Monastero di San Francesco – Todi (PG)

La chiesa ospita uno dei principali capolavori della pittura umbra del XIV secolo, la prima raffigurazione pittorica del Purgatorio solo di qualche decennio posteriore alla Divina Commedia, ispirato (come pare l’opera di Dante) dalla “Leggenda del Purgatorio di San Patrizio” elaborata da Enrico di Saltrey e diffusa in Italia come “Leggenda Aurea” di Jacopo da Varazze considerato dagli storici “uno dei best sellers del Medioevo“.

 

Cenni Storici

Il complesso di San Francesco, si trova lungo la Via di Borgo Nuovo, fu costruito su di un’antica chiesa del XI-XII secolo dedicata a San Marco (probabilmente a navata unica) dai Servi di Maria nella seconda metà del XIII secolo (tra il 1273 e il 1274).
L’ordine mendicante dei Servi di Maria fu fondato da 7 persone a Firenze nel 1233.
Fu l’ultimo monastero fondato da San Filippo Benizi, superiore generale dell’Ordine (OSM), e qui il santo vi morì il 22 agosto del 1285 (1233-1285, proclamato santo nel 1671) ed il cui corpo fu conservato all’interno del monastero dopo che vi fu trasferito nel 1317, per volere del Generale dell’Ordine Servita, nell’antica cappella di san Giuseppe.
Le spoglie vennero di nuovo traslate nel 1599 nella chiesa di Santa Maria delle Grazie che fungeva da nuova sede dell’ordine.
All’interno del monastero è la cella (o cappella) dove morì San Filippo.
I Serviti costruirono un Oratorio (oggi diviso in parlatorio esterno ed interno), decorato con affreschi che vanno dal 1300 al 1500.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che questo oratorio può essere identificato con la Cappella di San Giuseppe, documentata fin dal 1317, appartenuta alla Corporazione dei Falegnami, quando vi fu trasferito il corpo del beato Filippo Benizi facendolo tumulare sul lato destro.
La chiesa subì vari restauri nel corso dei secoli, come quello del 1490, quando fu ampliata e abbellita.
Nel 1598 i Serviti cedettero il complesso alle Clarisse, che ampliarono la chiesa alla sinistra.
La chiesa portò il titolo di san Marco fino al 1600, poi le suore gli cambiarono la titolazione e lo dedicarono a San Francesco.
Nel 1624 il cardinal Lante, vescovo di Todi unì il complesso di san Francesco al monastero di s. Andrea. (Sant’Andrea fu contesa dall’Ordine dei Templari e dal Capitolo della Cattedrale. Nel 1558 la chiesa di sant’Andrea divenne un piccolo monastero di monache fondato da suor Beatrice di Jaco da Todi).
Nei primi Decenni del 1700 la costruzione di san Francesco fu rinnovata dalle Clarisse nelle dimensioni e nel soffitto, coperto da una volta e decorata con stucchi e nel 1729 fu solennemente consacrata dal vescovo Gualtieri che la dedicò alla Santissima Vergine, S. Andrea apostolo e S. Francesco d’Assisi.
Nel 1739 il monastero di San Francesco fu unito a quello di Sant’Andrea da un arco che travalica la via di Borgo Nuovo.
Nel 1860 fu decorata dagli Agretti (che dipinsero anche il piccolo Teatro di Montecastello Vibio).
Nel coro della chiesa è il sepolcro di suor Chiara Isabella Fornari, morta in concetto di santità il 9 dicembre del 1744.
 

