Abbazia di Santa Maria in Monte – Doglio di Montecastello di Vibio (PG)

La chiesa era officiata fino a qualche decennio fa ora è invasa dai rovi.

 

Cenni storici

L’importanza della Pieve di Santa Maria a Monte è dimostrata dal fatto che quando nella seconda metà del XIII secolo il comune di Todi, in seguito all’attacco subito da Perugia aveva subito danni ingenti ai suoi castelli di confine fra cui Titignano Quadro e Doglio, decise di ripartire il territorio comunale in 19 circoscrizioni, ossia in diciannove unità amministrative, che prendevano il nome di plebati, vale a dire che prendevano come riferimento le chiese che avevano in dotazione il Fonte Battesimale.
Uno dei plebati più popolati e posto proprio sul confine a nord ovest del comune era quello di Santa Maria in Monte, il cui nome derivava dall’antica chiesa, probabilmente di origine camaldolese; lo storico Giovanni Battista Alvi vuole fondata proprio dalla famiglia Montemarte particolarmente vicina a questo ordine.
Pare che il conte Farolfo di Montemarte, attraverso una donazione fatta nel settembre 1005, abbia messo a disposizione dello stesso San Romualdo circa 500 ettari di terreno che gettarono le basi al primo insediamento Camaldolese presso la “Pasquarella” nelle gole del Forello.
Nei secoli XII e XIII i Camaldolesi avevano vicino a Todi tre abbazie: S. Bartolomeo e la “Pasquarella” Santa Maria in Monte e Santa Maria in Silva.
Tale plebato aveva in carico diversi centri fra cui diversi castelli (castrum) fra questi Doglio che risultava nel 1290, come scritto nel “Registro dei fuochi“, il centro più popoloso con 62 famiglie; considerando una media di 5 persone a famiglia abbiamo circa 310 abitanti.
Il compito di queste strutture territoriali era quello di difendere i confini, come scritto nello statuto del comune di Todi del 1337 dove sono elencati i così detti “passi da difendere“, per cui il plebato di Santa Maria a Monte, insieme alla Villa del monte dei figli di Lando, la Villa del
Carvile e la villa di Collesecco aveva l’obbligo di difendere “ad passum castri Dolii“.
La zona circostante era attraversata da un capillare reticolo viario: la via del Colle seguiva il crinale delle colline dell’Apparita e Rocialesco, un’altra portava al Quadro un’altra ancora ad Orvieto, un’altra a Santa Maria in Monte, di fatto lo snodo principale era verso Orvieto ma, anche per Viterbo, considerando i passaggi degli animali transumanti diretti verso la campagna romana.
Il comune di Todi attribuiva una significativa rilevanza strategica a questo lembo di territorio.
Dal punto di vista militare nel volume della “Accavallata” redatto nel 1347, ossia l’elenco delle persone che dovevano offrire un determinato numero di cavalli per armare la cavalleria comunale, leggiamo che l’unico soggetto chiamato a questo compito nel plebato di Santa Maria in Monte proveniva dal castello del Doglio ed erano gli eredi di Macteolus Luminuccie con un cavallo.
La nascita delle Abbazie di Santa Maria in Monte e di Santa Maria in Silva non sono documentate negli annali Camaldolesi, che comunque avvennero prima del XIII secolo, probabilmente prima del 1150 ed entrambi potevano contare su un patrimonio terriero di circa 500 ettari ciascuna.
La chiesa compare nel manoscritto intitolato “Elenco delle chiese, benefici, ospedali, monasteri e luoghi ecclesiastici della città e diocesi di Todi dal 1399 al 1467“compilato da Pietro Bolognini alla fine del XVIII secolo, da cui risulta la potenza e la ricchezza della stessa, infatti compare composta da un Priore e 4 canonici e pagava una decima alla Camera apostolica di 160 libre.
