Cenni Storici
L’intera Alta Valle del Tevere è ricca di luoghi legati al monachesimo benedettino, sia maschile che femminile; la maggior parte di questi monasteri nacque nel Medio Evo, epoca in cui la valle era quasi completamente compresa nella diocesi di Città di Castello, un territorio, quello della medioevale diocesi castellana, assai esteso e fortemente caratterizzato dalla presenza monastica.
Il più delle volte queste strutture erano predisposte per accogliere pellegrini in transito che necessitavano di un riparo per la notte e di un pasto caldo quindi erano posizionate strategicamente lungo direttrici di transito al fine di adempiere a pieno alla loro vocazione di accoglienza.
Nel caso specifico l’antica strada, che in uscita da Città di Castello punta in direzione nord-ovest, permette di raggiungere Anghiari o di imboccare la valle del Cerfone verso Monterchi, per risalire poi a Palazzo del Pero e quindi ad Arezzo.
L’abbazia benedettina di Santa Maria del Vingone, situata a metà strada fra la frazione di Lerchi e l’abitato di Monterchi, assieme all’antica porta del Vingone che era collocata sul lato settentrionale della cinta muraria medievale di Città di Castello, costituiscono dei capisaldi fondamentali di questo importante itinerario storico.
Lo stesso toponimo “Vingone” stimola a delle considerazioni più approfondite per trovare l’origine comune con il nome del torrente che attraversa la Valle di Chio a Castiglion Fiorentino.
Il tratto urbano della Via del Vingone in uscita da Città di Castello, è stato inglobato nel tessuto edilizio del quartiere trecentesco di San Giacomo, quindi per accedere a questa strada oggi è necessario attraversare il ponte sul Tevere a Porta San Florido per poi immettersi sulla strada di Monterchi; in alternativa si può seguire la bretella di raccordo con l’attuale svincolo della Superstrada E45 e proseguire in direzione di Arezzo.
In passato, invece, la strada attraversava il Tevere al Ponte di Nuvole, presso il monastero di Santa Caterina, quindi puntava verso il Vingone; al crollo del ponte non seguì la ricostruzione e quindi venne sostituito da un guado in località “Barca“, mentre nei periodi di piena del fiume si utilizzava un traghetto, come rappresentato in una mappa della città e del suo territorio di epoca seicentesca.
La Via del Vingone si presenta come importante direttrice orientata secondo la direzione NO-SE; una via che proietta l’Altotevere verso la Toscana, attraverso le valli del Cerfone e della Sovara, mentre a levante si prolunga nella piana di Gubbio e quindi verso la via Flaminia.
Il monastero sorgeva su una collina a nordovest di Città di Castello, strategicamente eretto all’inizio della valle del Cerfone, dopo la frazione di Lerchi lungo la strada che conduce a Monterchi, una valle che ha rappresentato da sempre la porta di accesso per la viabilità diretta verso Arezzo e la Toscana.
L’altura su cui era posta l’abbazia sovrastava l’antico Lago di Celle, uno specchio d’acqua circondato da paludi, creato dalla confluenza del torrente Sovara nel torrente Cerfone e poi nel Tevere; la zona è stata bonificata alla fine del secolo XVI.
Si tratta di un’area ad alto valore paesaggistico che esercitò grande fascino su celebri pittori rinascimentali, quali Bartolomeo della Gatta, Leonardo da Vinci e Raffaello.
L’origine del monastero è molto remota, addirittura qualcuno afferma che sarebbe un antico luogo di culto pagano, su cui sorse poi una chiesa cristiana sacra a Maria Assunta in Cielo; a conferma pare sia stato rinvenuto un “bel rocchio di marmo caristio“, forse ciò che rimaneva dell’antico tempio.
Il monastero benedettino è nominata nella bolla di Onorio II al vescovo di Città di Castello Ranieri del 1126 e in un’altra di Innocenzo ID del 1207.
