Grotta degli Angeli – Magliano Romano (RM)


 

Cenni Storici

La chiesetta rupestre detta Grotta degli Angeli è un ambiente scavato nel tufo lungo il declivio del colle Casale a ovest del paese, appena al disotto di resti di strutture murarie d’epoca medievale in prossimità del centro storico di Magliano.
Poco si conosce sulle origini della chiesa rupestre, forse alcuni frati eremiti di provenienza orientale intorno al VI secolo, edificarono la prima cappella sui resti di una necropoli etrusco-falisca.
In effetti le tracce di un ipogeo preesistente si distinguono chiaramente nella metà sinistra dell’area presbiteriale: si conserva bene la volta originaria dell’ambiente, di poco più alta di quella della chiesa rupestre, ma anche una delle pareti e, in corrispondenza dell’inizio del presbiterio vero e proprio, uno spigolo ben definito; anche le due nicchie sulla parete di fondo della chiesa sembrano pertinenti a questo primo ambiente, soprattutto quella più vicina all’abside, sormontata da una semplice lunetta, di cui si ritrovano esempi anche in alcuni sepolcri all’interno dell’attuale centro abitato.
Che fosse o meno una tomba, questo ambiente aveva planimetria quasi quadrata, ed era coperto da volta a botte; né la volta né la parete si sono conservate per tutta la loro lunghezza, probabilmente perché distrutte da un crollo.
Nessun elemento, invece, supporta l’ipotesi di una fondazione ad opera di monaci orientali.
In effetti non si può determinare con precisione la data di fondazione della chiesa, che sembra essere stata scavata in un’unica fase e mostra una struttura architettonica evidentemente dipendente da modelli romanici laziali.
Secondo alcuni studiosi potrebbe essere identificabile con la chiesa di Sant’Arcangelo de Malliano, citata nelle Rationes Decimarum Italiae, registro delle decime versate fra il 1274 e il 1280, ma è improbabile che l’ambiente sacro scavato nel tufo fosse dedicato a San Michele arcangelo, non c’è traccia di culto micaelico.
Il santuario doveva essere ancora in funzione nel XV secolo, come testimonia un affresco attribuibile a quell’epoca dipinto sulla parete di fondo.
Su un resto di affresco sito sulla parete destra si legge la data graffita 1457.
Intorno alla fine dell’XI secolo o agli inizi del successivo la chiesetta fu affrescata con dei dipinti di scuola romana.
Nella visita apostolica del 1574 si menziona una chiesa distante dal castello mezzo miglio, al di sotto di essa “e specialmente nella parte sinistra vi è un’altra chiesa che ora è quasi tutta piena di terra ed è edificata a quel modo che è la chiesa di s. Sebastiano a Roma con i suoi pilastri e le sue colonne“.
La chiesa superiore, di cui non si trova più traccia era, probabilmente quella di Sant’Arcangelo de Malliano citata nelle Rationes Decimarum, la chiesa “piena di terra” era probabilmente la Grotta degli Angeli, la cui titolazione originaria è destinata a rimanere sconosciuta.
L’ipogeo e il suo importante ciclo pittorico sono riscoperti nel 1902 dallo storico dell’arte Federico Hermanin, che dà notizia della scoperta nel Bullettino della Società Filologica Romana, e l’anno successivo pubblica sulla stessa rivista il primo studio complessivo sugli affreschi.
Nel 1939, gli affreschi che rivestivano le pareti furono distaccati e asportati per paura di trafugamento, quindi portati a Roma, prima a Palazzo Corsini, poi presso Palazzo Venezia ove rimasero per circa mezzo secolo, ora sono conservati a Magliano Romano presso la chiesa di San Giovanni.
Fungeva da altare della chiesa un cippo di età romana, che nelle vecchie foto si vede coricato, nel 1994 è stato rimosso e collocato nel giardino della scuola elementare del paese, oggi è conservato anch’esso nella parrocchiale.
 

Aspetto esterno

Lungo il percorso per la Grotta si scorgono diversi ambienti ipogei, forse tombe etrusche poi riadattate per altri usi.
La Grotta degli Angeli si apre lungo il ciglio di una parete tufacea, insieme ad altri ambienti di incerta interpretazione, alcuni dei quali forse legati all’edificio di culto.
L’ipogeo è scavato nel punto di contatto tra due diversi strati di tufo, uno strato superiore di tufo litoide grigiastro, in cui è ricavata la volta e un tufo giallastro molto più friabile in cui sono state scavate tutte le altre strutture, comprese le colonne e gli archi del presbiterio.
La chiesa, che forse riutilizzava una preesistente cavità naturale, era ad una sola navata, di altezza non eccessivamente sviluppata, coperta con volta a botte e terminante con tre arcate (la centrale più ampia), che gravano su colonne ricavate anch’esse nel tufo.
I blocchi di tufo che integrano le pareti mancanti della grotta, sono dovuti probabilmente a un intervento più tardo, sopraggiunto a seguito del progredire dell’erosione della falesia.
I crolli di questi decenni hanno ridotto sensibilmente l’area della Grotta; anche gli stessi muri perimetrali risultano praticamente inesistenti ma quello che più preoccupa è lo stato di erosione delle colonne che reggono l’intera volta con il rischio di un cedimento strutturale.
 

