Fortilizio di Marcofrate – Valtopina (PG)

Il luogo ha preso il nome da qualche persona del posto che seguì San Francesco.

 

Cenni Storici

L’ex fortilizio si trova sulla destra lungo la strada che da Valtopina risale il Fosso dell’Anna in direzione del mulino Buccilli.
L’area è coperta di boschi e nei pochi tratti che non ci sono alberi si notano i calanchi con il loro colore grigio dovuto alla terra di tipo argilloso di color cenere che essendo impermeabile ha favorito l’azione di dilavamento della superficie.
Il nome del villaggio è probabilmente riconducibile a frate (fratello) Marco, quindi è di origine francescana; non dimentichiamo che questi erano i luoghi frequentati da San Francesco e dai suoi primi seguaci e che poco lontano da qui il Santo reclutò il Beato Giovanni “Il Semplice“, quindi non è escluso che qualcuno qui lo abbia seguito e in memoria il luogo abbia mantenuto il ricordo di questa vocazione.
A Marcofrate si notano due edifici che sono i più antichi del piccolo abitato, il fortilizio e la chiesa.
La costruzione più imponente sorge su un basolato di età romana, ma risale al 1400, ne sono prova i mattoni utilizzati per gli archetti; infatti con l’uso del mattone, fatto in argilla, si sono diffuse le prime case sparse, nelle quali l’aia, oltre che per la battitura del grano, veniva utilizzata per fare i mattoni, cuocendo l’argilla abbondante nella zona.
Gli archi visibili sulla facciata sono a tutto sesto e rinforzati da mattoni.
In una finestra, fino a qualche anno fa prima del terremoto c’erano ancora infissi in legno del 1400 (per le finestre non erano ancora utilizzati vetri ma solo sportelloni).
Sopra la porta ad arco acuto del fortilizio compare una nicchia (come era in uso nel medioevo) dove erano affrescati dei santi o la Madonna a protezione dell’abitato, ancora oggi nella parte più protetta dalle intemperie si notano tracce di affresco dove nella parte centrale si nota un volto femminile sicuramente associabile alla Madonna e nell’arco in alto un altro volto femminile (in basso si notano le forme del seno) non identificabile.
A sinistra della facciata una pietra in arenaria murata accanto ad una finestra riporta la scritta molto deteriorata che così recita: “FILIPPO VITALe Fe. O.” cioè Filippo Vitale Fecit Opus; ora da dove sia stata presa la pietra e a che opera si riferisce non è dato saperlo, potrebbe trattarsi dello stesso ampliamento della struttura in quanto il corpo di fabbrica su cui poggia il mattone è un’aggiunta all’originario edificio.
Da una perizia interna si è verificato che il primo nucleo che è nato dell’edificio è una torre interna che alla base è divisa in due ambienti per poi svilupparsi verso l’alto, nel primo ambiente a piano terra è presente anche un pozzo interno che probabilmente attinge l’acqua dalla vena sotterranea che alimenta anche una piccola sorgente posizionata pochi metri più a monte, e che serviva ad un approvvigionamento di acqua in caso di assedio.
La torre nel piano in altro presenta nella parete sinistra una feritoia ora tamponata.
L’edificio si è poi sviluppato con l’aggiunta di due corpi a destra e a sinistra della torre, ben leggibili dall’esterno nel retro del fabbricato e per ultimo si è aggiunta la superficie che è stata chiusa dalla facciata, quindi si capisce che l’edificio ha avuto diverse fasi di sviluppo e probabilmente la facciata è una delle ultime.
Il fabbricato compare nel Catasto Gregoriano redatto tra il 1819 e il 1820 ed è indicato come “Marche frate” i cui proprietari risultano Buccilli Domenico Filippo e Zelio Angelo Quondam, Oltre al fabbricato sono attribuiti diversi appezzamenti di terreno in contrada “Serra” Vocabolo “Frate“.
 