Nelle successive bolle di Adriano IV del 1155 e successivamente in quella di Clemente III del 1188, il monastero di Santa Maria del Vingone, chiamato all’epoca “Monasterium Sanctae Mariae in Podio“, è indicato come dipendenza dell’abbazia di Santa Maria di Farneta a Cortona.
Il monastero maschile era soggetto all’autorità del Vescovo di Città di Castello che vi esercitava la sua giurisdizione; allo stesso tempo nel 1238, risulta che i monaci di Santa Maria del Vingone pagavano un censo annuo all’abate di Santa Maria di Farneta e dal 1238 passò alla Congregazione Benedettina di Monte Oliveto Maggiore.
Nel 1323 risulta officiato da monaci benedettini amovibili da altri monasteri; questo significa che il Vingone a quel tempo non godeva di propria indipendenza come abbazia ma era comunque esente dalla imposizione di tributi da parte del vescovo diocesano, come tutti i monasteri, e questo anche quando fu il vescovo a nominare un parroco del clero secolare.
Pagavano comunque le Decime alla Camera apostolica infatti nel 1339 versano una decima di X libre.
Nel 1390, i monaci del Vingone furono designati tra i beneficiari del testamento di Bartolomeo di Bartolo di Gionta da Celle.
Va notato che i signori del castello Celle, situato a poca distanza dal monastero, per anni hanno rappresentato i custodi del cenobio e allo stesso tempo erano coloro che ne designavano gli abati, tutti provenienti dal ceppo della famiglia o loro persone di fiducia.
L’esenzione del Vingone da qualsiasi tributo nei confronti del vescovo, fa comprendere perché vediamo fra gli abati membri di famiglie gentilizie o comunque illustri, che indicavano come essere abate del Vingone era un privilegio ambito, soprattutto per ragioni economiche.
A conferma di ciò nel 1435, Giacomo di Riva del castello di Celle ottenne che la pieve di Santa Maria del Vingone fosse conferita al figlio anche se probabilmente era già stata abbandonata dai monaci.
Nella prima metà del secolo XV, il monastero passò definitivamente sotto la giurisdizione del vescovo di Città di Castello Ridolfo, dal 1441al 1460, fu commendatario perpetuo di Santa Maria del Vingone.
Passata l’abbazia al clero secolare e ammensata al seminario vescovile, il parroco del Vingone ottenne il titolo di abate, anche se quando vi erano i monaci risultava soltanto come un priorato soggetto all’abbazia di Santa Maria di Farneto.
Negli atti della visita pastorale del 1855 del vescovo Giuseppe Moreschi si legge che in quel tempo l’abazia era “posseduta dal signor Don Antonio Patrizi oriundo di San Giustino. Il nominato signor abbate all’officio di paroco ha unito pur quello di vicario foraneo soggetto alla Congregazione di S. Andrea di Celle, come dal sinodo“.
A questa vicaria foranea sono dipendenti “le parrocchie di San Donato di Carsuga, di Santa Maria di Pestrino, di Santo Stefano di Pestrino, di Santa Pista o San Donato, di Sant’ Ansano di Piosina e di San Martino di Giove“.
Queste ultime due, compresa l’abbazia del Vingone, sono soggette alla Congregazione di Celle suddetta, le altre fanno parte di quella di Citerna.
La parrocchia, dopo anni di vacanza, fu soppressa nel 1986.
Il complesso monastico di Santa Maria del Vingone è attualmente di proprietà dell’Istituto diocesano di sostentamento del clero di Città di Castello.
Tutta la struttura è stata attualmente adibita a Casa vacanze, Agriturismo e Country House mentre la chiesa è sconsacrata.
Dai monaci di Santa Maria del Vingone dipendeva il mulino eretto in località Vingone, alla confluenza del torrente Sovara con il Cerfone, noto fin dal secolo XVII come Mulino Bufalini.
Questo mulino fu protagonista di una controversia fra Monterchi e Citerna per gli allagamenti causati sulla piana di Monterchi dalle piene del Cerfone, le cui acque in qualche modo venivano ostacolate dal sistema usato dal mulino, che ne impediva il deflusso.