Nello stesso plebato vengono registrate altre chiese che pagano la decima fra cui la chiesa di San Salvatore del castello di Doglio (unita a Santa Maria a Monte) con 25 libre, la chiesa dei Santi Quattro coronati e San Biagio, la chiesa di Sant’Angelo e Giovenale di Roscialesco che pagavano 10 libre e la chiesa di Sant’Angelo di Colleginestreto che pagava anch’essa 10 libre.
La chiesa di Santa Maria in Monte o ai Monti era sicuramente la più importante del territorio ed è documentata già dal 1275 spesso definita abbazia forse a ricordo dell’antico insediamento benedettino camaldolese.
Il termine abbazia è comunque improprio, potremo parlare di altre forme minori di strutture comunitarie come probabilmente un priorato.
Non a caso la chiesa nel XIII secolo, come detto, era retta da un priore e quattro canonici, proprio a ricordare la più antica matrice benedettina.
Nel registro delle chiese compilato nel 1467, conservato nell’archivio diocesano, e da un altro
registro del 1399 risulta che sotto il plebato di Santa Maria in Monte, si trovava descritta anche la chiesa curata del Doglio con il titolo di San Salvatore, e questa unione si accertava nel protocollo del notaio “ser Ludovico di Giovanni Tudinelli di Todi” dell’anno 1394.
Dal 1430 al 1455 si trova priore don Girolamo di Francesco Fini, nel 1574 rettore era don Leonardo Fini, e nel 1494 il rettore era Giulio Cesare Fini chierico di Todi che all’età di 12 anni ottenne il beneficio da papa Alessandro VI.
Dalla documentazione arrivata fino ai nostri giorni risulta che Santa Maria aveva una funzione di pieve, come altresì ribadito dall’Alvi e sappiamo che vi era ancora conservato il fonte battesimale; sempre Alvi scrive che è antica la tradizione che questa chiesa fosse unita alla parrocchiale del Doglio “ma senza effetto“.
I camaldolesi abbandonarono questo monastero intorno al 1500 e iniziò il periodo degli abati commendatari.
In uno di questi passaggi l’abbazia fu data in commenda a Galeazzo Gabrielli di Fano; a sua volta Galeazzo nel 1523 nominò Paolo Giustiniani procuratore per la gestione delle sue proprietà e nel 1524 entrò nel monastero camaldolese di Montecorona divenendo monaco con il nome di Pietro.
L’ingente proprietà agricola annessa alla chiesa fu sempre data in beneficio ad eminenti personalità ecclesiastiche legate alla curia romana e nello specifico alla Dataria Apostolica le quali poi affittavano i terreni per trarne il giusto guadagno.
Tra gli ultimi beneficiati abbiamo il cardinale Sacripanti, il canonico Antonio Vannini e il canonico Paolo Petrignani.
Nella visita pastorale del 2/5/1566 e dalla visita apostolica di Pietro Camajani del 17/11/1574, entrambi i visitatori definiscono il beneficio di S. Maria in Monte dipendente dall’abbazia di S. Salvatore di Monte Corona retta da Pasquale Fragusso.
Nella visita pastorale, condotta dal vescovo Angelo Cesi nel 1573, si ordina che nella chiesa rurale di Santa Maria in Monte, fosse eseguito un quadro con le pitture dei titolari dell’altare e che venisse rimessa la campana di 300 libre nel campanile pena il sequestro.
Da ultimo riscontra come fossero ancora riconoscibili i vestigi del fonte battesimale.
La chiesa dell’abbazia nei verbali della visita pastorale del 1592 viene qualificata come “plebania“; la stessa viene anche dichiarata priva dei requisiti minimi per l’uso di chiesa, ed il Vescovo ne impone il restauro.
La chiesa di S. Maria in Monte era compresa nel territorio assegnato alla nuova Compagnia degli Eremiti di Monte Corona, ed il restauro avrebbe dovuto essere effettuato da questi.
Nella visita del 160 l si ravvisa la necessità di accomodare il tetto e provvedere alle serrature.
