Abbazia di San Pancrazio o di Collemedio – Collepepe (PG)

L’Abbazia ad oggi è un Hotel & Resort a quattro stelle con piscina.

 

Cenni Storici

Il monastero sarebbe stato fondato tra la fine del secolo XI e l’inizio del XII da uno dei primi conti di Coldimezzo; priva di fondamento sembra l’ipotesi dello storico tudertino, Lorenzo Leoni, secondo il quale l’abbazia sarebbe stata una dipendenza dei monaci di San Pietro di Perugia.
Rammentata dallo Iacobilli come una delle otto badie dei monaci di san Benedetto fiorenti nel territorio tuderte, nacque come monastero cluniacense “monaci neri“, per concessione dei Conti di Collemedio; retto da un abate con otto monaci, e raggiunse prestigio e ricchezza potendo contare su di un notevole patrimonio, ed importanti chiese e benefici, cui si aggiunsero altri beni per collazione di abbazie o priorati esistenti, decaduti o indeboliti nel prestigio, o più semplicemente abbandonati per il peso delle sedi pericolanti.
Dopo la prima esperienza benedettina durata fino al 1528 passò ai cappuccini fino al 1784.
La presenza di famigliari, di contadini, di servi, di una vera e propria curtis governata dal castaldo-amministratore, che sovrintendeva alle entrate ed alle uscite delle terre coltivate direttamente dalla manodopera dell’abbazia e alle rendite delle terre livellarie che fornivano annualmente un censo o fìtto, una serie di affittanze a breve termine (lavoreccio, cottimo, soccida, ecc.) ed i proventi dei mulini completavano l’assetto economico di San Pancrazio e fornivano un’alta rendita.
Tutto ciò testimonia la classica struttura quasi curtense e potrebbe giustificare anche la sua origine comitale dal momento che la sua fondazione, anche se non dimostrata, è quasi costantemente attribuita ad uno dei primi conti di Coldimezzo, come testimoniato dallo stemma della famiglia sulla chiave di volta della chiesa.
L’abbazia cluniacense di San Pancrazio era tra le più ricche di terreni, di tutta la zona, e confinava con quelli della abbazia perugina di San Pietro; questa vicinanza comportò frequenti contrasti per motivi di confini dei rispettivi possedimenti tra Casalina e Ripabianca, che coincidevano con i limiti territoriali delle diocesi di Perugia e di Todi.
Questi contrasti trovarono il culmine quando nel 1199 i Conti di Coldimezzo donarono all’abate di San Pietro, Rainaldo, alcune pertinenze nel territorio di Casalalta e di Ripabianca.
L’abbazia fu in stretti rapporti con il vicino monastero vallombrosiano di San Vito tanto che nel 1299 l’abate di quest’ultimo monastero pagava le decime anche per San Pancrazio.
In questo periodo forse San Pancrazio era sottoposta alla abbazia di San Vito (e quindi ai “neri” vallombrosani), perchè non vi si trova più registrato l’abate bensì un rettore-priore.
Nel 1347, la comunità contava 12 monaci e l’abate aveva ben tre residenze: una nell’abbazia stessa, un’altra a Perugia nel Rione di Porta Santa Susanna, una terza entro le mura di Collepepe e da queste governava un patrimonio immenso.
Persino all’interno della cattedrale di Todi i monaci benedettini avevano eretto una cappella che era juspatronato dell’abate e godeva della bella rendita di venti libbre annue.
Nel XIV secolo cominciò il declino delle abbazie di San Pancrazio e di San Vito di “Valloppio“, che entrarono in regime di commenda affidata a cardinali o ad abati.
Nel 1442 furono commende cardinalizie, mentre nel 1450 le due abbazie furono date in commenda all’abate Ippolito; questi affidò l’abbazia di San Vito ad un certo Ludovico (che aveva appena superato il diciottesimo anno di età) accompagnato dal padre Cristoforo, che si impegnò per conto del figlio a restaurare l’antico complesso monastico e riorganizzare le terre abbaziali aggiungendo anche il pagamento di un canone annuo di quarantacinque fiorini d’oro.
Il papa con questo documento concessorio del 31 marzo 1450 sanava anche il difetto della giovane età del neo abate commendatario appellandosi ai dettati del concilio lateranense.
La decadenza che ne conseguì portò al declino e al degrado di entrambi e per questo, nel 1528, papa Clemente VII, pur confermando il diritto di commenda cardinalizia, affidò le due abbazie all’Ordine dei Cappuccini, istituito appena due anni prima.
Fino alla visita apostolica d i monsignor Camaiani del 26 ottobre 1574 la chiesa abbaziale era sede della parrocchia di Collepepe, ma il visitatore, constatando però il degrado della struttura decise di trasferirla nella piccola chiesa all’interno del castello.
Il visitatore apostolico inoltre sottolineò come la condotta del beneficiario della commenda fosse “opulenta” a differenza dei frati che erano poverissimi, e le due chiese minacciavano rovina imminente ed avevano bisogno di radicali interventi di consolidamento.
Appare evidente il drammatico contrasto tra l’opulenza dell’abbazia e la poverissima vita dei frati che praticamente non avevano nemmeno un tetto per ripararsi.
Questo monito del Camaiani era rivolto al commendatario che era il nipote del cardinale di Trani, Giovanni Domenico de Cupis, eletto da Leone X nel 1517.
A causa del degrado degli edifici, nel 1648 si decise di ristrutturare il convento e fu costruita la nuova chiesa e sul campanile nuovo nel 1649 fu installato un orologio con campana che serviva l’intero castello; nello stesso anno fu istituito il noviziato ma l’esperimento non durò a lungo.
Nel 1784 il cardinale Antonelli la affittò ad Agostino Franzoni di Senigallia dietro la corrisposta di ottocentocinquanta scudi annui; con questo atto si poneva praticamente fine alla secolare commenda prelatizia.
Il primo maggio 1788 il papa riconobbe ai Franzoni il diritto di enfiteusi.
Fra i beni concessi c’era la gualchiera, la “barca” che garantiva l’attraversamento del Tevere e il mulino a grano, detto Mulino di San Pancrazio, attualmente situato sulla via che costeggia il torrente Puglia, in prossimità dell’incrocio della strada che porta a Collazzone e la superstrada E 45.
Le abbazie di San Pancrazio e di San Vito furono soppresse nel 1860; i beni dell’abbazia di San Pancrazio rientrarono nel pieno possesso della famiglia Franzoni che ne è ancora proprietaria.
Ora tutto il complesso è stato trasformato in una attività ricettiva.
 

