Insediamento Umbro Colle i Mori – Gualdo Tadino (PG)

L’insediamento fa parte di una rete visiva d’altura che permetteva la una comunicazione che copriva tutta l’Umbria e oltre. Da qui si è in contatto visivo con il Santuario di Colle San Rufino del Subasio e monte Acuto di Umbertide; qui inoltre è stata ritrovata una pietra miliare con la più antica scritta in alfabeto Umbro.

 

Cenni Storici

L’occupazione del territorio gualdese cominciata nella prima preistoria, continua tra la prima età del ferro e l’orientalizzante (IX-VII secolo a.C.), ma riceve forte impulso soprattutto in età arcaica (VI-V secolo a.C.).
E’ con ogni probabilità in tale periodo che si evidenziano e si definiscono etnicamente gli Umbri Tadinati (Tarsinater) menzionati nelle Tabulae Iguvinae come antagonisti di Iguvium, e ricordati dalle fonti letterarie, ad esempio Plinio il Vecchio e Strabone e mostra un’occupazione intensa ed organizzata secondo il modello insediativo sommitale.
L’etnico è stato confermato dall’iscrizione umbra recentemente rinvenuta a Colle Mori.
L’economia di questo popolo era basata sull’agricoltura che nelle aree interne appenniniche era di sussistenza, sulle attività silvo-pastorali, ai cicli della transumanza delle greggi ed ai contatti commerciali che ne derivavano.
Il modello insediativo si evolve dal modello primitivo perilacustre testimoniato dalla I età del Ferro fino alla fine del VII secolo a.C. ad un modello più complesso che assumerà poi caratteristiche urbane già in età arcaica.
Gli abitati in genere avevano un acropoli nella parte più alta del massiccio montuoso e il resto delle abitazioni erano dislocate sul pendio SW più soleggiato e e riparati dai venti freddi di tramontana.
Le necropoli erano invece dislocate a valle lontane dai centri abitati e accanto a vie di comunicazione.
La scelta del luogo delle aree sacrali era condizionata dalla conformazione del paesaggio umbro, dalla situazione economica e sociale, dal coagulo delle entità paganiche e rappresentano il frutto di un controllo capillare del territorio.
La maggior parte dei luoghi di culto umbri documentati dall’età arcaica (VI-V sec. a.C.) sono dislocati in aree interessate dai percorsi di transumanza e di vie di comunicazione, possono essere di altura o di passo ma anche di confine, questi ultimi svolgono il duplice ruolo di area sacra e di difesa del comune territorio tribale.
Questo territorio di insediamento degli Umbri Tarsinater si trova in corrispondenza del versante occidentale della dorsale appenninica Umbro-Marchigiana a pochi chilometri di distanza a Sud da due valichi, quelli di Fossato di Vico (m. 740) e di Scheggia (m. 575), che geograficamente e storicamente sono tra i più importanti del centro Italia.
Entrambi, insieme a quelli di Boccaserriola (m. 730) e di Colfiorito (m. 750), sono fra i più bassi dell’intera fascia Appenninica.
Ciò ha permesso da sempre una identità culturale in continuo contatto o rinnovamento grazie a vie di comunicazione agevolato che in età romana si svilupperanno in maniera esponenziale nelle fasce pianeggianti.
L’orografia ho fatto si che, attraverso un complesso sistemo di avamposti, dalle colline che sovrastano la città gualdese si possa controllare, oltre che l’intera vallata di Nocera Umbra fino al passo di Scheggia anche la zona di influenza eugubina che spesso generò motivo di controversie.
Superata la sella di Fossato di Vico, che immette nel territorio marchigiano attraverso la valle dell’Esino, si arriva in breve alle città di Ancona e di Numana, ovvero a due dei più importanti punti di approdo del Mar Adriatico, risulta, perciò, esplicito il fatto che per l’ambiente gualdese i contatti culturali con il versante Adriatico siano da sempre estremamente facilitati.
Come si deduce dalle Tabulae Iuguvinae e successivamente da Plinio il Vecchio, i Tadinates erano un popolo numeroso e politicamente organizzato con un territorio ampio e articolato che abbracciava una fascia di oltre 200 km quadrati comprendente una fascia montuosa le cui cime superano anche i 1400 m.
Un territorio favorevole agli scambi commerciali che si muovevano attraverso i valichi, ricco di ferro e rame, frequentato sin dal Paleolitico e abitato stabilmente dal Neoltico.
Dalla fine del VII sec. a.C. e gli inizi del VI secolo, si ha il periodo in cui in tutto il territorio dell’Umbria antica si riscontra un’omogeneità culturale che si evidenzia sia nei modelli politici, ideologici e sociali, sia nella cultura materiale, sia nei modelli insediativi.
Anche in area tadinate, in tale periodo, sembra prevalere il modello insediativo sommitale con insediamenti fortificati numerosi e diffusi sia nell’area montana che in quella collinare.
Di tutti gli abitati, il centro di Colle i Mori, ben presto assume una funzione egemone con caratteristiche urbane, la cui esistenza come centro abitato cesserà nella seconda metà del III secolo a.C., quando lungo la via Flaminia appena inaugurata (220 a.C.) inizierà a svilupparsi il municipio di Tadinum.
