Castello di Pieve del Vescovo – Corciano (PG)

Chi percorre la Provinciale 172 che da Corciano porta a Pierantonio costeggiando il fiume Caina, è impossibile che non noti l’imponente struttura del Castello di Pieve del Vescovo, che maestosa, nella sua forma squadrata e massiccia, domina la valle dall’alto della collina di fronte a Migiana di monte Malbe.

 

Cenni Storici

Il Castello di Pieve del Vescovo, sorge all’estremità di una piccola collina alta 277 m., ed è immerso nel verde della valle dominata dall’antico insediamento di Corciano, da cui dista circa un chilometro.
E’ considerato uno dei monumenti architettonici più significativi ed interessanti del territorio perugino.
La pieve ha origini molto antiche (probabilmente anteriori all’XI secolo), nonostante l’imponente struttura e la sua posizione dominante, che farebbe pensare ad un baluardo difensivo, non fu costruita per ragioni militari.
La “monumentale fabbrica” che noi chiamiamo “Castello“, risulta essere un agglomerato architettonico costruito in tempi successivi intorno ad un edificio cristiano, la “Plebs Sancti Johannis“.
L’epoca e l’origine della primigenia edificazione si fa risalire agli inizi del secolo VII.
Tale congettura è avvalorata dal ritrovamento nelle vicinanze della pieve di emergenze archeologiche testimonianti che la struttura cristiana, qualunque sia stata in origine (non si esclude una cappella votiva o edicola, forse già da allora dedicata a San Giovanni), fu eretta su un’area di sepoltura preesistente o in prossimità di questa.
E’ attestato inoltre che l’area circostante la pieve era già “fortemente affermata” in età medievale, e frequentata per scopi religiosi fin dall’età etrusco-romana.
La sua posizione strategica ne faceva uno snodo fondamentale per la viabilità antica.
Dopo la bolla papale indetta da Innocenzo III nel 1206, la Pieve di San Giovanni fu posta sotto la giurisdizione del vescovo di Perugia; quaranta anni dopo ebbe il titolo di arcipretura.
Essendo stata occupata insieme a Corciano dai nobili fuoriusciti da Perugia, nel 1394, questo ci fa ipotizzare che all’epoca era probabilmente già minimamente fortificata; i disertori vi rimasero sino al 1396, anno in cui furono cacciati dai popolani guidati dal Capitano di ventura Biordo Dei Michelotti.
Lo stesso anno venne costruito “il recinto murario di questa grandiosa Fabbrica quadrilaterale con torri, con il permesso del comune di Perugia”.
Il giorno di San Giovanni, dell’anno successivo il valoroso Capitano celebrò, proprio tra le mura del castello, il suo sfarzosissimo matrimonio di cui le cronache del tempo ne parlarono doviziosamente.
Fino alla metà del ‘400, quando il vescovo perugino mons. Giacomo Vannucci iniziò a trasferirsi periodicamente presso la pieve, rimase un imponete e fortificato baluardo.
Un secolo dopo il cardinale Fulvio I Della Corgna, all’epoca vescovo di Perugia, trasformò il castello da fortezza medioevale a vera e propria residenza signorile.
Nel 1628 è oramai evento noto e documentato che il vescovo perugino Cosimo De Torres istituì, con il permesso del cardinale camerlengo Ippolito Aldobrandini, una fiera nella piazza antistante il giardino.
Questa fiera, che si svolgeva il 24 di giugno, fu tramandata per secoli, fino agli anni che precedettero il secondo conflitto mondiale.
L’ultimo vescovo che risedette alla pieve fu mons. Gioacchino Pecci che la salvò dalla demaniazione generale del 1860.
Mons. Beda Cardinale, fu l’ultimo vescovo che vi si recò, anche se non più periodicamente, forse a causa del degrado che in quegli anni sopraggiunse alla struttura.
Durante l’ultimo conflitto mondiale la pieve divenne una postazione militare: fu occupata dalle truppe tedesche che la trasformarono in un deposito di armi, e durante la ritirata la bombardarono, causando il crollo di gran parte della struttura architettonica e scultorea esterna, e la perdita di elementi pittorici che decoravano i soffitti e le pareti interne.
Nel primo dopoguerra la struttura ospitava dei bambini abbandonati e orfani di guerra, creando così una Scuola di Avviamento Statale.
Probabilmente fu il vescovo mons. Mario Vianello, che provvide a lavori di “minima manutenzione“, che permise di realizzare tale iniziativa.
Nel 1953 la pieve ospitò i ragazzi di Don Zeno di Nomadelfia.
La congregazione dei Servi della Chiesa, a cui era stato affidato il complesso dal 1961 al 1973, vi gestì una casa di recupero e riabilitazione per ex ergastolani graziati.
L’ultimo utilizzo che se ne ebbe, prima della definitiva chiusura, fu quello di magazzino agricolo utilizzato dall’Eredità Rossi (che possedeva terreni nelle dirette circostanze), fino al 1981 anno in cui l’Eredità è stata alienata.
 
