Eremo di San Fiorenzo – Preci

L’eremo sorge alla fine della Vacastoriana vicino all’abitato di Collescille, oltre la torre, e l’ultima tratta del percorso è solo pedonale, una fantastica passeggiata in un paesaggio incantevole.

 

Cenni informativi

L’eremo campestre con annesso un oratorio sorge nella parte alta della valle della Guaita, a 1100 metri di altitudine, dove questa si restringe, sul versante idrografico sinistro il quale ha subito nei secoli aggiunte e rifacimenti.
Da alcuni anni è tornato a nuova vita per la presenza di un eremita.
Nelle vicinanze, tra il bosco fitto di aceri e carpini, si possono osservare le celle scavate in uno scoglio di pietra sponga, che fungevano da riparo agli eremiti Eutizio e Fiorenzo, vi è una sorgente oggi malamente captata per il sottostante villaggio di Valle.
Dopo la morte di santo Spes, i monaci scelsero come guida sant’Eutizio che scese nella valle lasciando solo l’altro eremita. Oggi le grotte scavate nella roccia testimoniano la presenza dei santi eremiti in questo luogo solitario sul pendìo della montagna. Nel X secolo vicino alle grotte fu costruito in pietra un piccolo eremo con la cappella dedicata a san Fiorenzo.
Oggi in questo luogo isolato ma pieno di storia vive un altro eremita “venuto da lontano”: un giovane polacco di nome Tadeusz che ha scelto di vivere da eremita nella patria di san Benedetto, sui monti Sibillini tra cinghiali, volpi, vipere, faine ed aquile.
Grazie al suo paziente lavoro di muratore, l’antico eremo abbandonato sta tornato alla sua semplice bellezza. Tadeusz ha già restaurato la cappella dedicata al san Fiorenzo e ha ricavato una minuscola stanza dove vive. Due piccoli pannelli solari gli forniscono l’energia per illuminare la sua cella, invece la semplice stufa a legna serve per riscaldarla nei lunghi mesi d’inverno.
Le vicissitudini dell’eremo di S. Fiorenzo, sono narrate da S. Gregorio Magno, nel libro” Dialogorum” e sono illustrate in alcune tele esposte nell’oratorio di S. Eutizio.

Dicono i Dialoghi che mentre Eutizio era più portato all’apostolato, Fiorenzo era di temperamento più semplice e contemplativo.
 