La viabilità preromana era rappresentata da una strada pedemontana il cui percorso era più o meno parallelo a quello successivo della Flaminia e da una serie di percorsi trasversali che collegavano il territorio tadinate con quello eugubino, e con il versante adriatico attraverso i valichi appenninici.
E’ in questo contesto storico che si inserisce l’insediamento del Colle i Mori, un nucleo abitato posizionato in corrispondenza del versante occidentale del colle che conserva consistenti tracce di antropizzazione molto antica, tanto che l’insediamento, impostato a gradoni e terrazze artificiali sostenute da muri a secco, ha modificato l’andatura dei rilievi, rendendo, anche a livello visivo, riconoscibilissima l’area insediativa.
La sommità del colle appare fortificata con vallo ed aggere sui versanti settentrionale, meridionale ed occidentale, più acclivi, mentre quello orientale che presenta fianchi ripidi e rocciosi, è difeso naturalmente.
I primi saggi di scavo, condotti sulla sommità del colle da E. Stefani per conto dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici nel 1935, riportarono in luce i resti di un sacello a pianta rettangolare, oltre a bronzetti schematici di tipo italico.
Campagne di scavo più recenti, hanno consentito di delineare, seppure a grandi linee, dimensioni e caratteristiche dell’abitato arcaico dei Tarsinater.
L’insediamento che ebbe la massima consistenza dalla fine del VI secolo a.C., aveva un’ampiezza di oltre 12 ettari ed in questo spazio si riconoscono una serie di sistemi composti da abitati di altura fortificati con vallo ed aggere posti a controllo del territorio e delle vie di comunicazione, in genere gravitanti intorno ad un santuario.
Intorno agli anni 1990, in seguito a scavi clandestini con mezzi meccanici, dal terreno intorno al santuario di Colle i Mori affiorarono numerosi frammenti di laterizi, che resero indispensabili ed urgenti altre due campagne che vennero eseguite nel 1992.
L’abitato occupava il versante occidentale del colle era disposto su terrazzamenti artificiali sostruiti con muri a secco di lastrine calcaree.
Sono state finora riportate alla luce alcune abitazioni a pianta rettangolare, con ogni probabilità a due piani, in cui il piano terra è costituito da tre ambienti delimitati da muri a secco conservati in genere per un’altezza di 1,70-1,90 m, sul cui muro di fondo che si appoggia a quello di terrazzamento, sono presenti a distanze regolari incassi quadrangolari per pali o pilastri lignei che sostenevano i solai del piano superiore.
La copertura era costituita da travi lignei, tegole e coppi.
Dei tre ambienti terranei quello settentrionale era destinato a magazzino o dispensa (infatti conteneva vasi con semi e ghiande), in quello centrale era il focolare, mentre al piano superiore doveva essere collocato il telaio (infatti sono rinvenuti pesi da telaio).
Il pavimento era in terra battuta o di lastrine calcaree, mentre gli alzati erano lignei o in graticcio.
Tra gli edifici riportati alla luce uno, a pianta subtrapezoidale, era con ogni probabilità ad uso pubblico e presenta una rozza decorazione di tegole di gronda ornate con motivi geometrici.
Il materiale rinvenuto nei vari complessi edilizi presenta una buona varietà soprattutto nelle classi ceramiche: si sono trovati infatti vasi da mensa e da dispensa, recipienti da conservazione e vasellame da cucina, che coprono un arco temporale tra la fine del VI e il III secolo a.C..
Non mancano materiali di importazione come frammenti di ceramica attica, di bucchero e di vernice nera, nonché frammenti di materiali metallici (bronzo e ferro).
Nella parte più alta del colle era ubicato l’acropoli in cui era situato il tempio cittadino sede del culto urbano, rappresentato da un piccolo tempio a pianta rettangolare con cella e pronao con muri perimetrali a secco, circondato da un temenos (recinto sacro) di blocchi calcarei.
Nel pronao vi è una vasca ipogea scavata nella roccia, probabilmente una cisterna il cui uso è legata ai riti santuariali.
Il territorio circostante viene organizzato in funzione del centro urbano: le alture prospicienti l’abitato, che dominano la pianura sottostante e le vie d’accesso al colle e in genere al territorio tadinate, vengono occupate con piccoli insediamenti fortificati che rappresentano la prima linea difensiva della città.
La necropoli relativa al centro urbano era probabilmente quella di S.Facondino, ubicata a circa 700 metri di distanza alla base occidentale del colle.
La città viene completamente abbandonata nel III secolo a.C. per eventi traumatici bellici o sismici e nello stesso periodo inizia a svilupparsi l’area urbana del municipio romano in località Taino, favorita anche dall’apertura della via Flaminia risalente a tale periodo.
L’iscrizione umbra databile nel IV secolo a.C. relativa all’area pubblica dei tadinati, oltre a fornire un’importante testimonianza dell’organizzazione sociopolitica di questo popolo, ne conferma l’etnico.
Tutti i reperti trovati negli scavi sono conservati ed esposti presso il Museo Archeologico Antichi Umbri di Gualdo Tadino nel palazzo Casa Cajani.
 