La questione fu risolta da esperti toscani e pontifici, che deviarono il corso del Cerfone, creando un nuovo canale per tenere in funzione il mulino.
Aspetto esterno
Gli antichi edifici monastici di Santa Maria del Vingone sono stati profondamente rimaneggiati al loro interno e, dal 2014, sono sede di una struttura ricettiva; l’aula della chiesa è stata adibita a sala conferenze.
Sulla cuspide della facciata della chiesa si innalza ancora il campanile a vela.
Tutto l’edificio poggia su un terrapieno con una struttura a scarpa e dai reperti che ne sono venuti alla luce nel corso dei vari interventi che si sono succeduti negli anni, c’è il fondato sospetto che il monastero sia sorto su una struttura difensiva, romana prima e longobarda poi, posta al controllo della viabilità sottostante.
La stessa abside della chiesa alle fondamenta presenta una precedente fondazione come fosse poggiante su una base di un’antica torre circolare.
Altre pietre squadrate di recupero sono murate nella parete della chiesa.
Questo non deve sorprenderci in quanto una caratteristica importante della Via del Vingone è da mettere in relazione ai risultati di uno studio condotto da M. e S. Ristori nel 1985, che la individua come base della centuriazione romana di età Augustea.
Interno
I locali ad uso monastico sono stati completamente riadattati ad uso recettivo quindi quasi del tutto stravolti nella loro struttura originaria, si conserva in una stanza una decorazione su una parte alta di una parete un’immagine dipinta di una rosa a cinque petali molto sbiadita che fa pensare ad una presenza templare, il che non sarebbe del tutto peregrina visto che elementi e simboli templari compaiono in bella evidenza nel Borgo di Celle che a questo monastero provvedeva persino alla nomina degli abati.
Un locale che ancora in parte ha mantenuto una parvenza di originalità si trova nei sotterranei ed era adibito a cantina; si notano ancora le originali canalette in pietra da cui usciva il mosto pigiato nella stanza antistante ora adibita a punto di ricevimento.
In questo ambiente è conservata una tela molto deteriorata, strappata in una sua parte e ricomposta nei vari tagli che ne erano stati fatti, dove si nota la figura quasi per intero di un Santo pellegrino con bastone e conchiglia, quasi sicuramente si tratta di San Giacomo Maggiore.
La tela di cui si ignora l’autore e l’epoca, è stata ritrovata durante i lavori di ristrutturazione ed era stata tagliata nella parte alta dove comparivano delle immagini di angeli, che probabilmente erano pronti per essere venduti individualmente.
La chiesa perfettamente orientata al solstizio d’estate, e attualmente sconsacrata, presenta sulla parete sinistra del presbiterio un vecchio tabernacolo e una balaustra in ferro che divide la navata.
In controfacciata sulla parete destra è murata un’acquasantiera.
In sacrestia si conserva un vecchio lavabo originale, mentre la parte superiore dove sgorgava l’acqua è un manufatto moderno apposto; davanti si conserva un mobile in legno per riporre arredi sacri e tuniche.
Nella parte dedicata al ricevimento degli ospiti della struttura si nota incorniciato un vecchio stendardo mariano.
Nota di ringraziamento
Ringrazio il Sig. Oreste, proprietario della struttura per la sua disponibilità e per la pazienza manifestata nei miei confronti.
Fonti documentative
Giustino Farnedi O.S.B. e Nadia Togni – Monasteri Benedettini in Umbria: alle radici del paesaggio umbro Vol. II – 2023
Giovanni Cangi – Itinerari Storici Altotiberini fra antiche pievi, abbazie e fortificazioni medievali – POLO TECNICO “Franchetti-Salviani” – Città di Castello Architettura e territorio Quaderni, 04
Elvio Ciferri – Storia di una terra antica: Celle, Vingone, Astucci, Rovigliano, Cagnano – 2017
Pietro Sella – Rationes Decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV Umbria – 1952
Mappa
Link alle coordinate: 43.491374 12.162240