La chiesa

Si presenta a navata unica voltata a botte.
L’Altare maggiore contiene il corpo di S. Ferricola qui collocata dopo il 1598 dalle Clarisse e sopra è una tavola ad olio con Sposalizio della Vergine, attribuita a Livio Agresti da Forlì (1505-1579, che lavorò anche ad Amelia, Temi e Narni).
A sinistra entrando, affresco con le Nozze mistiche di S. Caterina d’Alessandria (ex voto di donna Anselma 1550), copia dell’affresco miracoloso della Consolazione, di un pittore anonimo locale.
Negli altari laterali 2 quadri ad olio di Silvestro Valeri (1814-1902), pittore purista, allievo di Tommaso Minardi all’Accadema di san Luca che nel 1845 divenne insegnante di pittura all’Accademia di Perugia.
Sull’altare di destra, è il quadro con le Stimmate di san Francesco (1859), (sotto è il corpo di Chiara, forse una suora); nell’altare a sinistra la Vergine e le sante Chiara ed Agnese sempre opera del Valeri.
Attraverso una porta a sinistra dell’altare maggiore si accede al Coro del monastero.
 
 
 

Affresco del Purgatorio e sua ispirazione

Sulla parete di fondo dell’ambiente che ospita il coro delle monache nell’oratorio, nel novembre del 1975, rimossi gli stalli e tolto lo scialbo, si trovò un grandioso affresco che occupa tutta la parete.
I lavori di restauro, conclusi nel 1977, hanno riportato alla luce un affresco della metà del Trecento con la prima raffigurazione pittorica del Purgatorio, uno dei capolavori della pittura umbra del XIV secolo, solo di qualche decennio posteriore alla Divina Commedia, con la quale presenta alcune analogie.
Solo dopo la diffusione della Divina Commedia, viene compresa la netta distinzione tra questi 2 mondi ultraterreni. (La più antica raffigurazione di un luogo di espiazione è una miniatura contenuta nell’Antifonario della seconda metà del XIII secolo conservato nell’Archivio Comunale di Gubbio).
Il Purgatorio di San Patrizio è stato realizzato da un ignoto pittore fu denominato “Maestro del Purgatorio di Todi“, di gusto toscano-senese.
L’affresco si ispira alla “Leggenda del Purgatorio di San Patrizio” elaborata dal cistercense Enrico di Saltrey (1170-85) nel “Tractatus de Purgatorio sancti Patricii” e contenuta poi anche nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze e nelle Vite dei santi padri di Domenico Cavalca.
Questa leggenda è forse una fonte della Commedia di Dante.
Verso il 1260 viene diffusa in Italia dalla Leggenda aurea di Jacopo da Varazze che riassume l’opuscolo di Enrico di Saltrey (che non nomina), cambia il nome dell’eroe, sostituendo al cavaliere Owein un nobile chiamato Nicola.
Il successo di quest’opera fu immediato e notevole, tanto da essere considerato dagli storici “uno dei best sellers del Medioevo“.
Nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze si legge che Sanctus Patricius (385-461, patrono d’Irlanda insieme ai santi Columba e Brigida), vescovo d’Irlanda, per avviare al cristianesimo genti infedeli a Dio, ottenne il privilegio da Cristo di poter vedere le anime del Purgatorio da un antro della montagna, da un pozzo e di mostrarle agli infedeli (pozzo che non ha fine: da qui l’espressione Pozzo di san Patrizio) e attraverso questa visione riuscirà a convertire un cavaliere miscredente, Dominus Nicolaus.
Il cavaliere entra nell’oltretomba e assiste a varie pene e tormenti demoniaci.
Il pozzo secondo la tradizione si trova in un isolotto del lago Derg, o Lago Rosso (Lough Derg) nella contea Donegal.
Quasi contemporaneamente alla diffusione della Leggenda nasce il pellegrinaggio a Lough Derg nella contea irlandese di Donegal.
Questo era l’unico luogo di pellegrinaggio d’Irlanda conosciuto in tutta Europa durante il Medioevo, un flusso continuo di pellegrini arrivò fin qui persino dalle lontane Ungheria e Catalogna per tentare di rivivere la visione avuta da San Patrizio.
Questo pellegrinaggio è continuato durante i secoli fino a oggi e da fine maggio a metà agosto i pellegrini vanno ancora a Station Island per tre giorni di preghiera e penitenza.
E’ un viaggio spirituale con veglia di 24 ore, durante la quale i penitenti non dormono, camminano a piedi nudi e pregano.
I partecipanti possono consumare un solo pasto al giorno.
Secondo una leggenda locale, il lago è Dearg (Rosso) per il sangue dell’ultimo serpente d’Irlanda che S. Patrizio uccise proprio qui.
Secondo altre fonti, invece, si tratterebbe di Lough Deirc, ovvero il lago della grotta.
Su Station Island, un’isola al centro del lago, infatti, sembra ci fosse una grotta, punto d’incontro dei pellegrini sull’isola, fino al 1780 quando fu costruita una piccola cappella che fu meta di pellegrinaggi.
La chiesa è cresciuta con gli anni, per accogliere un numero sempre maggiore di pellegrini.
Ci sono altri pellegrinaggi in Irlanda in onore di san Patrizio, infatti da secoli, altro luogo è Croagh Patrick, dove il Santo nel 441 rimase sulla vetta per 40 giorni costruendo una chiesa tutt’oggi esistente.
Leggenda vuole che al termine del quarantesimo giorno, il patrono d’Irlanda scagliò una campana su una pendice del monte, scacciando dall’isola tutti i serpenti.
 