 


 

I Reperti

Tutto il materiale raccolto e catalogato nell’ambito delle campagna di scavo che si sono succedute nel tempo, è conservato presso il Museo Archeologico Antichi Umbri di Gualdo Tadino nel palazzo Casa Cajani, si tratta di vasellame, ceramiche, bronzetti e oggettistica varia, inoltre è stato ricostruito un ambiente tipo che rappresenta un’abitazione nonché vi è conservato il forno in terracotta per la cottura e la torrefazione degli alimenti.
 
 


 

Iscrizione in lingua Umbra IV sec. a.C.

(-?-)
tarina(t-?-)
ei tuce st(ahu-?-)

Traduzione – “Io sono il termine dell’area pubblica dei Tadinati
La parola TARINA della prima riga si riferisce alla popolazione dei Tadinates (o Tarsinates); EITVKEST rimanda ad una formula normalmente usata per designare l’appartenenza alla comunità.
Il frammento di lastra calcarea probabilmente di forma rettangolare aveva funzione di Cippo terminale al limite dell’abitato umbro di Colle i Mori; reca un’iscrizione in alfabeto umbro redatta da destra verso sinistra.
Il pezzo costituisce una tra le più importanti testimonianze epigrafiche in lingua umbra.
E’ un esempio di oggetto parlante ovvero il testo è scritto in prima persona come spesso accade in questo genere di oggetti che avevano una funzione ben determinata.
Il reperto è datato alla metà del IV secolo a.C.
 
 


 

Il Forno

Durante le campagne di scavo 2009-2010, fu portata in luce, all’interno di un’abitazione un forno di terracotta sepolto dal crollo del tetto e in posizione centrale.
Uno strato di argilla molto compatta costituisce il fondo e il piano di imposta della camera di combustione, di forma ellittica e con pareti rastremate verso l’alto, aperta verso la facciata dell’ambiente.
Numerosi frammenti di terracotta, in crollo sia all’interno che all’esterno della camera di combustione, sono pertinenti a due sovrapposte camere di cottura; la superiore, appoggiata sull’orlo di quella sottostante, ha un piano forato; l’inferiore, con piano non forato, appoggiata sull’orlo della camera di combustione, presenta un’apertura laterale.
Alcuni elementi frammentari di argilla cotta, utilizzati per sigillare gli interstizi tra le varie componenti, sono stati rinvenuti frammisti ai frammenti dei piani di cottura.
Si può ipotizzare la presenza di un elemento di chiusura superiore, forse costruito al momento di ogni cottura con un impasto di argilla applicato su di un’armatura di materiale vegetale; è certo che da quest’area provengono frammenti di più di un opaion (aperture), indizio che proprio sulla struttura erano previste nel tetto aperture per la fuoriuscita del fumo.
Immediatamente a ridosso del forno erano presenti numerosi materiali archeologici: coti di arenaria, un pestello di pietra, pesi da telaio di pietra e di terracotta, frammenti di manici d’osso, di bucchero nero e di bucchero grigio, un aes rude, frammenti di ceramica comune, di ceramica depurata acroma e di ceramica a vernice nera.
Non è chiara la funzione del forno se servisse per cuocere la ceramica, ma il contesto abitativo e le dimensioni fanno propendere per una funzione legata alla cottura e alla torrefazione di alimenti così come attestato in ambiti simili piceni e sabini.
Il forno è stato datato in età ellenistica e viene fissata sulla base della ceramica a vernice nera rinvenuta negli strati di abbandono dell’ambiente.
 

Fonti documentative

Tavole presso il Museo
Eleonora Bairati e Patrizia Dragoni – Guida al Museo Civico Rocca Flea di Gualdo Tadino – 2011

http://gualdotadino.infoaltaumbria.it/Scopri_la_Citta/Siti_Archeologici/L_insediamento_arcaico_di_Colle_I_Mori.aspx

https://turismo.tadino.it/la-storia-di-gualdo-tadino/

 

Mappa

Link alle coordinate 43.249671 12.785179

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