Chiesa della Madonna dell’olivo – Assisi (PG)

La chiesa è in un uliveto in prossimità della strada provinciale, ma conosciuta da pochissime persone.

 

La processione dei Bianchi

Il moto religioso dei Bianchi del 1399 è stato l’ultimo grande fenomeno di devozione Popolare medievale svoltosi in Italia.
Nel 1399 in Italia (come in Europa) vi è una situazione di profonda crisi dovuta ad una situazione di perenne lotta per la supremazia: politica, economica, religiosa, sociale.
Ovunque vi sono conflitti: tra i principali stati, fra le città rivali fra le fazioni avverse all’interno della stessa città, e spesso anche nell’ambito di una medesima famiglia.
Tale quadro di grave incertezza, sia politica, che sociale, che religiosa (persino l’Occidente cristiano è spaccato tra due diverse obbedienze papali), è aggravata dal primo manifestarsi di un’epidemia di peste che viene interpretata come una punizione divina per i Peccati degli uomini e che getta buona parte della popolazione in uno stato di profonda sofferenza e di angoscia.
È in questo drammatico contesto che improvvisamente nasce un movimento devozionale popolare spontaneo, il moto dei Bianchi, aperto a tutti senza alcuni distinzione di sesso, età, ruolo e condizione sociale.
Ignoti sono i promotori iniziali del movimento e il luogo di nascita dello stesso: secondo la tradizione all’origine vi sarebbe stata una precisa esortazione da parte della Vergine, manifestatasi insieme al Figlio Gesù ad un contadino in una remota località d’Europa non bene identificabile (Scozia, Spagna, Provenza, Delfinato, ecc.).
La devozione si palesa pressoché improvvisamente in Liguria nei luglio 1399, già definita in tutte le sue peculiarità, e nel giro di pochi mesi, durante l’estate e l’autunno del 1399, si diffonde per tutta l’Italia centro-settentrionale.
Tale fenomeno assume le caratteristiche di un vero e proprio moto pacifista popolare di ispirazione cristiana che al caratteristico grido di “Pace e misericordia” percorre processionalmente gran parte del Centro e Nord Italia: gli aderenti, vestiti di bianco, si spostano di città in città e di paese in paese al seguito di crocefissi pregando e cantando laude spesso di propria composizione.
Il fervore dei devoti ed il successo dell’iniziativa è tale che, laddove i Bianchi riescono a portare il loro messaggio, essi riescono anche ad ottenere risultati concreti sul piano sociale: cessazione di conflitti locali, riconciliazioni fra fazioni avverse, liberazione di prigionieri, remissione di debiti, sospensione di condanne e di pene.
I Bianchi per primi, aderendo ai dettami della loro devozione, mettono, in pratica la misericordia verso i loro simili e riescono ad ottenere, soprattutto laddove non c’è speranza di giustizia, almeno la misericordia umana.
Allo stesso tempo, invocano su di sé la misericordia divina.
Il successo deflagrante dell’iniziativa che ottiene immediata e grande risonanza sia in Italia che in Europa, induce Papa Bonifacio IX ad indire un giubileo straordinario alla fine del 1339.
Si tratta, verosimilmente, del primo ed unico Giubileo “indetto dal basso” quasi a furor di popolo.
A quel punto il moto, che dapprima si propagava per staffetta in ogni direzione senza una meta precisa, diviene un vero e proprio pellegrinaggio giubilare in direzione di Roma.
 

