Castello di Poggio Alberico – Todi (PG)

Due bellissime torri si stagliano fiere sull’altura che domina un’ansa del Tevere con una meravigliosa vista sulla città madre Todi.

 

Cenni Storici

Secondo lo storico tudertino Franco Mancini il fortilizio di Poggio Alberico, un tempo definito anche Poggio Apricho, fu edificato da Alberico capostipite della famiglia Leoni confermato dall’Alvi nel suo Dizionario Topografico Tudertino dove dice: “Villa e forte, fabbricato dal capostipite degli Atti, Albrico, fratello di Campoleone, fondatore dell’altra Torre dei Campi.
In antico faceva ventidue fuochi.
Aveva una sua chiesa della parrocchia della villa su patronato di casa Leoni sotto l’invocazione di San Giorgio.
Nel 1602 fu unita alla chiesa parrocchiale di Cecanibbi sotto la cui tenuta esiste oggi la chiesa del Poggio: questo è ridotto a poche abitazioni di proprietà Leoni
“.
Quindi il castello fu innalzato da Albrico, capostipite della famiglia Leoni tra i secoli XII e XIII nelle vicinanze di Cecanibbi frazione alla quale fu unito nel 1601.
Sul finire del secolo XIII apparteneva al Plebato di San Bartolomeo de Tevellaria e contava 12 fuochi.
Dal Libro dell’accavallata del 1340, conservato nell’Archivio Storico del Comune di Todi, si legge che in villa Poggio Albrico, il proprietario Ugolino di Pietro, deve mantenere un cavallo per la guerra (pro uno equo).
Ciò avveniva perché a quel tempo ogni cittadino che fosse per età abile, era soldato, ovvero milite per il Comune; i più abbienti erano tenuti anche ad allevare un cavallo da guerra, provvedere alle sue finiture e cavalcatura ( in quel tempo Todi ne contava più di 3000).
Nel 1383-84 Bonaventura di Cristoforo Leoni, nominato giudice civile, si trasferì a Firenze al seguito del podestà Simone Manenteschi di Trevi; nel 1404 (da luglio a dicembre) Teveruccio Leoni assunse la carica i vicario pontificio in Orvieto.
Nel 1408 il castello subì ingenti danni dalle truppe di Ladislao d’Angiò, re di Napoli, che intendevano sottomettere tutti i territori della Chiesa, in quell’anno le soldatesche angioine si abbandonarono a saccheggi e crudeltà inaudite nel territorio tuderte, portandosi via anche, come ostaggi, gli uomini delle famiglie più illustri i quali ritornarono a casa soltanto dopo che fu versato un riscatto di migliaia di fiorini.
Le milizie del re angioino compirono nuove razzie nel 1414 nonostante Braccio Fortebracci, prima alleato del monarca, ora del papa, avesse dislocato nel territorio tuderte molte compagnie di soldati. Nel 1443 Giulio di Pandolfo Leoni era al seguito del podestà di Perugia Battista Fresoni di Terni; nel 1465 Isdraele di Giulio e Armilleo di Giovan Battista Leoni, di professione notai, erano al seguito del podestà Giovanni Antonio Leoncilli di Spoleto.
I Leoni sono stati sempre aggregati alla nobiltà di Todi, anche nell’800; Lorenzo (1824-87), archivista e bibliotecario del Comune di Todi, consigliere provinciale (1862-76), venne eletto deputato al parlamento in tre legislature (dal 1865 al 1867, dal 1867 al 1870 e dal 1874 al 1876) e scrisse alcuni volumi di storia locale.
Nel 1914 la signora Lilla Casei vendette la proprietà a Sebastiano Settimi i cui discendenti ne sono tuttora proprietari.
 

Aspetto esterno

Il castello è posto sulla strada bianca oltre Cecanibbi, dopo una ripida salita poggiato su un erboso cortile di una piccola altura.
Una scalinata ritagliata nell’antemurale, conservato pressoché intatto, porta a questo complesso architettonico di rara bellezza che conserva anche la chiesa castellare.
Al termine della scalinata sulla sinistra vi è una torre alta (20-25 metri) che poggia su una costruzione, che seppur soggetta a notevoli rimaneggiamenti è a quella contemporanea.
Questa torre, priva oggi di tetto, presenta nella sua parte terminale la classica forma di volta a botte.
Il lato sud presenta due ordini di tre finestre ciascuno e vari fori per le travature lignee.
Il versante est conserva ancora tracce del contrafforte.
Il lato ovest presenta tracce della balaustra che sorreggeva il tetto e fori per le travature lignee.
Il complesso, in sufficiente stato conservativo, si presenta con due bellissime torri che svettano sul nucleo abitativo sotto il quale si evidenziano ancora tracce dell’antica cinta murarla.
 
 
 

Chiesa di San Giorgio

L’attuale costruzione semplice e graziosa è dovuta ad un totale rifacimento avvenuto nel 1916 in cui si riedificò ex novo la chiesa ad opera di Sebastiano Settimi.
Internamente è stata decorata dal prof. Umberto Bartolini di Todi ed abbellita da un altarino gotico in terracotta della fabbrica Biscarini di Perugia.
Dal Dizionario Topografico Tudertino dell’Alvi si legge: “Nel foglio 33 degli Atti di santa Croce si legge che passò per mano di Ser Rosato Azzimanni ai Leoni.
Nel 1550 dipendeva ancora da Poggio Albrico
“.
I Leoni ne tenevano anche il patronato: questo era un privilegio del proprietario della chiesa che comportava il diritto di presentare al vescovo, o di nominare con il suo consenso, il sacerdote che desiderava diventasse parroco di quel luogo; inoltre prevedeva il diritto di essere sepolto nel sepolcreto di famiglia praticato nell’ipogeo della chiesa, di mettere il proprio stemma nella chiesa dove aveva un posto distinto dai comuni fedeli e precedeva gli altri laici nelle processioni.
Nel 1602 fu unita alla Cura di Cecanibbi.
Visitata nel 1749 dal vescovo tudertino Formaliari, fu trovata miseramente in rovina, comprese le icone del Crocifisso e di San Giorgio.
Dell’antica costruzione è rimasto un piccolo campanile a vela infisso nell’antemurale.
 