Dai “Dialugorum” di San Gregorio Magno

La storia del Santo così ci viene testualmente narrata:
Fu compagno di preghiera e di santa conversazione con S. Eutizio nell’eremo omonimo (sotto la Villa Collescille). Quando Eutizio dovette scendere più in basso a dirigere il Monastero, pregò Fiorenzo di restare ancora a santificare quel santo asceterio. Nella sua semplicità e delicatezza di animo, alternava la preghiera con la custodia di un piccolo gregge di 5 pecore.
Florentius simplicitati atque orationi deditam ducebat vitam” dice S. Gregorio (Dialoghi, III, c. 5) ed aggiunge: “Mentr’egli era rimasto solo lassù nell’eremo in fervosa preghiera, un giorno chiese al Signore che gli facesse giungere un nuovo compagno che ivi volesse abitare. Appena terminata l’orazione, affacciatosi alla porta della sua cella, vide che lo attendeva un orso sollevato sulle zampe posteriori. Mentre abbassava la testa a terra non dimostrava nessun istinto feroce ed apertamente dava a conoscere ch’era venuto a rendere omaggio al servo di Dio. Osservando egli che non v’era chi custodisse il piccolo gregge che possedeva, prese ad ordinare all’orsacchiotto: “Va e conduci queste pecorelle al pascolo e riconducile all’ora sesta”.
La bestia cominciò ad obbedirgli e sebbene abituata a divorare il gregge, ora adempiva le cure da pastore senza molestarlo. Quando l’uomo di Dio voleva digiunare fino all’ora nona ordinava all’orso di ricondurre le pecore per quella medesima ora; quando preferiva mangiare all’ora sesta, a sesta rientrava l’orsacchiotto. La bestia obbediva diligentemente, in modo che mai rientrò all’ora sesta se aveva avuto l’ordine di rientrare all’ora nona, né avuto l’ordine per la nona ora, rientrava alla sesta.
Quando questo fatto singolare cominciò ad essere conosciuto, un Diacono venne da lontano a trovare il santo eremita per raccomandarsi alle sue preghiere. Appena si avvicinò alla sua cella, trovò la strada infestata ovunque di numerosi serpenti. Preso dallo spavento chiamò: “Buon servo di Dio, prega”.
Nonostante che il cielo era tersissimo, appena Fiorenzo uscito dalla sua cella elevò gli occhi al cielo e stese le braccia al Signore, perché a modo suo liberasse la strada da quella infestazione di serpi, il cielo risuonò di tuoni. Un fortissimo tuono uccise tutti quei serpenti, tanto che il servo di Dio vedutili uccisi aggiunse nella preghiera: “Ecco Signore, tu li hai fatti perire, ma chi oserà toglierli di mezzo?”
A quelle parole giunsero tante aquile per quanti serpenti erano stati uccisi, che precipitate sulla strada, ognuna raccolse un serpente portandolo lontano, così ne liberarono il luogo.
Da tutto ciò vediamo come il Signore abbia premiata la sua semplicità, umiltà e fiducia in Lui, inviando (invece di un compagno con cui conversare) un orsacchiotto che facilmente si lasciò ammansire e addomesticare; anche se gli mancava la parola, era docile agli ordini di Fiorenzo.
Ma il povero orsacchiotto gli fu causa di dispiaceri da quanto racconta S. Gregorio. (Cfr. P. Pirri: L’Abbazia si S. Eutizio, pg. 11):
Il fatto singolare non tardò a richiamare l’attenzione e l’ammirazione non solo dei Monaci, ma anche della gente dei dintorni e tanto bastò a creare a Fiorenzo un aureola di taumaturgo. Ma gli effetti furono funesti, non per Fiorenzo il quale rimase nella sua semplicità ed umiltà vedendo in tutto ciò la mano di Dio, ma per alcuni dei monaci suoi compagni, meno di lui fondati nello spirito soprannaturale. Questi presero ad interpretare malignamente la cosa.
“Ecco, dicevano, questo zoticone, che è appena capace di pascere quattro pecore, dà a dividere di far miracoli; mentre Eutizio, il nostro Abbate, miracoli non ne fa. Questo è uno scandalo che non si può tollerare: bisogna porci rimedio” .
Invero le parole di S. Gregorio non sono proprio queste, ma il senso:”vehe-menter invidentes, quod eorum magister signa non faceret, et is qui solus ab eo relictus erat, tanto hoc miraculo clarus appareret
Venne il giorno in cui la bestia, che Fiorenzo amava chiamare, fratello orso, ed il piccolo gregge non si videro rientrare all’ora consueta. Il santo monaco si mise in pensiero, e il dì seguente di buon mattino uscì di cella sulle loro tracce. Immaginare lo strazio che provò, quando ritrovò il piccolo gregge sbandato e fratello Orso steso a terra cadavere. Cadde in preda al più crudele dolore e per quanto Eutizio, chiamatolo a sè, cercasse di consolarlo, non cessava di sfogare con gemiti e lacrime la pena che lo affliggeva e di invocare dal cielo un’esemplare vendetta su coloro che avevano ucciso la povera bestia che com’egli diceva non faceva male a nessuno “quid nihil se laedentem ursum meum occiderunt”.
Il fatto ebbe subito eco in tutta la religiosa comunità e non ci volle molto perché il buon Fiorenzo venisse a scoprire il nome di quattro compagni ch’erano stati gli autori dell’eccidio. Con tutta la sua evangelica mansuetudine egli non poté reprimere qualche impeto d’ira e di rancore.
La vendetta del cielo non tardò a raggiungere i rei e poco tempo dopo tutti e quattro vennero colpiti da lebbra e l’uno dopo l’altro finirono i loro giorni consumati dall’orribile morbo. E ciò aprì una nuova piaga nell’anima pia e timorata di Fiorenzo, il quale ricordando quei movimento di sdegno e di vendetta, che non aveva potuto reprimere davanti al cadavere del suo amato orsacchiotto, ne provò un cocente rimorso; si ritenne colpevole della loro sorte e per tutta la vita non cessò più di piangere e di accusarsi come reo di omicidio.
Queste tristi circostanze dovettero non poco contribuire a rendergli meno gradito il soggiorno di quella cella e di quei selvatici paraggi, dove aveva trascorso ore tanto beate in compagnia di Eutizio. Finché questi fu in vita non ebbe cuore di staccarsi da lui, ma appena egli fu chiamato in cielo al premio delle sue virtù, se ne partì (nel 540) e andò a raggiungere un altro grande solitario, S. Vincenzo che da molti anni praticava vita solitaria e penitente in una cella fuori delle mura di Foligno e a quanto dicono i biografi era a lui legato da vecchia amicizia. Si crede che essendo questi creato vescovo della città, nel 523, a Fiorenzo sia toccato in sorte di abitare nella stessa cella ch’era stata santificata dalla sua presenza.
S. Fiorenzo sarebbe morto nel 548 o il 551 e il suo corpo fu seppellito nella cattedrale. (Ughelli, Italia Sacra, Venezia, 1717, 686). Martir. Romano, 1 giugno: “Apud Nursiam, Sanctorum Monachorum Euditii et Florentii quorum meminit D. Gregorius Papa“, (altre incerte notizie in Jacobilli).
 

Bibliografia

“ I sentieri del Silenzio” di Andrea Antinori edizione Società Editrice Ricerche
Documentario Storico-Artistico della Diocesi di Norcia: “Preci e la Valle Castoriana” – Umbria Ignorata.
Autore: Sacerdote Ansano Fabbi, Parroco di Abeto, Todiano e Montebufo.
 

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