 
 

Corti interne


 

Sale nobili

La Pieve del Vescovo: un cantiere architettonico

Il castello si presenta ancora oggi maestoso ed imponente, a pianta quadrangolare, con un’unica porta originaria di accesso rivolta a ponente ed è recintato da massicce muraglie rafforzate da quattro torri cantonali.
Internamente è articolato in più corpi, ognuno dei quali su tre livelli; con la loro disposizione circondano ad anello i tre cortili interni.
L’edificazione della cinta muraria (XIV sec) si può considerare senza dubbio il primo grande e importante intervento eseguito sull’edificio preesistente.
La trasformazione dell’impianto architettonico del castello, iniziata già nel secolo XV, trova il suo massimo compimento alla fine del 1500, quando, per volere del nobile vescovo perugino mons. Fulvio I Della Corgna, l’intero complesso assumerà tutte le fattezze di una lussuosa residenza signorile e sarà arricchito di “molte comodità e fortificazioni“.
Questo radicale cambiamento, che ha interessato gran parte del struttura architettonica preesistente, è stato realizzato seguendo un complesso progetto ed è probabile che sia stato ideato da un’unica mente, indubbiamente dotata di molta capacità progettuale ed esperienza in campo architettonico e decorativo.
Anche se a tutt’oggi non si sono trovate fonti certe, la tradizione unanimemente concorda nel sostenere che fu incaricato l’architetto perugino Galeazzo Alessi, e architetto prediletto della Famiglia Della Corgna.
Questa tesi, non comprovata, può considerarsi accettabile se si analizzano gli interventi architettonici puntando l’attenzione sullo stile con cui sono state apportate le modifiche alla struttura: emerge la tipica impronta manieristica di gusto alessiano, riscontrabile in molti altri palazzi da lui decorati in ogni parte d’Italia.
La più evidente trasformazione interna al castello della Pieve interessa il corpo di fabbrica centrale, ovvero l’edificio angolare di sud-est contenente, al piano terra, la cappella di San Giovanni.
Questo fabbricato, già innalzato di un piano nel Quattrocento, fu in questo secolo trasformato in palazzo signorile.
Dall’analisi architettonica dell’apparato murario emerge che sul muro di fondo dell’attuale “salone d’onore“, situato al primo piano proprio sopra la cappella, essendosi generate due grosse lesioni sull’intonaco si è messo in luce un arco a sesto acuto ribassato, probabilmente tamponato successivamente.
Questo elemento, che è già di per sé di notevole interesse, se unito all’evidente abbassamento del livello delle finestre corrispondenti allo stesso piano sui lati di sud ed est del fabbricato, può diventare la diretta testimonianza che nel Cinquecento fu abbassato il livello del pavimento del salone con il conseguente abbassamento del soffitto della cappella: questa infatti presenta il soffitto a volta ellittica, molto ribassata.
Si può inoltre supporre, per la caratteristica dell’arco e per le tre monofore, indubbiamente originali, che la copertura dell’antica pieve fosse a sesto acuto con volta a botte, caratteristica non frequente, ma comunque riscontrabile in alcuni edifici sacri edificati nello stesso periodo, come ad esempio l’antica cappella interna al Castello dei Cavalieri di Malta a Magione.
Nella ristrutturazione cinquecentesca si è voluto dare più spazio al piano nobile e creare un vasto salone sviluppato per altezza.
Questo appartamento, comprendente il maestoso salone e altre quattro stanze limitrofe prevedeva al suo interno anche una piccola cappella privata.
Il piano così nobilmente impostato diventerà l’appartamento privato dei vescovi che risiederanno alla Pieve fino al ‘900.
Anche il “giardino pensile” è progettato e edificato in epoca tardo-rinascimentale, in quanto presenta inconfondibili caratteristiche manieristiche.
Il giardino sopraelevato occupa parte del piazzale che si apre verso Corciano: si presenta con un impianto quadrangolare e le sue mura perimetrali si congiungono alla facciata sud del Castello.
L’mpianto murario del giardino, oltre che essere elemento decorativo di notevole interesse, ha la funzione di contenere il terrapieno del giardino stesso con lo scopo di innalzare il livello naturale del terreno.
