Eremo del Beato Angelo – Gualdo Tadino (PG)

E’ un luogo immerso nella natura facilmente raggiungibile dalla strada principale che porta al Santuario del Divino Amore; adiacente all’area della chiesetta si apre un piccolo paradiso, un laghetto artificiale creato dalla costruzione di una diga per arginare le acque del Rio Rumore e per alimentare una centrale elettrica.

 

La vita del Beato Angelo

Angelo nacque da poveri genitori, Ventura e Chiara, verso il 1270 nella villa di Casale di Gualdo Tadino, situata in sulla costa detta in quei tempi di San Facondino.
Appena adolescente perse il padre per cui si fece carico del gregge di pecore che servivano per il sostentamento della famiglia; la madre ogni mattina provvedeva a fornirgli il pane e quel poco che aveva per sostentare il ragazzo che doveva star fuori tutta la giornata.
La bontà del ragazzo lo portò sempre più spesso a togliersi il pane di bocca per donarlo ai poveri che raminghi nelle campagne andavano chiedendo la carità.
Questo suo desiderio di donare ai poveri si fece sempre più impellente tanto che rubava dalla madia alla madre sempre più pane; ora avvenne che una mattina la madre colse il bambino sul fatto cominciò a inveire contro questo perché così facendo rendeva difficile la già precaria vita della famiglia.
In quel momento di rabbia la mamma si lasciò fuggire di bocca la frase: “Che io non ti vedessi tornarmi in casa mai più”, al che il ragazzo rispose: “Ed io tornandoci potessi non trovarti mai più” e se ne andò.
Sull’imbrunire quando stava per tornare a casa sentì suonare a morto la campana della sua pieve e domandando alle persone che cosa fosse successo scoprì che era veramente morta sua madre.
Angelo fu sconvolto dal rimorso abbandonò la casa, i fratelli e il paesello natio, e si diede alla penitenza cercando di espiare con una vita di macerazione e digiuni quel suo enorme peccato.
Cominciò la sua vita raminga e per penitenza intraprese numerosi cammini verso i santuari famosi dell’epoca primo fra tutti si recò in Galizia a S. Giacomo di Compostela, poi a Roma alla tomba dei papi, presso il santuario di S. Michele sul monte Gargano ed altri luoghi visto che essendo povero non poteva permettersi il lusso di pagarsi un viaggio a Gerusalemme.
Giunto all’età di di sedici anni e oramai vissuto come pellegrino, entrò nel monastero camaldolese di San Benedetto di Gualdo, in qualità di converso.
