Abbazia di Sant’Apollinare in Sambro – Collemancio di Cannara (PG)

Antica abbazia risalente all’anno mille scomparsa da oltre 500 anni e recentemente ritrovata nei boschi di Collemancio nel Comune di Cannara.

 

Cenni Storici

Il territorio assisano, come dimostrano anche le indagini condotte dal Sensi nel 1981, tra XI e XII secolo era senz’altro intessuto di una notevole trama di insediamenti monastici di matrice benedettina, generalmente maschili.
I monasteri strinsero dei legami con il territorio e con il tempo lo influenzarono non solo con matrice religiosa, infatti se si analizza la matrice tipicamente benedettina il loro intervento fu indirizzato sulla rete idrica intendendo il discorso dei lavori agricoli e delle bonifiche di cui i monaci furono propagatori in tutto l’occidente operando in zone, in origine, afflitte da un’alta percentuale di paludi.
Altra costante dei legami tra monastero e territorio circostante, è rintracciabile nell’attenzione dedicata alle vie di comunicazione, questa volta terrestri, lungo le quali e spesso in posizioni strategiche, ritroviamo molti di questi insediamenti.
La loro presenza era legata alle forme di pellegrinaggio che erano sviluppate nell’Italia medievale la loro funzione spesso era associata a sistemi di assistenzialismo e ricovero per pellegrini; forse nel caso di Sant’Apollinare al Sambro questo compito è associabile al primo; infatti, se pensiamo agli interventi sul territorio, in concomitanza con la presenza dell’Abbazia di San Crispolto sempre sul torrente Sambro, ha favorito la costruzione dei mulini, la bonifica dei territori ed in seconda istanza ha garantito l’ospitalità per i viandanti diretti verso sud in particolare Todi.
Il compito dell’assistenza ai pellegrini di questa struttura può essere supportata dalla presenza di uno dei più grandi ospitali della zona dopo quello S. Lazzaro, sorto presso Rivotorto e parliamo di Selvagrossa lungo il torrente Sambro nel territorio di Collemancio a poca distanza dal Monastero.
Questa struttura religiosa infatti, al di là di quello che oggi è poco leggibile sul territorio, sorgeva a ridosso di una importante e transitata via di comunicazione che partendo da Assisi attraversava la Valle Umbra, risaliva per Urvinum Hortense, attuale Collemancio scendeva nella valle del Sambro risaliva per Pomonte per poi scendere di nuovo nella valle del Puglia e proseguire speditamente per Todi attraverso la Valle del Tevere e da li poi per Roma.
Una viabilità molto conosciuta e frequentata da millenni non a caso diventata in epoca Longobarda il famoso Corridoio Bizantino, strada che attraversava l’Appennino centrale e arrivava a Ravenna dove c’era il Mausoleo di Sant’Apollinare in Classe e Sant’Apollinare Nuovo.
Tenendo conto di questa evidenza storica possiamo ragionare sul fatto che in questo corridoio numerose sono le testimonianze di edifici religiosi legati al culto Bizantino e le Abbazie dedicate a Sant’Apollinare che sono sorte.
Proprio nel tratto Umbro della valle del Tevere ne troviamo due dedicate al primo vescovo di Ravenna particolarmente venerato nell’Italia bizantina, una a destra e una sinistra dello stesso; la prima è quella di Marsciano e la seconda è proprio questa sulle sponde del Sambro.
Per non contare poi le chiese e le Pievi che sono sorte con questa dedicazione tra l’XI ed il XIV secolo, ne troviamo tantissime, solo ad Assisi se ne contano due, una dentro ed una fuori le mura, sarebbero tre se si considera anche la Pieve di Capodacqua di Assisi; ne troviamo altre a Gualdo Cattaneo, Carpello di Foligno, Trevi, Norcia, Sellano, Nocera Umbra e Costacciaro per citarne alcune, questo a dimostrazione che la cultura Longobarda nei nostri territori era molto radicata.
Tornando al monastero in questione la storia ne aveva cancellato le tracce da oltre 550 anni tanto che era convinzione comune che sia stato in territorio bettonese addirittura qualcuno lo posizionava alla confluenza tra il Sambro ed il Topino confondendo toponimi (Badia – riferito ad un monastero mentre era il cognome di una famiglia) con l’edificio denominato il “Casino dei Piaceri” che nulla aveva a che vedere con la struttura monastica.