Le mura di cinta si estendono orizzontalmente per tutta la lunghezza della facciata del Castello, comprese le torri angolari, e la sua larghezza equivale a circa un quarto della lunghezza; la loro altezza non copre prospetticamente la cornice marcapiano della facciata, lasciandola così scoperta e ammirabile dall’esterno in tutta la sua integrità. Di notevole interesse sono i due parapetti di sopraelevazione, in laterizio, innalzati sopra le mura perimetrali e sormontanti i due lati corti e le due zone angolari del giardino.
Il giardino, così strutturato, è visibile nella sua interezza anche dall’esterno, ma si distingue dalla antica concezione del giardino strettamente privato, quindi chiuso e nascosto: “ortus conclusus“.
Presenta al suo interno un unico elemento architettonico costituito da una terrazza bi-rampata che permette di ascendere da questo livello a quello interno al castello; è inoltre decorato da grotte con giochi d’acqua.
L’acqua per le grotte proveniva da un pozzo realizzato all’interno del cortile d’ingresso del castello e addossato alla parete di destra.
Era sicuramente un pozzo monumentale, viste le dimensioni dell’originale decorazione a mattonelle di laterizio che circondavano il parapetto del pozzo e considerata la sua profondità; infatti il condotto, di circa due metri di diametro scavato sulla viva roccia, attinge acqua da una falda acquifera ad una profondità di circa cinquanta metri. Per questa sua caratteristica fu paragonato al pozzo di San Patrizio di Orvieto, voluto da papa Clemente VI e realizzato dal Sangallo proprio in questo secolo.
Nei secoli successivi al ‘500, periodo in cui il castello viene denominato di “Pieve del Vescovo“, la struttura non subisce altre modifiche di rilievo.
Già dai primi anni del Novecento si assiste ad un iniziale degrado dell’impianto architettonico, ma la situazione è ulteriormente aggravata a seguito dell’esplosione di una mina, durante la ritirata tedesca alla fine delle seconda guerra mondiale.
La parte del castello che risulta più danneggiata a seguito dell’esplosione è senza dubbio la zona centrale, considerata da un punto di vista artistico la più preziosa:
Il primo intervento di restauro attuato nel dopoguerra, risale agli anni 50 del ‘900.
Si sono ritrovati anche i disegni originali del progetto di restauro e di ricostruzione delle parti architettoniche andate perse, per opera dell’architetto perugino Ruggero Antonelli.
Gli elementi pittorici più antichi sono delle decorazioni floreali che ornano la parete di fondo del “cortile d’onore“.
Sono di notevole interesse storico-artistico, in quanto si fanno risalire alla prima metà del Trecento e costituirebbero le prime decorazioni realizzate all’interno del Castello.
Questo apparato decorativo, realizzato ad affresco, doveva estendersi e quindi occupare l’intera superficie muraria della facciata, che a quell’epoca (1300) aveva raggiunto l’altezza presumibile di circa sei metri e di larghezza non quantificabile in quanto l’affresco non è interrotto dall’innesto della parete nord del cortile; ciò è testimoniato dalla stessa decorazione emersa di recente dal saggio di scavo attuato sulla fascia alta della stessa parete, coperta nel periodo rinascimentale dal terrazzo “loggiato“.
Altre decorazioni parietali sono visibili all’interno del piano nobile, nei soffitti voltati delle tre stanze adiacenti il salone; queste presentano decorazioni a grottesche, probabilmente realizzate contemporaneamente o poco dopo il rifacimento cinquecentesco del castello.
Molto interessanti sono anche le decorazioni plastiche che ornano il salone.
Oltre alle porte timpanate, presenta un complesso impianto decorativo realizzato sull’intera superficie voltata.
Otto grandi vele unghiate, monocrome e inscritte da un’esile cornice, uniscono la parte centrale della volta ad una cornice aggettante sorretta da protomi; questa di notevole qualità artistica, e scolpite con indubbia maestria, raffigurano dodici volti, uno per ogni cornice e quattro di queste, più piccole delle altre, decorano i lati corti nelle zone angolari della stanza.
 
