Castello di Montecastello di Vibio – Montecastello di Vibio (PG)

Il paese ospita il Teatro della Concordia, il più piccolo teatro all’italiana, uno dei più piccoli teatri storici del mondo.

 

Cenni Storici

La città esisteva già prima dell’arrivo dei romani, ciò è documentato da aree tombali rinvenute a ridosso delle mura, ma la fioritura vera e propria del territorio si ha con l’arrivo del dominio di Roma.
Infatti la scelta del toponimo “Vibio” pare derivare dal nome di un´antica e nobile famiglia di Perugia da cui il nome “Colonia Vibia Augusta Perusia”.
Questa famiglia era padrona di Perugia.
E’ attestato che ad un certo momento della storia romana imperiale, un personaggio della famiglia Vibia assunse la suprema potestà dell’Impero: Caio Vibio Treboniano Gallo, generale al comando delle legioni operanti nella Mesia, proclamato imperatore nel 251 d.C. all’età di 44 anni.
Ulteriore elemento di conferma è apportato dalla numismatica romana che sia per la parte repubblicana che per quella imperiale, fornisce numerose notizie circa la famiglia Vibia.
Già in età repubblicana si hanno denari consolari di Caio Vibio Pansa (Caii filius), che coniò monete verso il 90-88 a. C., mentre un altro Caio Vibio Pensa (C.F.C.N., cioè “Caii filius Caii nepos”) conia denari in epoca augustea.
Perugia nel suo territorio conserva molti documenti, epigrafi, memorie della famiglia Vibia ed elementi che richiamano il nome della stessa.
Va ricordato inoltre che nel paese di Montecastello di Vibio, ubicato a qualche chilometro da Todi, il cui nome deriva da una località che probabilmente ricorda un qualche possedimento terriero della “gens Vibia” in Umbria, fu eretta l’antica abazia di S. Lorenzo in Vibiata.
La famiglia Vibia, forse fino dall’epoca della colonia originaria augustea, sembra avesse possedimenti, interessi, legami di patronato con Perugia ed altri centri umbri.
Della fase romana rimangono scarsi documenti a dimostrare la frequentazione della zona: tuttavia, alcuni elementi, come l’urna funeraria di “Tertia Vibia”, inserita nella parete di una casa della frazione di Doglio e il toponimo di S. Lorenzo in Vibiata, lasciano presumere che il territorio ospitasse i possedimenti dell’importante famiglia di origine etrusca, poi romanizzata, dei Vibii.
In merito all’edificazione del castello non si hanno documentazioni precise, però, osservando la struttura del fortilizio, è facile supporre che la rocca venne eretta in epoca medievale forse dalla famiglia todina degli Atti, vista la favorevole posizione strategica, adatta non solo a difendere, ma soprattutto a dominare la valle del Tevere.
Todi comprese sin dall’inizio che una simile fortezza, cadendo in mani nemiche, sarebbe stata molto pericolosa per le sua vicinanza e cercò sempre e con ogni mezzo di legarla a sé; avutala, la tenne lungamente mantenendovi un castellano.
Pietro Farnese, nelle sue guerre contro i todini, la espugnò, e appena conclusa le pace, la restituì agli antichi possessori, ma non sembra che questi la dominassero tranquillamente, poiché nel 1245 il bolognese Caccianemico, podestà di Todi, per abbattere le tracotanza dei castellani, ordinò che si smantellassero le mura del fortilizio e, due anni più tardi, l’altro podestà Tolomeo di Pietro fece demolire anche i torrioni.
Sebbene la fortezza fosse in breve riedificata, ciò valse a sedare ogni spirito di ribellione in Montecastello.
Nel 1292 ritroviamo la comunità di Montecastello nel “libro dei fuochi del contado tuderte” con 199 fuochi in quell’anno.
Nel 1323 è nominato fra le rocche di Todi e quando nel 1338 questa città, proclamato il governo popolare,redasse un elenco delle famiglie nobili escluse dai pubblici uffici, vi iscrisse pure un Tebalduocio di Tebaldo di Montecastello.