Tracce del suo ritrovamento sono state annotate in appunti ottocenteschi e di questo secolo, ma purtroppo sono rimasti nei cassetti ed il mistero del Monastero è rimasto.
Solo ultimamente (2021) si è potuto appurare che i ruderi presenti in un pianoro alla confluenza tra il fosso delle Rocche ed il Sambro, erano proprio del Monastero quindi posizionato a Valle di Collemancio ed in Comune di Cannara.
Intanto dai documenti fino ad oggi trovati questo Monastero veniva chiamato in diversi modi, fra questi ricordiamo:
Sancti Apollenaris de Sambro, Sancti Appolenaris de Sambro, Sanctae Luciae de Sambro (1134), Sanctti Apollenaris justa Sabro flumen, Monasterio de Sambro, Sancti Apollinaris de Zambro, Sancti Apollinaris de Sambucina (forse per la presenza di numerose piante di sambuco).
Per conoscere come è nata questa grande struttura religiosa occorre ripercorrere a ritroso la storia fino ai primi decenni dell’anno mille.
Nel secolo XI, in data imprecisata, lo Jacobilli nel suo scritto “Vita di Santi e Beati dell’Umbria” ritiene fondata verso il 1070, un nobile assisano, Mevanio (o Bevaneo o Mevaneo) giudice, vendette tutti i propri beni ed eresse nel proprio fondo il monastero di S. Apollinare del Sambro nelle vicinanze del Castello del Colle in Collemancio e, dopo averlo offerto alla Chiesa, vi entrava egli stesso come monaco.
Erano gli anni in cui, sotto l’influsso cluniacense, vari nobili e benestanti si dedicavano alla costruzione di chiese e monasteri al di fuori della cerchia urbana e sceglievano essi stessi la vita monastica; il periodo più ricco di questi esempi per la nostra zona abbraccia gli anni che vanno, all’incirca, dalla metà del sec. XI alla metà del sec. XII.
Qui ci troviamo in diocesi di Assisi, presso il confine di questa con quella di Spoleto, e la sua storia fu lunga e travagliata.
Il primo documento che la nomina è datato 1085 e riguarda la donazione da parte dei conti Offredo e Bretto di Monaldo, della loro porzione della chiesa di S. Ansuino in Capro presso Bevagna con il relativo terreno al monastero di S. Apollinare di cui è Priore Bevaneo che dovrebbe essere senza dubbio il giudice Mevanio che l’ha fondata.
Ricordiamo, per capire bene la storia successiva, che la suddetta chiesa con annesso un piccolo monastero, era sotto la Diocesi di Spoleto e questa sua posizione sarà causa scatenante di conflitti che si protrarranno per più di un secolo.
A queste donazioni se ne aggiungono molte altre fino a giungere nel 1109 quando i lasciti e le vendite al monastero vengono fatte al nuovo Priore che si chiama Uvo e proprio a questo sono riferite numerose altre donazioni.
Questa tranquillità viene alterata sotto il pontificato di Pasquale II, infatti il 17 marzo 1116 il papa con una bolla decreta l’unione di Sant’Apollinare con tutte le sue pertinenze all’Abbazia di Santa Croce di Sassovivo retta dall’abate Alberto (in Diocesi di Spoleto).
Questa decisione fu presa a causa dello scadimento della disciplina monastica di quel monastero e stabilì che il censo annuale da versare per questa unione al Laterano da parte di S. Croce di Sassovivo veniva fissata in quattro denari.
Nonostante questa unione decretata dal papa, i donatori o venditori di terre a favore della chiesa del Sambro continuano a trattare col priore di quest’ultima quel tale Uvo sopra citato segno probabile questo di un atto di insubordinazione da parte dei monaci del Sambro a quelli di Sassovivo; queste operazioni si protrassero fino al 1134 quando l’abate era cambiato e si chiamava Bernardo.
La maggior parte di questi lasciti erano pertinenti alla zona di Capro di Bevagna in Diocesi di Spoleto e questo succedeva proprio perché li esisteva la chiesa benedettina di Sant’Ansovino o Sant’Ansuino che a suo tempo era stata donata a Sant’Apollinare.
