Abbazia di San Bartolomeo – Morruzze di Baschi (PG)

La vecchia abbazia è ora adibita ad azienda agricola dedita all’allevamento del bestiame.

 

Cenni Storici

Nei secoli XII e XIII i Camaldolesi avevano vicino a Todi tre abbazie: S. Bartolomeo e la “Pasquarella“, Santa Maria in Monte in zona Canonica, e Santa Maria in Silva (che abbracciava la zona dopo Monte Castello di Vibio fino a Collelungo di S. Venanzo).
L’insediamento iniziale della “Pasquarella“, risale ai tempi di S. Romulado in seguito ad una donazione fatta dal conte Farolfo di Montemarte nel settembre l005.
Questo fu il primo insediamento stabilito da S. Romualdo, una sede capace di ospitare stabilmente in alcune grotte 3-4 persone, ma il posto, per estensione e caratteristiche, si prestava per ospitare anche altre postazioni eremitiche; poterono pertanto sorgere più eremi, costituiti inizialmente da baracche, sviluppatisi poi in muratura, talvolta con piccola chiesa annessa.
Successive a questo insediamento camaldolese nacquero le abbazie di San Bartolomeo, Santa Maria in Monte e di Santa Maria in Silva che avvennero prima del XIII secolo, probabilmente prima del 1150.
La trasformazione dell’Eremo della “Pasquarella” in abbazia spostata più in alto e in una zona più accessibile si rese necessaria in ragione della viabilità che correva sulle dorsali infatti San Bartolomeo si posizionò nelle vicinanze della strada che da Todi scendeva a Ponte Martino (Pontecuti,) attraversava il ponte romano, passava per Asproli, Acqualoreto, Morruzze, poi alla Rocca e proseguiva verso Viterbo ed era chiamata la strada “dei mercanti“.
Questa situazione dei collegamenti stradali ha probabilmente indotto i camaldolesi a posizionare la residenza principale dei monaci nell’abbazia di San Bartolomeo, e il centro direzionale per la gestione dei terreni lungo la strada che da Acqualoreto portava al Tevere dove c’erano due “punti-barca“, nella località ancora oggi chiamata “casa dell’eremo“.
Forse è proprio per questo motivo che i monaci hanno deciso lo spostamento del punto di riferimento dell’insediamento della “Pasquarella” dall’eremo con questo nome, al punto dove è stato costruita l’abbazia di San Bartolomeo.
Si tenga conto che la proprietà di questa abbazia abbracciava un territorio di oltre 500 ettari.
Le condizioni di isolamento imposte dalla posizione della “Pasquarella“, non furono più ritenute idonee alla vita dei monaci.
Una particolarità differenzia l’abbazia di S. Bartolomeo dalle altre: il centro direzionale delle attività economiche non è nella abbazia, ma distaccato nella “casa dell’eremo“; questa soluzione organizzativa, forse dovuta alla vicinanza al fiume Tevere, è probabilmente dovuta alla maggiore facilità dei trasporti attraverso il fiume.
Agli inizi del 1400 si sviluppò la cultura umanista e venne meno la vocazione verso la vita monacale e questo determinò un declino dell’abbazia.
Questi eventi determinarono l’esigenza di dover procedere alla fusione dei monasteri, che, spopolandosi e ospitando persone di livello culturale medio più basso, non potevano sopravvivere, per mancanza di capacità gestionale, oltre che di numero di persone.
Come detto, iniziò il periodo degli abati “commendatari” queste persone erano più interessate alle rendite dei monasteri che al bene dei monaci; gli stessi non volendo dedicare troppo tempo alla gestione, spesso concedettero in enfiteusi i terreni, riservandosi le rendite e lasciandone in minima parte al monastero.
Nessuna informazione sull’abbazia di S. Bartolomeo delle Morruzze e sulla chiesa di S. Maria de Scopulis, detta della “Pasquarella” viene data negli annali camaldolesi, l’unica informazione che possiamo ricavare da quel riferimento è che l’abbazia nel 1420 era già declassata a “priorato“.
Sembra che l’abbazia (o priorato) di S. Bartolomeo, insieme a quello di Santa Maria a monte, sia stata abbandonata dai camaldolesi nei primi anni del 1500, forse nel 1505; quel periodo fu caratterizzato da turbolenze in tutto l’ordine camaldolese, è anche ricordato per episodi di pestilenze; a Todi morì di peste un terzo della popolazione.
Il successivo evolversi degli eventi mostra che l’abbazia di S. Bartolomeo e S. Maria de Scopulis erano compresi nei beni della commenda di Galeazzo Gabrielli, insieme a quello di S. Maria in Monte.
Nel 1523 Clemente VII unì l’abbazia di S. Arcangelo alla Canonica di Todi all’abbazia camaldolese di Monte Corona, l’atto di Clemente VII fu integrato da Paolo III che assegnò anche l’abbazia di S. Maria in Monte alla nuova congregazione di Monte Corona.
Questo è confermato dalla visita pastorale del 2/5/1566 e dalla visita apostolica di Pietro Camajani del 17/11/1574, che definiscono il beneficio di S. Maria in Monte dipendente dall’abbazia di S. Salvatore di Monte Corona.
In sintesi, mentre la vita del monastero di S. Maria in Monte sarebbe proseguita nell’ambito della Congregazione degli eremiti di Monte Corona, la storia di S. Bartolomeo, compresa S. Maria de Scopulis, e degli altri terreni che furono di S. Maria in Monte, sarebbe proseguita attraverso gli abati commendatari.
La chiesa di S. Bartolomeo continuò ad essere visitata, come riporta la relazione del Camajani nel 1574, e fu trovata spesso trascurata dagli abati commendatari: poco effetto ebbero i rilievi del visitatore apostolico e dei Vescovi, infatti questa andò sempre più in declino.
Nel 1838 le proprietà dell’abbazia camaldolese di San Bartolomeo e della “Pasquarella” furono vendute, al titolare dei beni dell’abbazia, tale “Asprizia Stefano prete di Roma“, rimasero circa 50 ha di terreno circostante l’abbazia di San Bartolomeo.
Sembrerebbe che il corrispettivo riscosso per questa vendita sia entrato nell’economia del Monastero delle Lucrezie e reinvestito in consolidati della Camera Apostolica.
I circa 40 ettari della ex abbazia di S. Bartolomeo e la stessa abbazia, rimanenti dopo le vendite del 1838, confluirono nella cassa ecclesiastica e furono venduti nel 1877 alla famiglia Paparini; in data recente questi beni sono passati in proprietà alla famiglia Ponzo e Di Tizio.
Con la vendita del monastero di S. Arcangelo alla Canonica del 1933 finì del tutto la presenza camaldolese in zona Todi, ma inaspettatamente, nel punto più nascosto e lontano dalla quotidianità, rinacque la tradizione della “Pasquarella“, mentre non tornarono più l’attrattiva e l’interesse religiosi verso l’abbazia di S. Bartolomeo.
La presenza dei monaci camaldolesi nell’insediamento sulla sponda sinistra del Tevere non esiste più nella memoria della gente del posto, è solo ricordata dagli edifici dell’abbazia di S. Bartolomeo e dalla chiesa della “Pasquarella“, dai ruderi di qualche primitivo eremo, poi trasformato in piccola chiesa.
 