Testimonianze del passaggio dei Bianchi in Umbria e Sabina

Ad ASSISI i Bianchi giungono ai primi di settembre del provenienti da Perugia.
Circa un mese dopo nella città serafica avviene un miracolo, noto come “Apparizione della Madonna dell’Oliva“: la Vergine appare ad un bambino ed esorta gli abitanti di Assisi a ripetere la devozione.
Nel luogo dell’apparizione viene edificata una piccola chiesa, la “Madonna dell’Oliva“, contenente un affresco con la raffigurazione del prodigioso evento.
Un altro affresco con il medesimo soggetto viene realizzato nella locale chiesa di S. Giuseppe.
Dalla città proviene inoltre un laudario dei Bianchi, appartenuto ad una famiglia locale, attualmente conservato presso la Biblioteca Casanatense di Roma ( visibile nella galleria fotografica).
Da Assisi la devozione raggiunse SPELLO (PG), ove, secondo una tradizione riportata nelle locali cronache degli Olorini, i Bianchi lasciano nella locale chiesa di Sant’Andrea un bellissimo crocefisso di tipo giottesco, portato in processione da Firenze.
I Bianchi giungono a SPOLETO (PG) a metà settembre: il loro passaggio in città, ricordato dalla locale cronaca dello Zampolini e dalle Rifoirnanze comunali, avrebbe comportato l’edificazione di una chiesetta in Piazza del Duomo intitolata alla Madonna della Misericordia, nel cui sito venne in seguito edificata la chiesa di S. Maria della Manna d’oro.
Potrebbe essere riferito alla devozione dei Bianchi un gonfalone raffigurante la Madonna della Misericordia ora nella pinacoteca Comunale.
Nella vicina Via del Trivio venne anche realizzato un affresco (perduto) raffigurante una Processione dei Bianchi.
Nel territorio spoletino, un’importantissima testimonianza iconografica del moto dei Bianchi si trova nella chiesa francescana di S. Maria a VALLO DI NERA: qui è raffigurata in affresco una monumentale Processione dei Bianchi realizzata a seguito di un evento pubblico che vide la, riconciliazione tra personaggi di avverse fazioni cittadine.
L’affresco, realizzato da Cola di Pietro da Camerino nel 1401, è una raffigurazione puntuale, preziosa e dettagliata delle specifiche attività devozionali messe in pratica dai Bianchi, compresa la recitazione di laude.
La presenza del moto a TERNI è testimoniata dallo splendido ciclo di affreschi raffiguranti “Storie dei Bianchi” effigiato nella chiesa di Santa Maria del Monumento: qui è narrata, in quattro riquadri, la leggenda di fondazione del moto, il “Miracolo di Scozia“, nonché il miracolo di Assisi dell’ Apparizione della “Madonna dell’Oliva“, raffigurato in un riquadro di maggiori dimensioni, comprendente anche una scena di riappacificazione e una processione.
Ad ORVIETO (TR) il moto dei Bianchi, ampiamente descritto nelle locali cronache redatte da Luca Manenti e Francesco di Montemarte, ha lasciato una testimonianza iconografica in un, pregevole frammento di affresco raffigurante l'”Apparizione della Madonna dell’Oliva” proveniente dalla locale chiesa di S. Maria dei Servi, da qui distaccato ed ora conservato nel Museo dell’ Opera del Duomo.
A RIETI, la devozione è attestata nella chiesa di S. Eusanio, dove è presente una raffigurazione ad affresco del “Miracolo di Scozia“, effigiata in un riquadro articolato in due scene.
A LEONESSA (RI), nei locali annessi alla chiesa di S. Francesco, appartenuti alla Confraternita della Croce Santa, è una raffigurazione ad affresco dell’Apparizione della “Madonna dell’Oliva“: notevole è qui la citazione letterale di un brano di una lauda scritta in occasione dell’evento; un altro affresco frammentario raffigurante il medesimo soggetto si trova all’interno della stessa chiesa di S. Francesco.
A MONTEBUONO (RI), all’interno della chiesa di S. Pietro ad muricentum, è un affresco con la rappresentazione dell’ “Apparizione della Madonna dell’Oliva“.
A POGGIO MERTETO (RI), nella chiesa di S. Paolo, è presente un ciclo di “Storie dei Bianchi” comprendente il miracolo di Scozia, effigiato in due riquadri, e l'”Apparizione della Madonna dell’Oliva” rappresentato in un terzo.
Tali testimonianze iconografiche e documentarie, diffuse in maniera estremamente capillare, attestano inequivocabilmente il notevole successo riscosso dal moto nei territori dell’Umbria e della Sabina.
 