Verso il 1300, dal suo abate ottenne il permesso di ritirarsi in vita eremitica presso un eremo dedicato ai Santi martiri Gervasio e Protasio di pertinenza della stessa Abbazia posizionato presso la sorgente di un fiumicello (Rio Rémore, Remòre, Romore o Rumore), che vede poco più a monte la luce attraverso la sorgente di Capodacqua dove trovò altri vecchi monaci che si erano ritirati in solitudine; qui condusse una vita cenobitica di preghiera e digiuno, ma non era quello che lui cercava in quanto dovendo condividere l’eremo con altri doveva provvedere a cercare caritatevolmente in paese legna e beni per sopravvivere per cui si fermò in questo posto solo per quattro anni dopodiché scelse di isolarsi in una grotta a ridosso del Rio Rumore.
In questa grotta si ritirò senza mai più uscire fino all’anno della sua morte avvenuta il 15 gennaio del 1325 e tutto il giorno si dedicava alla meditazione e alla preghiera.
Già si diffondeva la sua fama che molte persone si recavano all’eremo per vederlo e ascoltarlo ma soprattutto molti erano quelli che invocavano la sua intercessione per malattie o infermità.
Nel frattempo Papa Bonifacio VIII comandò che si facesse inquisizione degli eremiti essendo questa pratica esercitata da ciarlatani e truffatori, quindi incaricò i Vescovi a investigare con i propri inquisitori tutti gli eremi.
L’allora vescovo di Nocera B. Giovanni de’ conati d’Antignano compì la visita degli eremi con l’inquisitore e al cospetto del Beato Angelo approvò il suo modo di vita.
Già in vita l’eremita fu artefice di numerosi miracoli, fra cui quello in cui scampò dalla morte un uomo di Gualdo e quando in più occasioni trasformò l’acqua in vino.
All’età di 28 anni si spense e contemporaneamente le campane della Badia di S. Benedetto di Gualdo si misero a suonare da sole per lungo tempo, allora gli abitanti del paese scossi dall’evento miracoloso corsero all’eremo e trovarono il santo eremita morto in ginocchioni a mani giunte in atto di pregare.
Il corpo fu trasportato sulla piazza di Gualdo affinché tutti lo venerassero; durante il trasporto avvenne la miracolosa fioritura del biancospino, nonostante le basse temperature ed il miracolo si ripete ogni anno il 15 gennaio.
Durante i funerali avvennero diversi prodigi, fra cui un cieco che riacquistò la vista ed un indemoniato che venne liberato dal demonio improvvisamente; molti poi furono i miracoli successivi alla sua morte.
Il 15 di Gennaio dell’anno 1343 il corpo del Beato fu riposto in un’urna di pietra nell’Abbazia di San Benedetto.
Nell’anno 1443 il 16 aprile il vescovo di Nocera Antonio Bolognini da Foligno dedicò un nuovo altare nella chiesa di S. Benedetto, e su questa collocò in una bara di legno il sacro corpo estratto dall’urna di pietra.
Il culto di Angelo fu approvato nel 1633 e di nuovo nel 1825, lo stesso è patrono di Gualdo Tadino e la festa si celebra il 15 Gennaio di ogni anno.
 