Questa chiesa, appartenente alla diocesi di Spoleto e non a quella di Assisi come invece lo era Sant’Apollinare, fu sempre il motivo del contendere in quanto le proprietà dell’Abbazia del Sambro intorno ad essa si stavano espandendo a macchia d’olio e questo sicuramente ha attirato gli interessi della potente abbazia folignate.
Il 21 maggio 1138 Innocenzo II con un suo privilegio pone sotto la protezione della Sede apostolica Santa Croce di Sassovivo e con esso anche Sant’Apollinare.
Il potere del monastero del Sambro intanto invece che ridimensionarsi si espande tanto che i suoi possedimenti arrivano a Trevi e quasi alle porte di Spoleto, questo dimostra che il suo prestigio spirituale e sociale nonché l’influenza economica doveva essere notevole.
Il 7 novembre del 1156 papa Adriano IV prende sotto la propria protezione apostolica il monastero del Sambro e con una bolla inviata dal Laterano al priore Bernardo e ai suoi monaci conferma tutti i loro possedimenti e beni prima fra tutte la chiesa di Sant’Ansovino a Capro.
Altre donazioni sono attestate fino oltre il 1164, ma i rapporti con Sassovivo si inasprivano poiché i monaci mal digerivano le altrui ingerenze soprattutto in materia economica.
Proprio per ristabilire l’ordine il 30 maggio 1208, papa Innocenzo III con una bolla conferma l’unione di Sant’Apollinare con Sassovivo come stabilito da papa Pasquale II nel 1116 e allo stesso tempo invitava i monaci a sottomettersi affinché evitassero una scomunica che l’abate Nicola di Sassovivo avrebbe emanato nei loro confronti con potestà di richiedere “un risarcimento in termini pecuniari per le indebite sottrazioni, alienazioni e distrazioni dei beni monastici..“.
Anche questa minaccia comunque non dovette sortire l’effetto desiderato poiché il 13 agosto 1208, due mesi dopo, lo stesso papa incaricava il vescovo di Perugia Giovanni, il vescovo di Assisi Guido e il vescovo di Foligno Egidio di costringere i monaci del Sambro a sottostare a Sassovivo.
I tre vescovi intimarono all’abate di Sant’Apollinare di sottomettersi all’abate di Sassovivo al fine di essere assolti dalla scomunica, oppure entro 4 giorni, dall’arrivo dell’ingiunzione, di presentarsi a Foligno al loro cospetto e dare spiegazioni del loro comportamento.
Anche questa ingiunzione cadde nel vuoto allora i tre vescovi si recarono di persona al Sambro, ma durante il tragitto furono aggrediti da Enrico “de Crescicompania de Arce de Pitio” e da “V. filius Petri civis asisinatis” che aiutati da altre persone assaltarono i vescovi li percossero “sul capo” e li misero in fuga dopo aver ucciso i loro cavalli e quelli dei chierici che li accompagnavano.
Il cappellano del vescovo di Perugia, maestro Filippo, invece fu preso e condotto via da due mercenari, i quali lo trascinarono fino alla Rocca di Pitio tenendolo prigioniero per qualche tempo e trattenendone poi la clamide e il cappello.
Sicuramente l’ispiratore di questo agguato era stato il priore del Sambro già scomunicato, per cui i tre vescovi scampati alla morte, inviarono una lettera ai monaci affinché si sottomettessero.
Il successivo 10 ottobre 1208 Innocenzo III incarica il vescovo di Todi, Rustico Brancaleoni, e gli abati di S. Pietro di. Perugia e di S. Angelo di Bevagna di annunciare pubblicamente la scomunica di Enrico, del figlio di Pietro d’Assisi e dei loro soci per aver aggredito i vescovi di Perugia, Assisi e Foligno e invita i nuovi tre vescovi incaricati a prendere in mano la situazione e di risolvere una volta per tutte questo contenzioso.
In questa controversia già difficile entra di nuovo in gioco lo scomunicato Enrico “de Crescicompania” autore dell’aggressione ai tre vescovi, il quale occupò il monastero del Sambro con i suoi seguaci e fingendosi in fin di vita per la lebbra ottenne l’assoluzione alla sua scomunica dietro una cauzione di cinquanta lire lucchesi all’abate di Sassovivo con l’impegno di non ostacolare mai più quest’ultimo nel possesso di S. Apollinare del Sambro.