Descrizione dell’affresco

Nell’affresco di Todi a sinistra è la Gerusalemme celeste, a forma di castello merlato, accanto a destra il monte immagine del Purgatorio di San Patrizio.
In primo piano è raffigurato il passaggio delle anime dal Purgatorio al Paradiso, per i meriti di Cristo, con la mediazione della Madonna e quella del beato Filippo Benizi, superiore generale dell’Ordine dei Servi di Maria, accolte da san Pietro, “custode” della Gerusalemme celeste. L’affresco ricorda l’episodio della conversione del Dominus Nicolaus che volle calarsi nella caverna prima di prendere i voti da religioso.
Nicola è raffigurato a destra sopra la cima del Monte accanto a San Patrizio.
Il Santo è rappresentato in sontuose vesti e con una sorta di bacchetta (a volte è il suo attributo), con un bastone magico aveva cacciato dall’Irlanda serpenti velenosi e con lo stesso bastone fa scaturire da un pozzo, che è poi l’ingresso del Purgatorio stesso, le fiamme che dimostrano la realtà dei patimenti del purgatorio al “dominus Nicolaus“.
Il Purgatorio è raffigurato alla dantesca come una grande montagna vista in sezione, dove si aprono 7 caverne poste su 2 piani, ognuna delle quali corrisponde a uno dei 7 vizi capitali.
Nella zone superiore sono raffigurate l’avarizia, la lussuria e la superbia.
In quella inferiore sono raffigurate la gola (danneggiata dal fuoco di un antico camino), l’invidia, l’ira e l’accidia. (Accidiosi inchiodati su di un ponte e sotto i serpenti).
Al tempo in cui è stato dipinto l’affresco, la concezione generale considerava il purgatorio come un luogo in cui la pena si differenziava da quella dell’inferno solo per la durata: temporanea nell’uno, eterna nell’altro.
Qui vediamo rappresentati il coccodrillo o leviatan, e i pipistrelli, simboli del peccato e del demonio, che tormentano le anime purganti.
Dopo aver espiato i propri peccati, attraversando una tavola irta di chiodi posta a mo’ di ponte (il simbolismo del ponte che permette di passare da una riva all’altra, è uno dei più universali, rappresenta il passaggio dalla notte al giorno, dalle tenebre alla luce, dalla terra al cielo), le anime purificate escono vestite di bianco (colore della purezza), e rappresentate bambine perché solo quando sono giunte a quella piccolezza richiesta per entrare nel Regno dei cieli, che vengono incoronate dalla Vergine poi avviate in cielo da san Filippo Benizi.
Il Beato è raffigurato con la raggiera dei beati non con l’aureola dei santi in quanto fu canonizzato solo nel 1671 da Papa Clemente X, in mano ha un giglio, classico attributo dei santi dell’ordine Servita e un ramoscello d’olivo, simbolo di pace e di vittoria.
San Pietro rappresentato con le chiavi del regno dei cieli, che le invita le minuscole anime a varcare la piccola e stretta porta del Paradiso con una stella sopra, (“In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli” Mt 18,3).
Le anime, accolte da un angelo, ne varcano la soglia della Gerusalemme celeste, per unirsi al coro osannante degli angeli che inneggiano a Cristo, vincitore sul peccato e sulla morte.
Il Paradiso è rappresentato come una città (Gerusalemme) con mura turrite (merli a coda di rondine), all’interno di esso, sopra le mura, Cristo benedicente è circondato da una schiera di undici angeli, che rappresentano gli undici apostoli rimasti fedeli.