La chiesa della Madonna dell’olivo

Sul luogo del miracolo, in un oliveto fuori della Porta Nuova, scendendo a destra della strada che conduce a Foligno, sorse una piccola chiesa che prese il nome di «Madonna dell’Oliva».
Oliva sta qui evidentemente a significare l’albero.
E’ da pensare che la chiesa venisse costruita subito dopo l’avvenimento, mentre durava l’impressione suscitata dal prodigio.
L’affresco che tuttora si scorge sull’altare, più volte, ed anche di recente, rimaneggiato grossolanamente, risale probabilmente, nella sua prima stesura, al sec. XV.
Vi appare l’albero dell’olivo; la Madonna che parla al bambino; il padre che avanza minaccioso, tendendo un falcetto dal lungo manico, di quelli che servono a tagliare le siepi. Grandissima doveva essere la devozione verso questo luogo, se nella Guida di Assisi del Salvi del 1618, la prima che si conosca, ne consiglia la visita ai pellegrini che vengono a visitare la città serafica: « Usciamo per la Porta nuova e, salutata la Croce, camminiamo un poco, scendiamo a destra. Eccoci arrivati alla Madonna dell’Oliva, Chiesetta molto devota per una Immagine della B. Vergine, che ha fatto alcune grazie, e vi è una Compagnia d’alcuni Giovani, che vi celebrano la Festa il giorno della Visitazione ».
Anche il canonico Pompeo Bini, pubblicando nel 1721 la sua opera « Verità scoperta ne’ tre Santuari della Città di Assisi », vi allegò una pianta della città e dintorni, nella quale ricorda la chiesa e la indica con una minuscola raffigurazione.
Su per giù di questa stessa epoca è una stampa che si conserva nell’Archivio di San Rufino, in cui ritornano la Vergine, il bambino, il padre armato del falcetto, l’albero d’olivo, con la dicitura : «Miracolosa Immagine di Maria Santissima dell’Uliva».
 

Il Miracolo come descritto nella Lauda

Con quella facilità con cui gli uomini si volsero al bene, durante il passaggio dei Bianchi, così a poco “tornarono a ripigliare gli antichi costumi”.
Anche in Assisi i cittadini ritornarono ai loro odi, alle loro vendette.
Ricominciarono le uccisioni, il malcostume imperversò più forte, la peste dilagò con maggiore furore, con il sopraggiungere dell’estate.
Fu a questo punto che avvenne il miracolo « della Madonna dell’Oliva ».
Questo miracolo è narrato, in tutti i suoi particolari, nella lauda 29 del Codice Assisano composta da uno dei Bianchi presente ad Assisi in quei giorni.
Probabilmente ne è autore lo stesso confratello dei Bianchi che narrò il miracolo della chiesa di Santa Chiara.
Era il due luglio, festa della Visitazione.
Un contadino stava in un suo oliveto, posto vicino alla città, intento a tagliare la siepe e aveva con sé il figlio, bambino di pochi anni, quando a quest’ultimo apparve la Vergine.
Il figlio sbigottito fuggi, impaurito e piangente, verso il padre.
Ed ecco il racconto della lauda, che è una vera e propria cronaca in versi.
Il padre domanda al figlio perché fugga e pianga così; e il bambino indica la donna vestita di bianco, che gli fa cenno di andare ad essa.
Il padre non vede nulla; si irrita per lo spavento del figlio, lo ritiene uscito di mente, ma l’altro insiste. La donna è là, presso quell’albero di olivo, e gli indica ancora di avvicinarsi.
Camminano insieme, verso il punto indicato.
Ma la Vergine accenna che soltanto il figlio vada ad essa.
Il padre, esortato dal figlio e rassicurato, ritorna indietro.
Comincia il dialogo tra la Vergine e il bambino.
Dopo averlo benedetto, la Madre di Dio gli dice che quei nove giorni di penitenza dei biancovestiti non hanno placato Gesù, tanta è la piena dei loro peccati.
Ritornino quindi ad indossare le vesti bianche, chiedendo ancora misericordia, andando attorno per altri sei giorni a mettere pace, restituire le cose rubate, perdonare le offese.
Chi questo non farà, si perderà per sempre.
Tutto ciò il bambino dovrà riferire nella città, senza esitazione e paura, affinché Dio revochi la terribile sentenza.
Il bambino promette che si metterà subito all’opera, riferirà a tutti, potenti ed umili.
La Vergine scompare, il figlio ritorna presso il padre.
Il padre gli domanda con chi ha parlato, egli non è riuscito a vedere alcuno.
Il bambino risponde che non ha potuto vedere perché non è puro, quella che gli ha parlato è la Madre di Dio, che gli ha dato un messaggio per il mondo stretto dalle tribolazioni.
E’ la Vergine senza macchia, candida nell’anima e nella veste, ornata dì bianche ostie, simbolo della purità e della immolazione.
Egli ripeterà a tutti come Gesù sia sdegnato contro i peccatori.
Ognuno dovrà purificarsi e «rimbiancarsi», ritrovando il segreto della propria redenzione.
Per sei giorni dunque si riprenda la penitenza dei Bianchi, per amore di Cristo, dopo di questo ella potrà tornare ad impetrare il perdono di Gesù.
L’ignoto rapsode popolare conclude il suo canto, esortando i peccatori a ritornare a Gesù.
Egli desidera che tutti sappiano di questa portentosa apparizione, per cui, proprio in Assisi, fu fatta palese la suprema volontà del Signore.
Ognuno si umili quindi nel suo nome.
La fama di questo miracolo corse fuori di Assisi.
Nella città l’avvenimento destò grande ammirazione e devozione, come è dimostrato da un affresco del tempo, che si vede nella vecchia chiesa di San Giuseppe del monastero di Sant’Apollinare.
 