L’Eremo

Quest’umile grotta, fu un luogo venerato dai fedeli, e subito dopo la morte del Beato Anacoreta, in quella grotta dovette essere sepolto anche qualche altro suo imitatore o discepolo, poiché infatti, in una pergamena Gualdese, conservata nell’Archivio di Stato di Roma, leggiamo un testamento con il quale il testatore Pietro di Groctolino da Gualdo, il 31 Luglio 1348, faceva tra l’altro, anche un legato a certo Fra Guidone, “recluso in cella olimsancti Angeli”.
Nella prima metà del Quattrocento, sul vetusto Eremo dove per tanti anni l’Anacoreta Gualdese aveva trascorsola sua vita eremitica e penitente, si costruì una Cappella che fu consacrata l’anno 1450 dal Vescovo Nocerino Giovanni Marcolini da Fano.
Lo Jacobilli, narra poi che il Vescovo di Nocera succeduto al precedente diede licenza a Fra Bartolomeo di Pietro, Abbate del Monastero di S. Pietro di Gualdo, (certo S. Pietro di Val di Rasina) di edificare un Oratorio, sotto il titolo del Beato Angelo, nel luogo detto Val di Romore, concedendo altresì quaranta giorni d’indulgenza ai suoi futuri visitatori.
Sappiamo, che nella fine del 400 il sacro luogo aveva già assunto l’aspetto di una piccola Chiesa, coperta di volta e ricca di pitture eseguite da Matteo da Gualdo.
Nel 1564 il cardinal Serbellini concesse la cappella ai Padri Cappuccini che vi celebravano la messa insieme alle terre che le erano intorno.
Nella stessa, sino all’inizio del Cinquecento, seguitò ancora a vivere qualche anacoreta e si ha infatti memoria di un Fra Benedetto “ordinisheremitarum” che vi risiedeva nel 1477 e di un Fra Nicola di Giovanni da Matelica, che nel 1507 conduceva anch’esso vita eremitica nella cella “et loco santi Angeli de Gualdo“.
Questo sacro edificio, con alcune terre circostanti, ed una casa d’abitazione oggi scomparsa, era anticamente proprietà dell’Abbazia di S. Benedetto, ma ne aveva il giuspatronato il Comune di Gualdo che sopportò poi sempre anche l’onere di mantenerlo e provvederlo del necessario.
La sua dipendenza dalla suddetta Abbazia Gualdese, ci risulta anche da un Atto Notarile del 10 Luglio 1490, con il quale il Card. Giovan Battista Savelli, Abbate Commendatario della suddetta Badia di S. Benedetto, concedeva ai sacerdoti Gualdesi Cristoforo di Giacomo e Andreano di Giovanni il romitorio del Beato Angelo “vulgariternuncupatum La Cella” con abitazione, terre attigue e dipendenti, nonché le masserizie, e ciò per la durata di tre anni con divieto di vendere.
Dopodiché essendo stato edificato il Convento dei Minori Cappuccini nel 1564 il cardinal Serbellini concesse la cappella e i beni di pertinenza ai Padri Cappuccini che vi celebravano la messa.
Proprio davanti alla Chiesuola, scorreva, un torrente chiamato Rio Romore, oggi le sue acque in quel punto, passano racchiuse in un canale sotterraneo, ma un tempo scendevano libere e senza argini regolatori e ad ogni piena provocavano ingenti danni all’edificio che sorgeva sulla sua sponda.
La chiesa fu danneggiata gravemente già nell’Agosto del 1653 e nell’Ottobre del 1765 e in epoca più recente nell’Ottobre del 1827 che asportò completamente la parte anteriore del fabbricato la quale fu prontamente ricostruita e ricoperta da un semplice tetto e non da volta, come invece ancora esiste nella parte antica della Chiesa sfuggita all’alluvione.
Restauri furono eseguiti nel 1888 per opera dei Frati del vicino Convento, e anche nel 1926.
Nel corso degli anni ha subito notevoli lavori di adattamento e restauro, che ne hanno trasformato l’aspetto esterno in ogni sua parte; è stata poi adibita a sepolcreto privato per i Frati del vicino Convento dei Cappuccini, nonché per la famiglia Vetturini di Gualdo a spese della quale furono compiuti i restauri.
Un’altra alluvione si è succeduta nei primi del 900 e la stessa fu ristrutturata a spese di Adelaide Calai nata Colini.
Il Lions Club di Gualdo Tadino Nocera Umbra ha finanziato nel 2015 il restauro degli affreschi presenti nell’Eremo opera di Matteo da Gualdo.
 

Aspetto esterno

La chiesa si raggiunge attraverso un sentiero che scende dalla strada verso il vallone o attraverso una scalinata dal piazzale del Convento; dal sentiero sulla parete di roccia si trovano due lapidi, che commemorano due partigiani fucilati dai tedeschi nell’ultima guerra, subito dopo una minuscola fontanella.
Affiancato all’eremo c’è un minuscolo fabbricato decorato con un vasca in pietra sponga.
La chiesa ha una facciata contrapposta al sentiero e rivolta verso il letto dove un tempo c’era l’alveo del torrente Rumore, ed è decorata da due lesene angolari ed una centrale ampia che contiene un portale ad arco acuto sovrastato da una trifora con una croce in pietra sul colmo del tetto, la falda del tetto è decorata con archetti; la decorazione con archetti e lesene prosegue nella parete laterale destra che oggi è diventata la parte di accesso al sacro edificio.
 