Finalmente nel libro dell’”Accavallata”, nel 1340 anche la detta comunità vi è tassata, e nel 1389 si ha ancora notizia di 20 paghe fatte dai todini al castellano della rocca, ma non c’è cenno di altre ribellioni o dissidi tra il paese dominato e la città dominante.
Nel 1392 valendosi dei diritti che il Patrimonio di S. Pietro aveva su Todi e sul Contado, Bonifacio IX concesse il fortilizio a Catalano degli Atti, milite di gran nome al servizio della Chiesa.
Quattro anni dopo, però, (morto Catalano degli Atti) Biordo Michelotti, capitano di ventura e signore di Perugia, muoveva ai danni del Papa espugnando Assisi, Nocera, Gualdo, Orvieto, Trevi, Cesi e Todi.
In tal frangente anche Montecastello cadde in mano di Biordo, che la donò a Pietro Angelo dei Conti di Marsciano, marito di sua cugina Michelotta, ma la famiglia degli Atti, allora potentissima,non restò inerte alla perdita di quel feudo, per cui Francesco, figlio di Catalano, si mosse per riprenderlo.
L’orgoglio della potente famiglia degli Atti spinse Francesco, figlio di Catalano, a riprendere il castello approfittando dell’uccisione di Biordo da parte dei nobili perugini.
La leggenda vuole che in quel frangente la difesa della rocca fosse stata organizzata dalla stessa Michelotta la quale, assente il marito, riuscì a resistere per molti giorni all’assedio, sperando nell’arrivo del marito Pietro Angelo.
Costretta alla resa, i nemici ne ammirarono l’orgoglio, il senso dell’onore e l’audacia che l’avevano resa pari ai più valorosi e arditi cavalieri dell’età di mezzo.
Nel 1405 si impadronì del paese Ludovico Migliorati, nipote di Innocenzo VII, forse in seguito alla sconfitta, presso la rocca di Orte, dello stesso Francesco degli Atti (il quale venne liberato dietro il pagamento di 2000 fiorini e la cessione di alcuni castelli).
Il governo Migliorati durò quattro anni, fino a quando Todi cadde sotto il dominio del re di Napoli, Ladislao d’Angiò Durazzo, che tendeva alla conquista di tutti i territori del Papa (ora Gregorio XII, che era succeduto a Innocenzo VII).
Montecastello fu di nuovo concesso agli Atti, che lo tennero da signori assoluti fino al 1464.
Tuttavia il castello non trascorse periodi lunghi di quiete: si susseguirono, infatti, assalti improvvisi, saccheggi, scorrerie.
l colpo più imprevisto e rabbioso fu quello inferto da Francesco Piccinino (figlio e luogotenente del celebre condottiero Nicolò), che arrivò da Borgo S. Sepolcro fin sotto le mura del castello (il bestiame razziato venne condotto e Collelungo di Orvieto).
Sebbene gli Atti si fossero dichiarati più volte obbedienti alla volontà del Papa, la rocca fu dapprima rivendicata al diretto dominio della Chiesa e poi concessa da Sisto V in vicariato a Bartolomeo Jacopo della Rovere, signore di Urbino.
Dieci anni dopo, il 27 novembre 1475, tornò sotto la giurisdizione tuderte; Todi, però, tiranneggiava con pesanti gabelle.
Lo spirito d’indipendenza animò a i vessati abitanti di Montecastello e sfociò, fra incendi e omicidi, in ribellione aperta.
Quest’ultima costrinse Todi (7 marzo 1565) a trattare con la Camera Apostolica; i tudertini, quindi, si dissero disposti a versare l’ingente somma di 23.000 fiorini, pur di riavere sotto la loro giurisdizione la rocca e il contado di Montecastello.
Il primo aprile dello stesso anno il consiglio generale di Todi elesse Vincenzo Genico e G. Angelo Leoncino a procuratori del comune per prendere possesso della rocca e delle sue dipendenze ed esercitarvi l’autorità giudiziario come ministri e commissari.