Nella descrizione dello stato della parrocchia del 18 settembre 1749 effettuata dal parroco Don Domenico Ferretti si descrive che la chiesa di Santa Maria in Monte è beneficio del cardinale Carlo Maria Sacripante, posta ai confini della parrocchia, e con un solo altare.
Il 3 marzo del 1750, al sacerdote Pietro Silvani, agente dell’Eminentissimo cardinale Carlo Maria Sacripante, abate commendatario dell’abbazia di Santa Maria in Monte, veniva accordata la richiesta “di tagliare tre cerri e quattordici cerque per farci legna da fuoco e venderle per fare una capanna per rimessa di buoi e porci e piante di vite“.
In una visita fatta nel 1846, e la chiesa di Santa Maria in Monte fu trovata in buono stato.
Un panorama della proprietà ecclesiastica distribuita nel territorio si ricava dal catasto del 1740; l’unità di misura è espressa in quartengate, una quartengata equivale a circa 3000 metri quadrati.
Le proprietà erano state sottoposte ad una sorta di distribuzione dei terreni fra gli enti religiosi che operavano m Todi; la Mensa Vescovile di Todi possedeva 166 quartengate, la parrocchia di San Salvatore del Doglio 102, l’Abazia di Santa Maria in Monte 368, Sant’Angelo di Ginestreto 51, il monastero di San Francesco di Todi 356.
Probabilmènte quando la diocesi o il Vescovo aveva bisogno di finanziamenti o quando gli enti religiosi potevano investire liquidità, avveniva una sorta di distribuzione dei terreni appartenuti ai camaldolesi, il che determinò un rilevante frazionamento.
Il 28 settembre del 1779, l’abate Antonio Vannini, canonico di Sant’Anastasia a Roma e chierico segreto di Sua Santità, titolare del Beneficio o Abbazia di Santa Maria in Monte affitta in enfiteusi, ossia a terza generazione, le proprietà dell’Abbazia poste in tenuta del Doglio, Monte Castello, Quadro e Canonica ai fratelli Don Carlo e Saverio Mortini di Todi.
Gli affittuari si impegnano a piantare olmi, viti, olivi e a “riattare la chiesa e le case coloniche“.
Una ricognizione della proprietà dell’abbazia era stata fatta circa un mese prima sulla base di una serie di testimonianze degli abitanti del posto.
A ricordo dell’atto di enfiteusi a favore della famiglia Mortini, fu posta nella chiesa una iscrizione con il nome del canonico Antonio Vannini e degli enfiteuti, i fratelli Mortini; questi furono gli ultimi affittuari, infatti in seguito ne rilevarono l’intera proprietà.
La funzionalità della chiesa è rimasta attiva fino a poco prima dell’anno 2000 con la festa del martedì dopo Pasqua.
Sembra che le feste del martedì dopo Pasqua a S. Maria in Monte siano state interrotte, perché il libero accesso ai luoghi della ex abbazia abbia comportato qualche volta visite tutt’altro che devote, da parte di chi la visitava per rubare campane, quadri e suppellettili.
 

Aspetto esterno

La chiesa è stata officiata fino alla metà del 1900 ed era oggetto di una forte devozione popolare e si celebrava la festa della Madonna con solenni processioni e la festa del martedì di Pasqua, dopodiché ha subito un totale abbandono ed oggi è completamente invasa da rovi ed è stata murata persino la porta per evitare sfregi vandalici.
All’interno pare si conservi un affresco del 1700.
Ad oggi 2022 l’area esterna è stata del tutto ripulita dai rovi e dalle sterpaglie.
 

Fonti documentative

Filippo Orsini – Il castello di Doglio; archeologia, famiglie, chiese e territorio – 2019
Federico Panzetta – Tra storia e storie: 1000 anni di presenza camaldolese nei luoghi dell’infanzia – 2018
 

Mappa

Link coordinate: 42.795505 12.338143

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>