, fra l’altro, la vallata paludosa del Potenza.
La biografia del Santo, cui ancor oggi vengono attribuiti interventi miracolosi, è stata scritta dall’Abate Teodorico nell’anno 1002, il quale ha trascritto anche questo millenario inno.
Inno a S. Firmano
Tu consiglier dei poveri e fra i superbi umile. Sai richiamare gli uomini, sol con la tua virtù. Tu nel dolor formato, dalla tua terra esule servo fedel di Dio, hai scelto povertà. Della purezza specchio, di pace apportatore appiani le discordie, distribuendo amor. Dispensi pur miracoli, in terra come in cielo perchè sei senza macchia, per Cristo il gran Signor. Ti lodan tutti i popoli, per i tuoi immensi meriti! Di Cristo il Servitore, risplende or di fulgor. Proteggi o S. Firmano, il tuo Montelupone tranquillità di spirito, in pace dona ai cour.
Dunque dal 986 al 992 Firmano guidò l’abbazia; i suoi successori portarono avanti il cenobio benedettino fino al 1468, quando l’Abbazia di S. Firmano iniziò ad essere affidata in commenda a: dal 1469 al 1498 Card. Giovan Battista Sabelli 1509 – 1520 Benedetto Petruzzi da Todi 1546 – 1548 Ludovico Strozzi da Firenze 1553-1559 Silvestro Petruzzi da Todi 1560-1603 Pietro Petruzzi da Todi 1603-1640 Francesco Petruzzi da Todi 1641-1656 Benedetto Benedettoni da Todi 1656-1696 Card. Flavio Chigi 1696- …… Card. Giovan Giacomo Cavellini 1700- …… Card. Sperello Sperelli 1710-1737 Card. Pietro Marcello Corradin Arcivescovo di Atene 1737- ….. Card. Mario Bolognetti 1756- ….. Card. Giovanni Francesco Bancheri ……. Pietro Girolami Guglielmi 1775- …… Card. Leonardo Antonelli …..-1880 Conti Galantara i quali, dopo tale data, frazionarono e vendettero a privati i beni dell’abbazia.