Interno

L’interno a navata unica si può ben definire diviso in due parti: una prima, dalla facciata in poi, con tetto a capanna e dedicata ad area sepolcrale della famiglia Vetturini, che si accollò le spese di restauro dopo l’inondazione, ed una seconda parte con volta a botte molto più piccola residuo dell’antica grotta utilizzata come eremo dal Beato Angelo.
Sull’altare, in origine, esisteva un’antica statua del Beato Angelo, sostituita con una nuova nel 1888.
Un tempo, sul muro retrostante, era dipinta l’effigie della Vergine ora invece compare una lapide in marmo che ricorda la consacrazione; anche le altre pareti erano tutte coperte da pregevoli affreschi votivi ora in gran parte persi.
Di questi affreschi, opera pregevole di Matteo da Gualdo, restano ancora degli avanzi sulle parti alte delle pareti laterali; sulla parete di destra sopra la porta si nota un’Annunciazione mutila per l’apertura del nuovo ingresso, e a seguire la figura del Beato Angelo, San Facondino e San Rocco.
Nella parete sinistra si notano brandelli di un Crocefisso con la caratteristica scena della Pietà, un altro Beato Angelo, ed un’altra Annunciazione, tutti molto deteriorati.
Anche nel registro inferiore si notano brandelli di affresco non più identificabili, forse scene di vita del Beato.
 
 
 

Il Laghetto

A valle, adiacente all’eremo si nota un laghetto frutto dell’invaso creato dalla diga costruita negli anni 1955-1956 per assicurare la concessione dell’acqua e dotare il Convento-Santuario di energia elettrica grazie alla centrale elettrica sul rio Romore.
Il laghetto che si è formato è stato utilizzato per anni anche per fini escursionistici e dotato di una passerella e di un percorso pedonale fino alla diga, ora per ragioni economiche la centralina è in disuso ed il sentiero è stato chiuso perché anche la diga necessita di opere di manutenzione e il passaggio di turisti è diventato pericoloso per l’abbandono del percorso.
Questo però non toglie il fascino dell’invaso che si nota tra gli alberi dalla cappellina e che rende il paesaggio suggestivo grazie alla limpidezza smeraldina dell’acqua sorgiva che arriva pura al laghetto.
 
 
 

La Sorgente di Capodacqua

La sorgente di Capodacqua che sgorga a 530 m slm poco al disopra dell’eremo del Beato Angelo è una delle principali fonti di approvvigionamento idrico di Gualdo e del territorio insieme alle sorgenti di Rocchetta, Santo Marzio, Vaccara, Palazzo Mancinelli e Boschetto.
Fin dall’antichità le acque gualdesi risultano essere note, come attesta Plinio il Vecchio nell’opera “Naturalis historia” dove lo scrittore ricorda le famose sorgenti terapeutiche e le terme di Tadinum.
L’ossatura calcarea della catena appenninica è di alta permeabilità e favorisce una veloce e costante circolazione di acque sotterranee che fuoriescono dalle falde della dorsale e tra queste la fonte della Rocchetta, la sorgente di Santo Marzio, le fonti di Capodacqua risultano di notevole importanza.
La sorgente ha una portata di 120 litri al secondo ed è captata ad uso potabile; intorno alla stessa fu costruito negli anni passati un piazzale adibito ad area di sosta e di picnic attrezzata con tavoli di legno, una struttura murata in pietra con braciere e camino per la cottura di cibi.
Accanto alla fonte ci sono delle vasche per mettere a fresco le vivande; ora da anni quest’area è stata abbandonata e mancando la manutenzione i rovi stanno facendo da padrone.
La fontanella però spruzza ancora della buona acqua fresca che si incanala nel rio sottostante formando delle scroscianti e rumorose cascatelle, forse da qui il nome del rio “Rumore“.
 

Fonti documentative

L. Amoni Canonico – Vita del Beato Angelo di Gualdo Tadino – 1878

http://www.santiebeati.it/dettaglio/37860

http://gualdotadino.infoaltaumbria.it/Prodotti_Tipici_ed_Eccellenze/Eccellenze/L_Acqua.aspx

 

Mappa dell’eremo

Link coordinate: 43.243046 12.778390
 

Mappa della Sorgente

Link coordinate: 43.244994 12.784570

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