 
 

La Cappella di San Giovanni

La cappella è preceduta da un nartece finemente decorato con grottesche e bellissime vedute fra queste il monumentale complesso di Pieve del Vescovo con veduta da Corciano e il castello di Corciano stesso.
Nella parte centrale sopra la porta, rovinato per metà, lo stemma di papa Giulio III sostenuto da due putti di cui uno oramai perso.
Lungo le superfici laterali della volta due scene con protagonisti dei putti che giocano trainandosi su di una biga dorata.
L’affresco è attribuito al Savini, lo stesso che poi operò anche presso la Villa del Cardinale e alle sale del piano terra del Palazzo Corgna a Città della Pieve.
La facciata presenta un portale ad arco acuto sovrastato da un oculo.
L’interno è a navata unica con copertura a botte; parte della superficie voltata è decorata ad affresco: nelle sottili vele sono riportati alternativamente lo stemma del vescovo G. Pecci ed elementi simbolici.
Il pavimento è in mattonelle di cotto probabilmente originali disposte linearmente.
La cappella è spoglia di tutto l’arredo ecclesiastico tranne l’altare in marmo bianco.
Nella parete di fondo campeggia il grande affresco che rappresenta il Santo titolare nella sua infanzia insieme a sua madre alla Sacra Famiglia.
L’affresco è inserito in una struttura pittorica che emula un’edicola classica, sul cui fregio è riportata l’iscrizione latina “IN SE DOMINE SPERAVI“.
Il dipinto occupa tutta la zona centrale della finta edicola, e rappresenta la Sacra Famiglia, la Madonna con in braccio il Bambino tra Santa Elisabetta, San Giovanni Battista e San Giuseppe.
La Madonna è rappresentata assisa in un trono con gradino marmoreo a nicchia schiacciata posto tra due colonne verdi; tiene in braccio il Bambino, voltato con il corpo nudo verso sinistra nell’atto di prendere la Croce da San Giovannino; la Madre lo sorregge con la mano sinistra mentre tiene l’altra alzata in segno di venerazione e meraviglia.
Giovanni Battista è raffigurato in piedi di profilo e tende il braccio destro con la Croce, verso Gesù.
Il Bambino è abbracciato amorevolmente dall’anziana Madre che, seduta, cinge con un braccio il tanto desiderato figlio e con l’altra tiene il manto che le copre le spalle.
Dalla parte opposta del dipinto, quasi a voler bilanciare la scena, è rappresentata la maestosa figura di San Giuseppe.
Gli elementi più apprezzabili dell’intera composizione pittorica sono le mani e i piedi di tutti i personaggi, che dimostrano un’ottima capacità e maestria nella realizzazione del disegno e un alto valore estetico generato dalla soluzione pittorica.
Fino ad ora non sono stati trovati documenti che accertino la paternità del dipinto, né l’anno in cui è stato realizzato.
E’ comunque ipotizzabile dall’analisi stilistica del dipinto che sia stato realizzato alla fine del ‘500, in piena epoca rinascimentale.
 
