Chiesa di San Sebastiano – Panicale (PG)

La chiesa è un contenitore di due straordinarie opera d’arte, una del Perugino e una di Raffaello ed è visitabile con una visita guidata contattando l’ufficio turistico di Panicale.

 

Cenni storici

La chiesa di San Sebastiano è posta a circa 250 metri dalle mura di Panicale, in fondo al Borgo Regio che esce dalla Porta Perugina e si allunga sulla cresta orientale del monte Petralvella.
È un edificio in laterizio dalle dimensioni modeste, con una facciata quadrata rivestita d’intonaco che lo confonde alla facciata ad ali dell’Istituto Educativo Opere Pie San Sebastiano.
La chiesa primitiva fu costruita sullo scorcio del XV secolo dalla comunità del castello di Panicale: sull’architrave del portale si legge la frase:
ECC(lesi)A S(anc)TI SEBAST(ian)I C(ast)RI PANICALIS“.
Accanto c’era un ospedale per la cura degli appestati.
Questa norma profilattica trovò una generale adozione nella seconda metà del Quattrocento, quando il fenomeno della peste raggiunse in Europa una diffusione endemica.
Per limitare il contagio, le popolazioni si difesero costruendo una rete di ospedali a debita distanza dai centri abitati, destinati a isolare i soggetti a rischio o alla cura dei malati.
In origine la chiesa era preceduta da un portico, forse parte del chiostro che delimitava il cimitero, di cui restano due arcate lasciate libere dall’intonaco.
L’interno era coperto da un tetto a due spioventi, con capriate lignee in vista, ed era decorato sulla parete di fondo da un grande affresco raffigurante la storia del Martirio di San Sebastiano (1505).
Nei primi anni del XVII secolo quel che restava del lazzaretto fu concesso all’ordine dei Gesuiti, che vi costruirono una colonia estiva.
Con la soppressione della Compagnia del Gesù, nel 1790 l’intero complesso fu acquistato dal collegio delle Vergini di Maria presso la chiesa di Santa Lucia, un’opera pia rivolta all’istruzione delle fanciulle.
 

Interno

L’interno dell’edificio rispecchia i diversi passaggi di proprietà.
Si entra in una sorta di atrio, sopra il quale è stata ricavata una cantoria, e si accede ad una sala coperta da volte a crociera sorrette da pilastri.
Le pareti sono integralmente dipinte di bianco, salvo la parete di fondo che conserva il celebre affresco di Pietro Perugino.
Sopra un altare laterale è una tela con la Madonna delle Grazie, attribuita ad Antonio Pomarancio (Città della Pieve 1568 c.-Roma 1629)mentre nella parete sinistra una pala della Madonna in gloria tra sant’Agostino e Maria maddalena attibuita in principio al Perugino, poi allo Spagna suo allieve e recentemente a Raffaello Sanzio.
 

Martirio di San Sebastiano

La chiesa di San Sebastiano conserva al suo interno il famoso affresco del Martirio di San Sebastiano dipinto da Pietro Perugino (Città della Pieve 1450 c.a.- Fontignano 1523), il maggiore pittore umbro del Rinascimento.
Sebastiano fu un soldato romano vissuto al tempo dell’imperatore Diocleziano (284-305), che si convertì al cristianesimo e fu condotto al martirio.
Ma sopravvisse alle frecce che gli furono scagliate contro dai suoi commilitoni, fu curato da una vedova di nome Irene e, nuovamente catturato, fu condannato a morte mediante flagellazione.
Mentre infuriava la Peste Nera nel 1348, Sebastiano fu i invocato come “depulsor pestilentiae” in seguito ad un episodio miracoloso avvenuto ad Avignone.
La fama di santo profilattico fu accresciuta dal valore simbolico assegnato alle frecce in età medioevale: tre frecce in mano a Cristo significavano i flagelli di peste, fame e guerra.
A Panicale il supplizio del santo è ambientato nella scenografia di una piazza monumentale, chiusa sul fondo da un grandioso porticato che si affaccia su un luminoso paesaggio.
Sebastiano vi compare in posizione dominante sopra un alto plinto, legato ad una colonna come nell’episodio evangelico del Cristo flagellato nella reggia di Pilato.
Il martire non sembra provare alcun dolore, indifferente alla giostra di arcieri disposti ai suoi piedi secondo i movimenti di una danza, due che scagliano frecce, due che caricano le armi; mentre dall’alto del cielo l’Eterno si affaccia benedire il martire, assicurandogli la salute.
Il Perugino firmò l’opera sul plinto centrale, si legge ancora a fatica il suo nome: “P(etrus) DE CASTRO“.
Negli anni immediatamente precedenti la commissione del dipinto, nel 1503 Panicale era stata messa a sacco dalle truppe del duca di Valentino, figlio di Alessandro VI Borgia.
L’anno seguente la peste seguì la guerra.
Nel 1505 Pietro dipinse l’affresco di Panicale, data che si legge in lettere a pilastri del portico.
Due anni più tardi Perugino otterrà il saldo finale di 11 fiorini, che gli saranno versati il 1 settembre 1507 per il “S. Sebastiani depicte dicte comunitati Castri Panicalis et hominibus ipsius“.
 