Lauda 29 del Codice Assisano

Apparve la Vergen gloriosa
de Jhesu Christo e vera sposa
ad un fantin senza pecchato.
Quando el fantin vidde Maria,

lagremando sbauctia,
verso el padre sen fogìa,
che la sepe avia talgliato.

Vedendo el patre el suo figliolo
che piangnia con gran dolo,
luy si prese e demandolo
perché fugge, chi t’à cacciato.

Respuse el figliolo: « Vide quella,
vestita de biancho, tanto bella,
che reluce più che stella,
che più volte m’a chiamato.

Disse el patre: « Ay tu paura.
ch’ay cangniata tua figura?
ch’io non vegio criatura:
veramente tu se’ impazzato»

El figliolo disse: « Ad quell’oliva,
vidila che biancha e viva;
et colla man che a llie arriva
spesso spesso m’a accennato ».

Allora el patre: « Non dubitare,
io te verrò ad conpangniare
vanne tosto a lie a parlare,
et odorai el suo dictato».

Verso l’oliva ove stava,
chiasscheun de loro se n’andava.
Allora Maria accennava
che non vada aconpangniato.

Essendo el fantin molto lieto,
disse al patre «Facte arreto:
dalla sua parte io tel veto
che te trai un pocho da lato ».

Subito el patre volontieri,
non vedendo tal misteri,
tràsese en parte con sospire,
e fosse un pocho delongato.

Maria disse: «Filgliolo mio,
benedetto sì da l’alto Edio! »,
e dalla croce el benedio.
En cotal modo gli à parlato:

« Vanne, figlio, et non tardare,
nella ciptà ad nunptiare
che tutte debbian repilgliare
el vestire biancho ch’òn lassato.

Et per quiste nove dine,
che facto ànno dessciopine,
tanto eran de peccati pine,
el mio figliolo non è placato.

Et però sey altre giurne
ad vistir biancho ciasschun turnj,
gridando senpre como corni:
– Misericordia, Edio beato! –

Et dentorno ai convecine
vadan le sere e le matine,
mectendo pace fra’ tapine,
che lor core ànno endurato.

« Chi à parlato, figliolo, teco? »
disse el patre, « dillo mecho,
forsa so’ venuto cecho,
ch’io non vide chi si’ stato ».
Respuse el fantin ch’era puro,
al patre, chiaro e sciguro:
« Patre mio, non te sia duro,
se ciò veder non t’è lassato.

Quella è la Vergene biata,
matre de Christo, nostra advochata,
che m’à posto una inbassiata,
ch’io faccia al mondo tribulato.

Et quella Vergene benedecta
biancha era, pura e necta,
nel vestire non maculeta,
et de bianche ostie era ornata.

Et si me disse veramente,
ch’io decesse ad honne gente
che ancho el suo figliolo piagente
verso el mondo era turbato.

Et però ciascheun, da novo,
se renbianche come l’ovo,
per sey dì, e questo trovo
per suo amore sia portato.

Et, facto questo, credo fare
questa sententia revocare,
che data è per lo mal fare
dal suo figliolo dilectoso ».

Et però, tucti peccaturj,
retornatj, de bun core,
ad Jhesu nostro criatorj;
Chiascheun sia deliberato.

Et a chiascheun sia palese
che aparve nel contà d’Asese
Christo, che in croce se stese.
Ne faccia el core humiliato!
Amen.
Deo gratias

 

Fonti documentative

Arnaldo Fortini – Atti dell’Accademia Properziana del Subasio – Serie V° N 3 Pasqua 1956
 

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