Interno

La chiesa rupestre risulta ancora oggi leggibile, nonostante lo stato di totale abbandono in cui versa e il crollo della parete d’ingresso.
Mantiene quasi intatto il suo assetto originario, probabilmente contemporaneo all’intervento pittorico: si presenta come un’aula unica voltata a botte, lunga circa quattro metri e larga tre, delle tre arcate che in origine delimitavano la zona presbiteriale ne rimangono solo due a causa dell’erosione del tufo, convergenti su due colonne, allo stato attuale assai consunte ma al tempo dell’escavazione lavorate con notevole accuratezza, come si evince dal riscontro delle tracce dei capitelli in stile ionico.
L’ambiente ha planimetria trapezoidale, con le pareti che vanno leggermente a restringersi sul fondo.
L’arco centrale è più ampio rispetto al laterale sopravvissuto sulla destra, inquadra il retrostante vano presbiteriale che risulta contornato in basso da un bancale anch’esso ricavato nella viva roccia, fino a qualche decennio fa vi era alloggiato un altare in marmo di epoca romana, reimpiegato per l’uso cristiano.
Agli angoli si impostano le basi di due colonne a sezione ellittica, che a loro volta sostengono due arcate, una al centro dell’aula, l’altra si stende dalla colonna di destra alla parete destra; altre due arcate raccordano le colonne alla parete retrostante.
Il presbiterio è coperto da una sorta di rozza cupola a cuspide, totalmente scavata nella roccia e impostata sulle colonne anteriori, sugli archi laterali e sulla parete retrostante, sulla quale si apre l’abside semicircolare.
A sinistra della zona presbiteriale, in diagonale rispetto all’asse longitudinale della navata, si apriva un ambiente secondario del quale rimane soltanto il primo tratto della parete contigua al vano absidale, caratterizzata da due nicchie, e parte della soprastante volta a botte.
L’erosione del fianco della collina ha comportato, oltre al crollo di gran parte di questo ambiente, anche quello dell’ingresso e della parete sinistra del vano principale, che appare risarcita con un muro in blocchi di tufo, a sua volta franato.
Attualmente la volta è completamente spoglia, ma fino al 1939 era completamente coperta di affreschi.
Nella lunetta che sovrasta i due archi si trovava l’immagine di clipeata Cristo Pantocratore benedicente tra angeli, Michele e Gabriele adoranti, che convergono ad ali spiegate verso il centro, in posa rigidamente simmetrica.
Sopra l’arco di destra, al di sotto dell’arcangelo Gabriele, è l’iscrizione:
S GABRIEL / IOH[ANNE]S PROMA/TRIS SVE PIN/GERE FECIT.
Hermanin ha letto in corrispondenza dell’angelo di sinistra i resti di un’iscrizione:
[S. MICH]AE[L].
Lo spazio residuo all’estrema destra è occupato dall’immagine di un pavone intento a beccare acini d’uva che fuoriescono da un cratere.
Sulla volta, ai lati di un ampio rettangolo percorso da una banda centrale a fogliame d’acanto con fiori e da due laterali più ampie con rotae e volatili, erano disposte, a sinistra, la Natività con l’Annuncio ai pastori, l’Adorazione dei Magi.
La Natività è raffigurata secondo l’iconografia più comune, con la Vergine sulla sinistra, nei pressi della grotta, che mostra il Bambino, disteso all’interno di una culla dorata e ornata di gemme; dietro la culla si intravedono le teste del bue e dell’asino.
Nella scena dell’Adorazione dei Magi la composizione è imperniata sulle figure della Vergine, abbigliata con un manto rosso e seduta su un trono con un alto dossale e del Bambino sulle sue ginocchia.
Davanti a loro un angelo con le ali spiegate indica il Bambino ai tre re; rimangono alcuni resti dei primi due, la terza figura è completamente scomparsa.
La Presentazione al tempio, che occupava la prima metà del lato destro, è incentrata sulla figura di Cristo bambino in trono, all’interno di una nicchia, con il sacerdote Simeone e la profetessa Anna sulla sinistra, mentre sulla destra si vedono la Vergine in atto di preghiera e San Giuseppe con due colombe in mano.
Perduta la parte inferiore dei primi due episodi della narrazione evangelica, si conserva la didascalia sottostante la scena della Presentazione:
[…] QVE[M] SIMEON MVNDI / VENERANS ECCEPIT INVLN[IS].
Lo spazio rimanente era riempitoda quattro personaggi in posa frontale: e il riquadro con le immagini di San Nicola di Mira, in abiti vescovili, San Sebastiano martire, nella foggia militare, Sant’Egidio monaco, con lo scapolare monastico, San Pietro apostolo con pallio e tunica.
Alla base dei riquadri si trovano i nomi dei quattro santi, ben leggibili prima del distacco:
S NICOLAVS, S SEBASTIANVS, S EGIDIVS,(S) PETR(VS).
Ai piedi del San Nicola si scorge la figurina del committente a mani giunte (oggi amputata della parte inferiore ma originariamente rappresentata per intero nell’atto della genuflessione), con scritta RIGETTO, nome la cui presenza è attestata nei dintorni di Roma nel corso dei primi decenni del XII secolo.
Tutti gli affreschi, come detto di scuola Romana, databili tra la fine dell’XI secolo e gli inizi del successivo, richiamano alla mente le opere dei Maestri di Castel Sant’Elia, in particolare del nipote di Giovanni, Niccolò, operoso anche nella chiesa di San Biagio di Nepi.
La collocazione degli stessi sulla volta e non sulle pareti, come di solito avviene, è dovuta probabilmente al desiderio di proteggere le pitture dall’umidità e dagli agenti atmosferici.
Nel sottarco rimangono tracce di affreschi non leggibili.
Nello spazio presbiteriale rimaneva solo l’estremità superiore di un pannello votivo quattrocentesco, raffigurante una Madonna in trono col Bambino, anche tale affresco è stato staccato nel 1939, ma se ne ignora l’attuale allocazione.
Le pareti sottostanti allo stato attuale non presentano tracce di intonaco ma forse in origine erano rivestite da una decorazione ornamentale, come sembrerebbe suggerire un brano conservatosi su una delle colonne, con un ornamento nero su fondo bianco intramezzato da volatili rossi stilizzati.
La parete destra, perfettamente rettilinea, forma una risega di circa 10 cm, una sorta di mensola sulla quale poggia l’imposta della volta, a differenza di quanto avviene sulla parete sinistra, in cui la volta continua il profilo della parete.
Appena al disopra di questa risega si trova una fila di ampi fori triangolari posti a distanze regolari, di incerta funzione.
Sulla parete di destra erano altri affreschi non leggibili e rimasti in sito, come già detto su un resto di affresco sito sulla parete destra si legge la data graffita 1457.
Si nota inoltre una croce rossa.
Il pavimento dell’aula è costituito dalla viva roccia livellata, ed ha andamento costante, solo l’area presbiteriale è delimitata da un rialzo di pochi centimetri di altezza.
 