 
 

La Sala del Pellegrino e l’Affresco staccato

Nel grandioso salone ricavato al primo piano sopra le vecchie stalle nella parte nord-ovest del complesso chiamato il “Salone del Pellegrino“, si conserva la copia di un affresco attualmente conservato presso la cappella privata dell’arcivescovo, nel Palazzo perugino ma proveniente da questa sede.
L’affresco è di notevoli dimensioni, stato posto su di un supporto ligneo e appeso a mo’ quadro sotto un baldacchino coperto con una cortina rossa; è nel complesso conservato in buono stato.
Vi è rappresentata in primo piano la Madonna assisa con in braccio il Bambino, tra i Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista; nello sfondo è dipinto un paesaggio lagunare, che va sfumando lungo l’asse prospettico.
Il dipinto, nel suo insieme, emula una pala d’altare, infatti le scene che vi sono rappresentate sono inserite in un telaio architettonico.
È realizzato su due livelli: la parte inferiore è caratterizzata dalla scena principale sopra descritta, e delimitata da due colonne, all’interno delle quali sono inserite quattro nicchie per parte.
Ogni nicchia contiene la figura di un santo con sotto il proprio nome; sulle colonne poggia un architrave, sormontato a sua volta, da una lunetta con al suo interno rappresentata una bellissima Trinità, che richiama l’importazione di quella realizzata da Masaccio intorno al 1427 per la Chiesa di Santa Maria Novella a Firenze.
La sua datazione è certa (1493), in quanto è riportata all’interno del dipinto stesso, inserita sul basamento della finta nicchia contenente “San Luca“; possiamo pertanto supporre che l’affresco sia stato commissionato, o comunque dipinto, durante l’episcopato del vescovo mons. Girolamo Balbani vescovo lucchese che occupò la carica proprio in quegli anni.
Non sappiamo chi sia l’esecutore dell’affresco, possiamo comunque ipotizzare, visto lo stile pittorico con cui è stato realizzato, che si tratti di un pittore della scuola del Perugino, molto fiorente alla fine del XV secolo sia a Perugia che fuori.
Non sappiamo di preciso quale fosse in origine la sua collocazione, ma ultimamente si è giunti alla conclusione che provenga da una cappella privata della Pieve accessibile solo al vescovo.
Nella stessa sala è anche presente un dipinto olio su tela, cm. 207 x 167 di Fabio della Cornia (Perugia, c.1600 – 1643) proveniente dalla Collezione dei Principi d’Assia, raffigurante un ritratto di Leonora Baroni; a tal proposito riportiamo un sonetto scritto da Giulio Rospigliosi, futuro Papa Clemente IX che elogia l’esecuzione del dipinto:

Applausi poetici alle glorie della Signora Leonora Baroni.
In Bracciano 1639. Con Lic.a de’ superiori.
Di Monsig. Giulio Rospigliosi.
Per lo Ritratto fatto dal Sig.D.Fabio.

Fabio, che à lo splendor de gl’avi illustri splendore accresci; e se dipingi, ò canti presso à te perde ogni pennello i vanti, e rendi i puri Cigni augei palustri.
Deh con qual meraviglia in tele industri spiegasti di beltà pregi cotanti?
Forse per imitar gl’almi sembianti ti dier gl’horti del Ciel rose, e ligustri?
Per te questa de’ cor dolce Sirena non è finta, ma vive; e i lumi ardenti scoccan dal vago ciglio amabil pena.
E ben scioglier potrebbe i chiari accenti; onde rapisce altrui, ma il suono affrena,per lasciar gli occhi à sì bell’opra intenti
“.