La Madonna è avvolta in un ricco mantello stellato, con degli ornati al collo e ai polsi simili alle decorazioni del piviale indossato dal santo vescovo irlandese Patrizio, come simbolo del fatto che la sua divina maternità ha nella Chiesa la medesima dignità del sacerdozio ministeriale esercitato dai vescovi ed è raffigurata con le dodici stelle intorno alla testa, graffite nell’azzurro del cielo che ricorda la vittoria sul dragone (Apocalisse); è più grande degli altri personaggi, per sottolinearne l’importanza, posta in luce dal Concilio Vaticano II nel documento Lumen Gentium: “…Maria quale sovraeminente e del tutto singolare membro della Chiesa...” (n. 53) “…occupa, dopo il Cristo, il posto più alto e più vicino a noi ” (n. 54).
Ha le scarpe come segno di regalità, non ha Gesù Bambino in braccio, ma è china, con gesto materno, verso le anime ormai salvate.
(La Vergine come mediatrice che accompagna le anime nel passaggio dal Purgatorio al Paradiso la troviamo, in un affresco molto più tardo, nella chiesa di Santa Maria in Rupis a Firenzuola di Acquasparta).
Al centro di questo meraviglioso scenario, dai colori pastello, alcuni angeli si librano nel cielo, compiaciuti che, al pari di loro, anche gli uomini sono diventati cittadini della Gerusalemme celeste, perché soccorsi dalla Vergine e dai Santi.
La scena è delimitata da una cornice ad arco formata da 2 registri, quello superiore a girali, quello inferiore a torciglioni.
Sovrastanti la cornice che come un arco trionfale completa l’affresco, campeggiano due figure profetiche: a destra il profeta Isaia (che rappresenta l’Antico Testamento), ha in mano un cartiglio con l’iscrizione: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio….è finito la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità ” (Is 40, 1-2) e a sinistra l’evangelista Matteo (che rappresenta il Nuovo Testamento) con l’iscrizione: “VENITE, BENEDICTI PATRIS MEI, POSSIDETE PARATUM VOBIS REGNUM A CONSTITUTIONE MUNDI” “Venite benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparano per voi fin dalla fondazione del mondo” (Mt 25,34).
Il pittore impiegò 15 giornate per la scena principale e 2 per i personaggi dei pennacchi.
A causa della caduta dell’intonaco la data è priva delle ultime tre lettere, ma da documenti di archivio si è ritrovata menzione dell’affresco e si è visto che il dipinto portava la data del 1346.
Il committente: forse il priore generale dell’Ordine servita che nel 1344-48 era frate Matteo da Città della Pieve o il suo predecessore, frate Pietro da Todi, perché l’affresco forse sarà stato realizzato alla fine di un grande progetto, la sistemazione del sepolcro di san Filippo Benizi.
Questo affresco è stato attribuito ad un pittore di scuola senese.
Nelle figure principali meglio leggibili e conservate: la Madonna, San Pietro e San Filippo, sembra possibile riscontrare qualche affinità con la maniera di Jacopo di Mino del Pellicciaio; non è improbabile che alla sua mano spettino le figure più importanti, e che il rimanente sia opera di aiuti.
Ultimamente si è più propensi ad attribuire la realizzazione dell’affresco ad un ignoto pittore operante a Todi in quegli anni denominato in maniera vaga “il Maestro del Purgatorio”.
 