Aspetto

L’antico edificio è stato adibito ad azienda agricola ed il terreno circostante è riservato all’allevamento degli animali allo stato semibrado; un voluminoso capannone destinato alle stalle è stato costruito accanto alle vecchie strutture abaziali prospicente all’antica aia.
Al complesso monastico si sono aggiunte nel corso dei secoli vari annessi che hanno modificato l’originaria struttura.
Nell’ambiente adiacente alla chiesa, a fine 1800, sono state aggiunte strutture ora abbandonate; altre ancora sono state piazzate nella zona ovest.
La chiesa è in completo abbandono, con tetto a capriate che è parzialmente crollato.
L’interno è completamente spoglio, rimane in piedi il blocco in muratura dell’altare dove si nota ancora una croce bianca inserita in un cerchio in campo celeste.
La facciata è squadrata con un bellissimo portale in pietra arcuato sovrastato da una finestra in mattoni rossi non coeva alla struttura.
Un altro bellissimo arco è a fianco sulla sinistra del portale, ed immetteva negli ambienti interni dell’abbazia.
Il campanile a vela è posizionato a destra in facciata ed è privo di campane.
 

Fonti documentative

F. Panzetta – Tra storia e storie 1000 anni di presenza Camaldolese nei luoghi dell’infanzia – 2018
 

Mappa

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