Il sonetto rappresenta la dedica di Giulio Rospigliosi, futuro Papa Clemente IX, per l’esecuzione del ritratto della celebre cantante e musicista Leonora Baroni, da parte dell’amico, nobiluomo e pittore, Fabio della Cornia; il fatto non deve apparire insolito, basti pensare al più significativo tra i poeti barocchi italiani, Giambattista Marino, che si ispirò a svariati dipinti per le sue composizioni poetiche.
L’opera assume un interesse storico e documentario assolutamente peculiare, nel rappresentare una protagonista indiscutibile della musica nel Seicento.
Leonora, figlia della celebre cantante napoletana Adriana Basile, a lungo al servizio dei Gonzaga, e da Munzio Baroni, gentiluomo calabrese appartenente alla famiglia di Luigi Carafa. Principe di Stigliano. Fin da giovane, Leonora con la madre e la sorella Caterina formò un ammiratissimo trio canoro musicale (essendo loro stesse strumentiste di arpa, di chitarra spagnola, di tiorba, oltre che cantanti), conosciuto in ogni corte italiana e a Parigi come “Le Adrianelle“.
Con il definitivo trasferimento a Roma, nel 1633, la musicista rafforzò i suoi legami con l’aristocrazia, in particolare con i Barberini e i Rospigliosi, divenendo una protagonista dell’ambiente culturale dell’Urbe e attuando una attenta autopromozione del proprio personaggio, che culminò nel 1639 con gli Applausi poetici da cui abbiamo estrapolato il sonetto qui sopra.
Notevole risonanza ebbe anche il legame sentimentale della cantante con il poeta inglese John Milton, tra il 1638 e il 1639 a Roma, che le dedicò addirittura carmi in lingua latina.
Il ritratto, eseguito dal pittore, perugino per nascita ma citato più a Roma che in Umbria, è particolarmente interessante per l’iconografia; originale ma anche tipica dell’epoca per il costante riferimento tra musica ed erotismo, che sottolinea come il virtuosismo musicale della donna, unito alla sua bellezza, superi anche i poteri di Cupido: il dio dell’amore subisce la rottura del suo arco, laddove l’archetto della musicista è integro e trionfa sul putto.
Il dipinto è collocabile nell’ambito della ritrattistica di tono aulico del primo Seicento, quasi si trattasse di un’immagine ufficiale, propria di una nobildonna piuttosto che di una musicista; basti pensare all’impostazione di solenni basi architettoniche, al sontuoso drappo barocco che inquadra la figura, all’eleganza nobiliare dell’abito, assolutamente originale per la corposa cromia azzurrognolo-grigiastra e per la particolare foggia campaniforme dello stesso, che rende la donna ritratta quasi incorporea, sospesa, levitante, a sottolineare l’aspetto divino dell’arte musicale.
 

Uso attuale della struttura

Il castello, di proprietà della Curia Arcivescovile di Perugia, è dal 1999 affidato alla Scuola Edile di Perugia (oggi CESF) che ne cura il restauro, la conservazione e la valorizzazione.
Quando il complesso fu riaperto dalla Scuola Edile, dopo anni dalla definitiva chiusura, le sue condizioni erano fatiscenti e di degrado; in questi anni al suo interno si sono svolti diversi percorsi formativi che hanno permesso di avviare il restauro e la conservazione dell’immobile.
Il complesso monumentale, proprio per i molteplici aspetti di cui si compone, è stato individuato come cantiere didattico e laboratorio per il restauro architettonico.
In questo “speciale” laboratorio gli allievi della Scuola, coordinati da docenti preparati nel settore del restauro architettonico e in un ambiente di perfetto connubio tra arte e storia, come è la Pieve del Vescovo, apprendono al meglio le conoscenze e le tecniche del restauro.
 

Contatti

Per informazioni CESF 075.5059490
 

Nota di ringraziamento

Ringrazio sentitamente la Dott.ssa Laura Galli per aver prodotto il testo, inoltre la ringrazio per avermi permesso la visita alla Pieve accompagnandomi con cortesia e con smisurata pazienza nei miei confronti; spero che il mio lavoro aggiuntivo non vada a sminuire la qualità da Lei prodotta.
 

Bibliografia di riferimento

Laura Galli – Una Pieve tra i monti itinerario storico artistico del Castello di Pieve del Vescovo – Ediz. Dilprom 2001
Mancini, Francesco Federico – Pieve del Vescovo: Una residenza fortificata nel territorio di Perugia – Ediz. Dilprom 2003
N. MERLAT “Lo studiolo 2004”, grafiche MEK Milano
 

Mappa

Link alle coordinate

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>