I Castellani, tuttavia, da abili politici si mostrarono disposti a pagare personalmente quella somma, pur di restare sotto il diretto dominio pontificio.
In effetti il governo della Chiesa, più nominale che reale, avrebbe loro permesso di poter godere di un’autonomia che gli avidi padroni todini non avrebbero mai concesso e, data la vicinanza, reso del tutto impossibile.
Naturalmente il comune di Todi dovette piegarsi alla volontà del Papa Pio IV e il 22 di maggio deliberò di rinunciare alla compera fatta; in seguito, però (il 19 novembre) annullò tale deliberazione e mandò ambasciatori dal Papa perché si degnasse di mantenere i contratti stipulati, obbligando i todini a tenere il castello sotto l’obbedienza ed in nome della Sede Apostolica.
Così facendo, Todi credeva di parare l’abilità degli abitanti di Montecastello,ma i suoi sforzi riuscirono vani.
Anche questa volta i Castellani riuscirono a sfuggire con abile mossa all’insidia dei tuderti, offrendosi alla signoria di Orvieto.
Appena i Priori del Comune tuderte ebbero tale notizia mandarono nuovi ambasciatori dal Papa Pio V (17 marzo 1566), per mostrargli quanto ingiusta, per lontananza e per tradizioni, fosse la sottomissione di Montecastello ad Orvieto anziché a Todi.
Sentite le parti, il Papa Pio V, onde evitare l’acuirsi di antiche rivalità, confermò alla Santa Sede la diretta sovranità su Montecastello, che poté così realizzare in pieno il suo disegno politico.
L’odiata Todi era però troppo vicina, cosi come troppo lontana era Roma, ed era impossibile peraltro sottrarsi all’influenza della prima, sia pure economicamente.
Dal 1596 i Castellani dovettero destreggiarsi fra le pretese della Camera Apostolica e le rappresaglie dei Todini, che, in pratica, finirono con l’avere ragione della renitente tributaria.
Ai primi del secolo XIX, durante la conquista napoleonica, Montecastello uscì per l’ultima volta dal grigiore della cronaca quotidiana.
Elevato a capo-cantone, ebbe sotto di sé un vasto territorio, dal Tevere a Orvieto.
Della riacquistata dignità si conobbero i frutti particolarmente nel 1807, allorché la cittadinanza decretò l’inizio della costruzione del “Teatro della Concordia”, nel quale divertimenti e riunioni familiari (c’era anche un aristocratico Caffè) avrebbero trovato l’espressione migliore.
Nel 1814, restaurata la denominazione pontificia, Montecastello aveva ormai maturato le premesse per la sua erezione a Comune nel futuro Regno d’Italia.
L´aggiunta del “Vibio” nella denominazione del castello risale al 1863, anno nel quale con Regio Decreto del Re d´Italia, Vittorio Emanuele II, alcuni comuni delle province dell´Italia centro – settentrionale furono autorizzati ad assumere nuove denominazioni a causa delle frequenti omonimie che si riscontrarono dopo l’Unità della nazione.
 

Aspetto

Il paese ha la struttura tipica del “Castrum” medievale, con la cinta di mura ancora quasi del tutto integra con i suoi torrioni, la porta di Maggio si è conservata con tutta la sua torre mentre la porta Tramontana è stata abbattuta.
La struttura urbanistica interna presenta una rete viaria costituita da due anelli concentrici collegati da vie traverse che delineano abitazioni medievali e rinascimentali e due chiese.
 

Fonti documentative

Pietro Caruso – Montecastello di Vibio e il suo Territorio, ieri e oggi – 1996

http://www.montecastellodivibio.gov.it

 

Da vedere nella zona

Chiesa della Madonna delle Carceri
Chiesa dei SS. Filippo e Giacomo
Chiesa della Madonna delle Grazie
Abbazia di San Lorenzo in Vibiata
Chiesa di Santa Illuminata
 

Mappa

Link alle coordinate

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>