Il Perugino

In questo affresco troviamo il Perugino intento a rielaborare quei problemi spaziali che lo avevano occupato fin dalla sua giovinezza.
Rispetto all’”Adorazione dei Magi” (1504) di Città della Pieve, più affollata e narrativa, il “Martirio” è concepito come una rappresentazione astratta, formata da figure geometriche: piramide, rettangolo, cerchio.
La piramide centrale è costituita da quattro arcieri di apollinea eleganza, come danzanti intorno al corpo del santo che placidamente riceve le frecce.
Tra la scena e l’orizzonte si frappone un portico di sapore classico, formato da un arco trionfale ripetuto.
Tutto ci parla del sogno dell’”antico” in una dimensione ambigua e misteriosa.
Quale distanza tra questa rappresentazione e le intenzioni della comunità di Panicale che voleva rendere omaggio a San Sebastiano per esorcizzare la terribile epidemia di peste!
Quale vicinanza invece tra lo sfondo, con la piana brumosa del lago e l’analogo panorama che si gode da quella splendida terrazza sul Trasimeno che è Panicale!
Solo la raffigurazione in alto di Dio Padre, circondato da angeli e cherubini, ci rimanda ai devoti propositi della committenza.
Il Perugino, proprio nel momento in cui nei primi del sec. XVI veniva superato dalle novità rivoluzionarie di Leonardo e Michelangelo che lo costringevano ad abbandonare Firenze per l’Umbria, riconferma quasi polemicamente il suo linguaggio, ricollegandosi a quegli schemi compositivi che lo avevano reso famoso in tutt’Italia nell’ultimo ventennio del sec. XV: basti pensare al pavimento prospettico in primo piano che ricorda quello della celeberrima “Consegna delle chiavi a San Pietro” della Cappella Sistina.
Il paesaggio brumoso poi e il colle con i picchi rocciosi sulla destra sembrano un nostalgico omaggio a Leonardo da Vinci, suo vecchio compagno nella bottega del Verrocchio a Firenze.
Nella parte superiore dell’affresco, dov’è raffigurato Dio Padre circondato da angeli e cherubini, è da notare la probabile presenza dell’allievo Giovanni Spagna.
L’affresco è stato restaurato nel 1985 da Bruno Zanardi.
 

Raffaello

MADONNA IN GLORIA TRA SANT’AGOSTINO E MARIA MADDALENA
Il dipinto proviene dalla chiesa di Sant’Agostino di Panicale, al cui interno decorava l’altare della Madonna del Soccorso, presso il quale si riuniva una confraternita di donne.
Antiche descrizioni rammentano l’altare in fondo alla navata, accanto alla porta principale sulla quale si legge la data 1502.
Nel 1796, a causa della forte umidità dell’ambiente, si decise di staccare l’affresco dal muro e di spostarlo sulla parere nord della chiesa.
Più volte restaurato, fu infine depositato nella chiesa di San Sebastiano.
Una tradizione plurisecolare, che risale al 1626, ha collegato la Madonna di Sant’Agostino al nome di Pietro Perugino, nel cui catalogo ha continuato a figurare fino al 1984, quando vi si è voluto riconoscere un aiuto di Pietro identificato in Giovanni di Pietro detto lo Spagna (Gualdi 1984, Scarpellini 1984).
Recentemente (Lunghi 2005) è stata proposta un’attribuzione a Raffaello Sanzio (Urbino 1483 – Roma 1520), sulla base di una nuova cronologia che ne colloca l’esecuzione tra il 1502 e il 1506 e grazie al confronto con dipinti risalenti al primo lustro del Cinquecento: la pala Cavati della National Gallery di Londra (1503) e la pala Colonna del Metropolitan Museum di New York (1504 ca.).
Decisivo è il confronto con un disegno già assegnato a Raffaello conservato presso il Fogg Art Museum di Cambridge, che contiene uno studio per l’angelo che suona la lira sulla sinistra.
Antiche descrizioni identificano il soggetto per una Vergine Assunta in cielo, che richiede la presenza degli angeli musicanti: il primo che suona una lira da braccio, il secondo una bombarda, il terzo una ribeca, il quarto un liuto.
Inimitabile è l’abilità di Raffaello nell’attingere al repertorio di Perugino e di Pintoricchio, restituendo un insieme caratterizzato, secondo il suo stile, “da tanta grazia, studio, bellezza, modestia ed ottimi costumi”. (Vasari 1568).
E’ verosimile che a far da tramite tra Raffaello e Panicale sia stata Atalanta Baglioni, la committente della celebre Deposizione Baglioni nella Galleria Borghese a Roma, alla quale appartenne il castello di Montalera.
L’opera è stata restaurata da Lanciotto Fumi nel 1965.
 

Fonti documentative

Cartellonistica in loco
Sabrina Caciotto ed Elvio Lunghi – Panicale in Umbria: il castello e il suo territorio – 2009 versione bilingue.
 

Mappa

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