Nota

La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
 

Nota precauzionale

Usare ogni possibile cautela prima di inoltrarsi nell’ambiente.
 

Nota di ringraziamento

Si ringrazia l’amico Pierluigi Capotondi, ancora una volta perfetta guida alla scoperta del territorio falisco – etrusco
 

Fonti Fotografiche

Le immagini della grotta ancora con gli affreschi in sito sono tratte da:

http://catalogo.fondazionezeri.unibo.it/ricerca.v2.jsp?decorator=layout_resp&apply=true&percorso_ricerca=F&sortby=AUTORE&batch=10&view=list&locale=it&UBFU=246

 

Fonti documentative

S. Macchia – Le Chiese rupestri del Lazio Medievale (VI-XV Sec.) - Tesi di Laurea Università degli Studi di Roma Tre, Facoltà di Lettere e Filosofia Anno Accademico 2012-2013
S. Piazza – Pittura rupestre medievale Lazio e Campania settentrionale (secoli VI-XIII) – École française de Rome, 2006
P. Rotondi – Gli affreschi di Magliano Romano nella galleria Corsini a Roma -in http://www.bollettinodarte.beniculturali.it/opencms/multimedia/BollettinoArteIt/documents/1426257134539_08_-_Cronaca_ritrovamenti_e_restauri_p._279.pdf pp. 288 292
S. Moretti – Alle porte di Roma: un esempio pittorico e il suo contesto da ricostruire. La «Grotta degli Angeli» a Magliano Romano
G. Guarneri – Gli affreschi della Grotta degli Angeli di Magliano Romano – 1994
F. Hermanin – La grotta degli Angeli a Magliano Pecorareccio – in “Bullettino della Società Filologica Romana”, Roma, 1903

https://campagnanoedintorni.it/grotta-degli-angeli-a-magliano-romano/

 

Mappa

Link coordinate: 42.162193, 12.433763

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>