Visita Pastorale del Vescovo Camaiani

Ci sembra opportuno ed interessante riportare quasi integralmente il resoconto della visita Pastorale effettuata dal Vescovo Pietro Camaiani nel giorno 23 ottobre 1574 alla chiesa suddetta tralasciando le invocazioni fatte all’altare.
Nel resoconto si dice che la chiesa è una piccola costruzione dove il pavimento richiede un restauro urgente, perciò si ordina che con le rendite non siano costruite nuove tombe per le sepolture, come invece era stato ordinato nella visita ordinaria del nove agosto dello scorso anno.
Un altro ordine dell’abate parroco, che è don Giorgio di Ercole di Todi, garantisce ai parrocchiani di completare, prima della venuta della prossima solennità della Resurrezione del Signore, tutte le cose negative constatate in questa visita; prima di tutto promette di ingrandire l’altare di circa un palmo e di provvedere ai bisogni delle scarse immagini del Crocifisso e del San Giorgio posto sullo stesso palco.
La SS. Eucarestia deve essere conservata in un tabernacolo in cui deve essere posta anche l’argentea pisside; si deve provvedere ad un vasetto per l’Olio santo degli infermi che è da conservare in un’urnetta, secondo quanto disposto, e quella è da porre sempre chiusa, separata dalle altre cose anch’esse necessarie.
Affinché non manchino in chiesa i paramenti sacri, sia creato un armadio per la loro custodia, ma soprattutto prima della venuta della solenne Resurrezione del Signore o almeno prima della festività dell’Assunzione della sempre Vergine Maria, sia costruita una nuova tomba patronale e sia così anche per il manipolo, per i camici e per un nuovo piviale di color bianco.
Inoltre, prima della venuta della prossima Quaresima, siano fatte con le rendite derivate dai parrocchiani, altre cose tra cui le lapidi che sono da usare come coperchio, sotto la pena di dieci soldi da versare alla Camera dell’Episcopato Tudertino; in caso di non soluzione sia interdetto l’ingresso in chiesa ai viventi e la sepoltura ai defunti.
Né il parroco né alcun altro osi trasgredire questo, altrimenti sarà posto in carcere.
Anche se si volessero seppellire i corpi dei defunti in tombe, ciò deve essere fatto nel cimitero posto fuori la chiesa.
Questo deve essere chiuso da un muro o da una solida cancellata di legno, in cui sarà ricavata una porta d’ingresso che resterà chiusa tranne che nell’ora di orazione e di celebrazione della messa: la sera sarà chiusa insieme alla stessa chiesa.
In questa, lo ricordiamo è da riparare il tetto pieno di lesionature che non lo proteggono affatto dall’acqua.
Le cappelle presbiterali abbisognano di una completa riparazione.
Poiché il parroco attualmente non vive presso la chiesa, ma con la sorella e il cognato, nello stesso villaggio, potrà contare su questi per sua comodità trovandovi n pranzo e il pernotto, fino a quando non risiederà nella comoda e sufficiente stanza, posta accanto al presbiterio, che è da riparare e da accomodare sotto la pena…. come disposto dal Concilio apostolico agli statuti per i non residenti: ciò, affinché non dimostri di dipendere dalla sua legittima rendita, altrimenti sarebbe da punire.
(Il vescovo) convoca inoltre i massari delle ville, poiché sembra che questi trascurino i regolamenti circa le pratiche da effettuare e i costumi da tenere.
Vedendo inoltre, che le anime di questa parrocchia non erano più numerose di quelle della chiesa di Cecanibbi, Sant’Angelo, e che queste due erano molto vicine, decide di unirle.
Al popolo questo non deve dispiacere ma anzi, il vescovo considerando che i parrocchiani della villa di Cecanibbi, non avendo ancora una propria chiesa (visto che dovrà essere costruita insieme con l’oratorio e una cappella per la degna celebrazione della messa, com’è stato deciso in precedenza), ordina secondo quanto stabilito dal Sacro Concilio, che quelli vadano alla cura di San Giorgio o, per la sepoltura dei defunti, al semplice beneficio del vicino di San Bartolomeo.
Nella chiesa è chiaro che è rovinata la sacra fonte battesimale: questa, posta in questo luogo, è utile anche alle anime che abitano di là del fiume…, (il vescovo) concede quindi il permesso di erigerne una nuova e di svolgervi il sacramento del battesimo, così com’è stato deciso anche nella parrocchia di San Martino.
Il vescovo, per saggezza e per pietà delle chiese predette, elegge subito un ufficiale demandato all’esecuzione delle cose decise in questa ispezione, e con molta virtù si preoccupa della divina gloria e della salvezza delle anime, fornendole di un più consono e razionale regolamento.
 

Fonti documentative

Colligite Fragmenta Bollettino Storico della Diocesi di Orvieto -Todi; Commissione Arte Sacra e Beni Culturali II-2010
D. Amoni – Castelli Fortezze e Rocche dell’Umbria – Quattroemme 2010
F. Mancini – Todi e i suoi Castelli – 1960
 

Nota di ringraziamento

Si ringrazia la Diocesi di Orvieto – Todi per la disponibilità e per aver concesso l’autorizzazione alla pubblicazione delle foto degli interni della chiesa.
 

Mappa

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