 
 

L’architrave

All’interno del fabbricato, nella porta che in origine era l’accesso alla torre, è stato posizionato (forse nel 1500) un architrave scolpito lungo metri 1,30 alto 0,21 e largo 0,13 recuperato da un’altra parte e che non faceva parte di questa struttura; ciò si evince molto bene perché l’architrave è più stretto dalla spalla, delle colonne laterali e delle mensole stesse tanto che nella parte di architrave mancante è stato messo un trave di legno per sostenere il muro, quindi è stato adattato successivamente; ora resta da capire da dove è stato preso e a che cosa servisse e questo ce lo può dire solo una lettura della scritta scolpita nella pietra.
Le interpretazioni che per ora abbiamo a disposizione sono tre, due fornite dallo studioso Romano Cordella e una data dal restauratore Marcello Labate.
Il Prof. Romano Cordella fa queste due ipotesi dando le seguenti motivazioni:

a) 1554 Mastro Antonio -IHS- Chonte m(uratore) Cho(m)i

b) 1554 Mastro Antonio, mastro -IHS- Chonte, m(urator)i Cho(m)i

La data 1554 calza bene con la scrittura irregolare e anche con l’età del trigramma IHS (regolare e centrato) entrambe cinquecentesche.
Assolutamente da escludere un’età anteriore.
Si tratta probabilmente di uno (o due?) muratori lombardi proveniente/i dal Milanese, o come dicevano loro al notaio che scriveva in latino, “de lacu Comi de Mediolano“.
Quindi le 4 asticciole potrebbero al limite stare per MI (lano), ma l’interpretazione è dubbia.

Il Profess. Attilio Bartoli Langeli ci fornisce un’’altra ipotesi:
prima di NA c’erano (o ci sono un paio di lettere?); potrebbero essere XPI = Christi tra N e A, sebbene in nesso, c’è, in alto, un triangolino A con segno abbreviativo: A(nno)
E non ci piove: EIUS? (si vede qualcosa sopra la E) O o forse D: eiusdem, anno eiusdem spesso nelle datazioni 111° vale , non 300; perché sia 300 occorrerebbe una C, non una O soprascritta [……] sei o sette lettere erase per far posto al monogramma IHS CHO, la O con segno abbreviativo: forse, ma raro Christo- EC: non F, non E triangolino di separazione 1111 = 4 CHO, stavolta senza segna abbr. alla O I (forse) A da cui:
[I(n) XPI] N(omine) A(men). A(nno) E(ius)D(em) III° [ . . . . . . ] CH(rist)OEC IIII CHO I A.

Questa interpretazione purtroppo è carente di un sopralluogo diretto in quanto sul posto si nota che prima di NA non c’è nulla perché si vede il triangolino; anche alla fine dell’architrave non è una A ma una I seguita da un triangolino come si vede da vicino, inoltre su Cristoferus dalle foto non si vede bene che la C finale in realtà non è una C ma una è con una s piccola sopra che fa giusto pensare alla fine della parola Christopherus.
Tenendo comunque conto di questa ragionevole interpretazione dovremo datare l’architrave all’anno 1003 ma ci sembra effettivamente troppo indietro.

Altra ipotesi ce la fornisce Marcello Labate Restauratore:

i piccoli triangolini dividono le parole o le iniziali.
N. A. sta per “nomine amen“; spesso per date si inizia con “In Christi Nomine Amen” oppure “In Dei Nomine Amen“.
La A con l’abbreviazione sopra sta per “Anno“.
Quella che segue, che erroneamente si può scambiare con una E, seguita poi da una 0 in realtà è una m (minuscola) messa di traverso che si legge “Millesimo“, un esempio simile nell’iscrizione trecentesca della porta del Mercato di Vadogrande.
I tre numeri 111 con il pallino sopra va letto come “trecentesimo“.
Ricapitolando la prima part prima del simbolo abbiamo: “Nomine amen anno mille trecento“.
Poi troviamo il monogramma IHS cinquecentesco che forse è stato realizzato abradendo la vecchia iscrizione, poi troviamo CHOFCs che va letta come CHOFes con l abbreviazione sopra la O che si legge “Cristoferus” (Cristoforo) poi i quattro 1111, poi ancora Cho e per finire una I, che va letto come “4 Cristo Indizione“, ricordiamo che l’Indizione era un modo di computare il tempo storico in uso nell’età medievale, ora che anno di preciso è del 300 non ci è dato saperlo perché forse era contenuto nella parte coperta dal simbolo di San Bernardino eseguita nel 1554, ora che anno di preciso è del 300 non ci è dato saperlo perché forse era contenuto nella parte coperta dal simbolo di San Bernardino eseguita nel 1554.
Quindi la spiegazione della frase sarebbe: IN NOMINE AMEN MILLESIMO TRECENTESIMO (Simbolo IHS 1554 ) CHRISTOFERUS 4 CRISTO INDIZIONE (Nel nome di Cristo nell’anno 1300 …. Cristoforo nella quarta Indizione per Cristo).

Se la frase così fosse si può tranquillamente supporre che l’architrave provenga e sia l’unica testimonianza materiale della diruta chiesa trecentesca di San Cristoforo alla Cerqua documentata da Don Mario Sensi, scomparsa forse per una piena del torrente Anna non si sa bene in che anno e che nel 1554 sia stata recuperata questa trave e inserita nel nuovo ambiente monastico di Marcofrate; come può essere a questo punto che dalla stessa distrutta chiesa di San Cristoforo arrivi anche l’altra pietra murata nella facciata che reca l’iscrizione FILIPPO VITALE. FE. O. forse due nomi o unico di committenti e poi la dicitura fecit opus descritta in precedenza.
Questo può significare che quando la chiesa di San Cristoforo alla Cerqua viene dismessa il suo architrave viene trasportato e riutilizzato a Marcofrate.
E’ un’ipotesi, ma che potrebbe avere solide radici storiche e confermare le ricerche dello storico Don Mario Sensi che ha scoperto l’esistenza di questa chiesa, ma affermava che della stessa non esisteva alcuna traccia poiché non aveva ancora visto questa pietra.
Ipotesi queste difformi tra loro e qualcuna molto distante dalle altre, ma suscettibili di modifiche qualora esista qualcuno che voglia dire la propria versione documentandola.
 

La chiesa della Madonna Annunziata

La chiesetta adiacente è del 1500-1600 e ristrutturata di nuovo dopo il terremoto del 1997, ma probabilmente è stata costruita su un precedente edificio, si nota dal basamento non allineato con la soprastante parete ma rimasto a cuneo; la sua dedica è alla Madonna Annunziata e all’interno un tempo custodiva una tela con l’immagine di San Michele Arcangelo (ora andata perduta) proveniente dalla diruta chiesa di omonima chiamata Sant’Angelo di Rotondolo (de Rotunduro), che era situata sulla collina dirimpetto alla chiesa di San Fedele di Vallemare a circa un chilometro e mezzo da qui la cui pietra che sorregge la mensa è a San Fedele.
Al disopra della finestra che sovrasta la porta c’è un mattone datato che recita:
Die 20 lunij anno domini 1738
Cioè “Il giorno 20 giugno dell’anno 1738″ e dovrebbe trattarsi di una data riferita ad una sua ristrutturazione.
La festa veniva celebrata il 25 marzo giorno della Madonna e per l’occasione veniva cotto il pane che poi andava distribuito fra tutti gli abitanti in segno di devozione.
L’interno è spoglio perché ancora in fase di ultimazione dei lavori.
 