Il Maestro del Purgatorio

Non è ben chiaro chi sia questo pittore, forse è un artista tuderte o un pittore toscano attivo a Todi, a lui vengono attribuite numerose opere tra cui alcune che sono conservate nella chiesa di San Fortunato a Todi nella cappella di San Francesco, nel Palazzo dei Priori dove ha dipinto un San Cristoforo, nella chiesa di San Filippo Benizi dove è suo l’affresco della Madonna delle Grazie.
Gli studiosi lo avvicinano ad un artista influenzato dalla pittura senese (che guarda soprattutto Pietro Lorenzetti), anche per le tecniche e le iconografie (aureole decorate a stampo con foglie di quercia, come Simone Martini ad Assisi), è stato chiamato in maniera convenzionale “Maestro del Purgatorio”.
 

Altre opere del Convento

Il patrimonio del convento è costituito da molte opere d’arte, eseguite da pittori tuderti del 1600 come Sensini e Polinori ed anche da tele portate in dote dalle suore, come la Santa Cecilia che suona la spinetta e un angelo di Orazio Gentileschi (oggi nella Galleria Nazionale dell’Umbria).
Epifania, nella presunta cappella di san Giuseppe: Ciclo di affreschi frammentari del 1501
Sopra l’ingresso del monastero era una Crocifissione del Sensini (oggi perduta).
Scala Santa (1635) e Ultima Cena (1642) del Polinori nel convento (non visitabili per la Clausura).
Campanile a vela al centro della facciata è del 1600
Con la requisizione dei complessi religiosi, nel 1861 una parte dell’arredo mobile è confluita nella Pinacoteca Comunale, come per esempio il San Francesco che riceve le stimmate del 1557, commissionato dal cardinale Guido Ascanio Sforza, la tela con San Bonaventura che scrive della fine del XVII sec, la Santa Chiara d’Assisi e la Madonna di Loreto.
 

Il Restauro

La scoperta di questo grande affresco, circa 32 mq è avvenuta agli inizi degli anni 70 del secolo scorso e si è rivelata particolarmente rilevante per la storia dell’arte italiana perché è la prima rappresentazione del Purgatorio in pittura.
Non meno importante è anche il fatto che viene rappresentato alla data del 1346 “Il Purgatorio di San Patrizio” strettamente legato alla tradizione Irlandese ed al suo vescovo San Patrizio.
L’affresco che si trovava nel Coro delle monache, era stato coperto dagli stalli di legno e solo piccoli frammenti di colore emergevano da cadute dello scialbo nella parte superiore scoperta.
Il restauro, promosso dalla Soprintendenza per i Beni Culturali di allora e diretti dal Soprintendente dottor Francesco Santi, iniziarono intorno al 1974 e terminarono nel 1977.
I restauratori: Marcello Castrichini e Leonilde Dominici e per gli intonaci delle lacune Nicola Castrichini.
 

Nota di ringraziamento

Ringrazio Marcello Castrichini per la disponibilità manifestata e per aver fornito le immagine delle fasi del restauro.
 

Fonti documentative

Documento elaborato dalla scuola Media di Todi, Liceo “Jacopone da Todi”, Istituto Turistico “Einaudi” in occasione delle “Giornate FAI di primavera 2018″
Opuscolo a cura del MONASTERO SAN FRANCESCO – TODI PG – marzo 2018

http://www.viaggispirituali.it/2011/09/monastero-di-san-francesco-todi-perugia/

 

Nota di ringraziamento

Si ringrazia la Diocesi di Orvieto-Todi per la disponibilità e per aver concesso le autorizzazione alla pubblicazione.
 

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