Aspetto esterno

A parte le mura perimetrali e la struttura architettonica originale, dell’Abbazia e della chiesa originale non rimane traccia.
Tutto l’edificio è stato puntigliosamente recuperato per una attività recettiva di alta classe.
A ciò dobbiamo merito in quanto versava in uno stato di abbandono e prima o poi sarebbe andata perduta.
Alcune parti sono integre e sapientemente restaurate, tra queste il portale trecentesco della chiesa e il pozzo del chiostro.
La facciata si conserva bicroma con pietre bianche e rosa di San Terenziano originali della primitiva abbazia costruita dai Benedettini Cluniacensi nel XII secolo.
Sulla sommità del portale è incastonato l’unico stemma ad oggi esistente dei Conti di Collemedio signori e feudatari della zona dal X al XIV secolo ai quali si attribuisce l’erezione dell’Abbazia.
L’appartenenza dell’abbazia ai conti sarebbe attestato dallo stemma di questa famiglia, costituito da sei gigli di Francia sovrapposti e divisi araldicamente da una fascia orizzontale d’argento su campo rosso che, seppure, molto corroso, è scolpito sulla chiave di volta, o protiride, della chiesa.
Quando i Francescani nel XV secolo ampliarono la chiesa utilizzarono e smontarono l’intera facciata per risistemarla nel nuovo edificio.
L’interno della chiesa è stato adibito a sala convegni.
Non si respira più l’aria benedettina, ma si gode in compenso di una meravigliosa vista sulla pianura sottostante, si gode di un ambiente rilassante e si gusta una eccellente cucina.
 

Le meridiane

Interessante orologio solare posto all’interno di uno spazio architettonico (normalmente in una chiesa o, come in questo caso, il portico del chiostro) che prevede il passaggio dei raggi solari tramite un foro ricavato nel soffitto.
Tale sistema prevede una osservazione dettagliata degli equinozi e dei solstizi e più in generale del movimento della terra.
All’esterno del chiostro si nota ancora una meridiana particolarmente danneggiata ma ancora leggibile.
 

Fonti documentative

Agostino Farnedi, Nadia Togni – Monasteri benedettini in Umbria alle radici del paesaggio Umbro – 2014
Francesco Guarino e Alberto Melelli – Abbazie Benedettine in Umbria – edizione Quattroemme
G. Comez F. Orsini – Collazzone venticinque secoli di storia – 1997
 

Mappa

Link coordinate: 42.926988 12.412109

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