 
 

SORGENTE SOLFUREA

Nel territorio in esame è interessante segnalare la presenza di particolari sorgenti solfuree, di cui questa che ne costituisce un esempio rappresentativo.
Le sorgenti indicate come “termali” dal punto di vista amministrativo, sono piuttosto termominerali da quello idrogeologico, in quanto portano a giorno acque con chimismo diverso da quelle comuni, o con temperatura superiore a quella ambiente, oppure con entrambe le caratteristiche.
Secondo le classificazioni proposte da alcuni Autori (es. Desio), esse corrispondono in realtà a sorgenti minerali “fredde” (con temperatura inferiore alla media esterna ed a 20°C), subtermali (con temperatura superiore alla media esterna ed inferiore a 20°C), più raramente si tratta di sorgenti termali s.s. con temperature superiori alla media esterna ed a 20°C.
La sorgente esistente qui rilevata rientra nella prima categoria di classificazione.
Essa presenta una temperatura stabile di circa 13° C, pH 7,0 e portata strettamente controllata da regime stagionale; portate maggiori si rinvengono nel periodo novembre-aprile, mentre nei mesi caldi è possibile non trovare acqua.
Sono in corso studi specifici sul chimismo delle acque di questa sorgente con prelievi mensili effettuati per un progetto nazionale realizzato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Palermo.
Una possibile ipotesi di provenienza di queste acque ricche in solfati potrebbe essere collegata alla risalita di acque fossili attraverso i sistemi di fratturazione associati a faglie più profonde.
Questa sorgente si trova proprio ai piedi del colle dove sorge il fortilizio di Marcofrate e la fuoriuscita di acqua è direttamente nel fosso dell’Anna nell’alveo del fiume.
Per raggiungerla occorre scavalcare il guard-rail e scendere nel fiume, il punto è in una curva dove nel fosso sono presenti alcune canne palustri e dalla parte opposta c’è uno sperone di roccia.
La sorgente è stata sistemata canalizzando l’acqua un una canna di plastica murata in un modesto muricciolo di mattoni, l’acqua sulfurea ha colorato di bianco la canna e alcune pietre adiacenti.
 

LA PRODUZIONE DEL CARBONE

Una delle attività economiche prevalenti della zona e quella che garantiva reddito era lo sfruttamento del bosco con la produzione della legna e del carbone che veniva realizzato direttamente nel bosco adattando il terreno per le carbonaie.
La carbonaia era costituita da una catasta di legna di circa 5-6 quintali, composta da tronchi di ridotte dimensioni provenienti dalla macchia; la catasta era di forma conica arrotondata con alla sommità una sorta di canna fumarla che veniva utilizzata per l’alimentazione e per la fuoriuscita del fumo.
La catasta veniva poi avvolta con del fogliame e successivamente ricoperta di terra (mantello) per isolarla dal contatto esterno con l’aria, che altrimenti avrebbe dato troppo vigore alla combustione consumando la legna e riducendola in cenere.
Le carbonaie addossate al pendio sfruttavano l’azione d’isolamento della terra nella parte a monte facilitando inoltre le operazioni di controllo e di alimentazione (se posizionata in piano, la catasta, alta circa 2 m, necessitava di una scaletta esterna di legno).
La carbonaia veniva poi accesa nella parte alta del camino: iniziava la combustione interna lenta e senza fiamme che si propagava a tutta la catasta.
Per poter avere la formazione del carbone le fiamme venivano soffocate con altra legna a piccoli tronchetti e il mantello mantenuto sempre integro.
Il processo di combustione richiedeva quindi molta attenzione e poteva durare fino a circa dodici giorni; il carbone era pronto quando da tutto il mantello fuoriusciva un fumo color turchese.
Il carbone così ottenuto veniva poi trasportato a valle e usato per alimentare forni, fornaci, macchinari a vapore.
 

Fonti documentative

Scuola Media “G. Galilei” S. Eraclio – Valtopina – Valtopina Itinerari – 1995
Cartellonistica in loco
Mappe del Catasto Gregoriano foglio “San Pietro“.
 

Mappa

Link coordinate: 43.053875 12.726910

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