Il procuratore di Sassovivo scrive che nel 1208 il priore di S. Apollinare con i suoi monaci viene scomunicato per manifesta ribellione; in seguito alcuni di questi si sottomettono all’abate mentre la chiesa viene posta sotto interdetto e scomunicata per almeno dieci anni; Enrico e soci nel frattempo ordiscono un agguato contro gli inviati del pontefice, ma solo una parte dei monaci perdura nella ribellione, capeggiati da Zebedeo; ne consegue che quest’ultimo dovrà essere rimosso e condannato e dovranno essere puniti, sia secondo la legge canonica che quella civile, anche i sedicenti patroni di S. Apollinare; dovranno essere restituiti tutti i frutti indebitamente riscossi per dieci anni e consegnate le chiavi delle chiese dipendenti, oggetto di vertenze, ovvero S. Ansuino in Capro.
Ed ecco che ritorna di scena la chiesa di Sant’Ansovino, infatti l’abate Forte già scomunicato, trova sponda nel Vescovo di Spoleto Benedetto che, istigato dai monaci del Sambro, occupa la chiesa ed il piccolo monastero che rientra nella sua giurisdizione spettante invece, per volere papale, all’abbazia di Sassovivo, venendo in tal modo a scontrarsi con questa abbazia.
Il papa Innocenzo III, in data 22 novembre 1208, dà incarico al vescovo di: Nocera Umbra, Ugo Trinci, all’abate di S Pietro e al priore di S. Salvatore di Foligno di imporre al vescovo di Spoleto la restituzione di S. Ansuino all’abbazia di Sassovivo.
Lo stesso giorno papa Innocenzo incarica il podestà di Spoleto (quindi, il podestà è dalla parte del pontefice, mentre il vescovo spoletino gli è contrario) di far prendere possesso, dall’abate di Sassovivo di tutti i beni prima appartenenti a S. Apollinare del Sambro nel distretto di Spoleto.
Il 10 giugno 1213 l’abate Forte fa atto di sottomissione, ma Enrico è sempre attestato al monastero del Sambro per cui dopo essere stato precedentemente assolto viene di nuovo scomunicato il 14 gennaio 1214.
Nel frattempo muore papa Innocenzo III ed il suo successore Onorio III il 10 febbraio 1217 rinnova all’abate Nicola il privilegio di Pasquale II e da mandato agli abati di San Pietro di Perugia, di San Giustino in Amelia e di S Silvestro al Monte Subasio di dar seguito alle sue volontà.
Nessun cambiamento ci fu anche in seguito a questo intervento, allora il papa decise di assumere egli stesso la responsabilità chiamando in giudizio dinanzi a sé tutti gli artefici del contenzioso cioè: il monastero di Sassovivo, la chiesa di S. Apollinare in Sambro, nonché coloro che se ne dichiaravano patroni, gli eredi di Enrico accompagnati, per l’occasione, dal tutore e dal canonico di S. Rufino, Greco.
Una volta presentatisi i protagonisti del contenzioso o i loro procuratori la sentenza emessa favorì Sassovivo e demandò al podestà e al popolo di Assisi il compito di immettere l’abate di Sassovivo nel possesso di S. Apollinare.
Il 13 maggio del 1219 però si era punto da capo anche perché era stato rimosso il podestà di Assisi e nel 1221 la sentenza non era stata ancora eseguita.
Nonostante i vari interventi successivi dei canonici del capitolo della cattedrale di Foligno che sembrava avessero messo termine alle ostilità, il 18 marzo 1224 Sant’Apollinare del Sambro e S. Croce di Sassovivo sono di nuovo in contrasto per il possesso di S. Ansovino di Capro.
Il 17 maggio del 1227 il nuovo papa Gregorio IX conferma le decisioni dei suoi predecessori e la controversia parrebbe davvero risolta ma stando ai documenti non sarebbe così, infatti la proprietà di S. Ansovino, nel 1255 fu messa di nuovo, per volere di papa Alessandro IV, alle dirette dipendenze del monastero di S. Apollinare del Sambro che, quindi, era riuscito a non sottostare a Sassovivo.
La storia a questo punto è però controversa in quanto nel 1333 e 1334 durante il pagamento delle decime alla Camera apostolica, si presenta un certo frate Blasio del monastero di Sassovivo che paga per conto di Sant’Apollinare al Sambro e ciò dimostra che Sant’Apollinare non ha più rappresentanza ma sottostà a Sassovivo che lo rappresenta.
Si riportano testualmente i pagamenti delle decime:

3419. ltem habui a fratre Blasio monacho monasterii Saxivivi solvente pro monasterio S. Appollonaris de Sambro pro dicto termino VII lib. v sol. cor.
3487. Item pro monasterio de Sambro VII lib. v sol. cor.
3610. Item habuin fratre Blasio priore monasterii S. Apollinaris de Sambre pro prioratu dicti monasterii VII lib. v sol. cor.
3724. Item ab eodem pro monasterio de Sambro pro dicto termino VII lib. v sol. cor.

Nel catasto degli enti ecclesiastici del 1354 il monastero di Sant’Apollinare del Sambro risulta omesso ma forse perché l’elenco dei monasteri è purtroppo incompleto.
Non compare nemmeno nelle Visite Pastorali poiché la sua vita dopo la sottomissione a Sassovivo dovrebbe essere stata breve, infatti oramai ci troviamo intorno al 1400, secolo interessato da pestilenze e soprattutto dalla decadenza spirituale, secolo in cui molte strutture religiose, anche di prestigio che avevano fatto la storia e avevano assunto un potere immenso, vengono commendate e gradatamente il loro prestigio nonché la loro economia si va sfaldando a favore di commendatari che invece di fare gli interessi delle abbazie fanno i propri.
Sant’Apollinare sarà sicuramente stato investito da tutti questi fattori e in più ci si sarà aggiunta la rivalsa che sarà stata esercitata da Sassovivo per il secolo di contenzioso.
Successivamente si perdono le tracce di questo importante cenobio tanto che è rimasto nel suo silenzio per oltre 500 anni ed oggi a noi non restano che pochi ruderi di un patrimonio di notevole splendore.
Sarebbe interessante fare una ricerca sulle opere e sui beni di questo monastero per sapere se ce n’erano e di che si trattava, se sono state messe in salvo dai monaci, che fine hanno fatto o se sono state depredate.
Domande e dubbi che al momento rimangono senza risposta.
 

Aspetto

Della chiesa e dell’annesso monastero non restano che pietrame coperti di muschio sparso per il bosco e a giudicare dalla enorme quantità di pietre si deve pensare che questo abbracciasse un’area molto vasta e la struttura doveva essere di notevoli dimensioni; si sono salvati brandelli di muratura ad ovest testimoni di ambienti conventuali e il resto di un’ampia abside crollata poco sopra la curvatura del catino.
Una campagna di scavi permetterebbe la definizione almeno del perimetro della chiesa e l’eventuale presenza di cripte sotterranee.
Lo scavo archeologico potrebbe diventare una risorsa per il paese di Collemancio già interessato dalla presenza dell’antica città romana di Urvinum Hortense, che si arricchirebbe di questa interessante presenza monastica di recente ritrovamento che potrebbe essere motivo di interesse turistico del territorio.
 

Nota di ringraziamento

Ringrazio sentitamente Gabriella Turrioni per aver fornito parte della necessaria documentazione, Mario Scaloni per l’elaborazione del testo nonché per avermi dedicato il suo tempo sia nell’avermi accompagnato sia per aver supportato le mie esigenze.
Ringrazio altresì Marcello Tomassetti preziosa guida del territorio che ci ha pazientemente accompagnato nell’escursione, senza di lui le nostre ricerche sarebbero state sicuramente vane.
 

Fonti documentative

F. Santucci – Chiesa e monastero di Sant’Apollinare del Sambro tra l’XI ed il XIV secolo
Don Mario Sensi – S. Angelo di Limigiano Abbazia temporaneamente dipendente dal Monastero di S. Pietro di Perugia – 1967 in Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria Volume LXIV fascicolo secondo.
Rationes decimarum Umbria
Aspetti di vita benedettina nella storia di Assisi in Atti Accademia Properziana del Subasio
Serie VI n. 5 – ASSISI 1981
P. Monacchia – Enti religiosi ed assistenziali nella diocesi di Assisi al tempo di Federico II – In Accademia Properziana del Subasio Serie V n° 23 1995
 

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