Palazzo Massi – Mauri – Montalto delle Marche (AP)

Cenni Storici

Attività “borghesi” della nobiltà picena nell’ottocento: il pistrino della famiglia Massi Mauri a Montalto Marche
di Olimpia Gobbi

Di origine ripana, la famiglia Massi Mauri è aggregata alla nobiltà montaltese solo nel 1771. La proprietà e la residenza nel cinquecentesco palazzo appartenuto ai Peretti, tuttavia, ne sanciscono, simbolicamente e verso l’esterno, il prestigio, mentre la consistente proprietà terriera e la politica matrimoniale d’imparentamento con illustri famiglie sia ascolane (Alvitreti) che montaltesi (Mignucci) ne garantiscono l’organicità alla nobiltà locale e l’ascesa agli alti gradi della struttura politico-amministrativa, civile ed ecclesiastica. Nel primo decennio postunitario il ruolo sociale della famiglia si consolida anche dal punto di vista economico per la costruzione, fra l’altro, nel 1867, quando l’unificazione del mercato nazionale stimola in tutta la regione nuove attività, di un frantoio da olio. È un’iniziativa segno d’intraprendenza “borghese”, non estranea ad altre casate picene e montaltesi anche di più antica nobiltà, quale, ad esempio, quella dei Sacconi che, nella seconda metà dell’Ottocento, s’impegna in un’attività di commercio di legname e, successivamente, nella conduzione di una cereria in Ascoli; tuttavia notevolmente eccentrica in una realtà fortemente conservatrice quale quella montaltese, in cui la rendita agraria è connotazione prima del vivere “more nobilium”. Le manifatture, infatti, come mostrano le tabelle allegate, sono presenze rare nei centri piceni dell’Ottocento, specie in quelli più marginali dell’area centro-meridionale. La lavorazione e la trasformazione dei prodotti avviene per lo più nelle campagne, in cui le famiglie contadine costituiscono i nuclei dispersi di una produzione diffusa, luoghi di “pluriattività” dove si fila, si tesse, s’intrecciano cesti e cappelli di paglia etc. non solo per l’autoconsumo ma anche per il mercato locale. L’iniziativa dei Massi Mauri appare, dunque, rilevante perché introduce, invece, elementi di dinamismo proprio nel lento tessuto economico urbano; essi ubicano, infatti, nelle cantine del loro palazzo, in pieno centro cittadino, il nuovo opificio (che, peraltro, la fine sensibilità culturale degli eredi ha conservato intatto ed un progetto della sezione montaltese dell’Archeoclub mira a rendere fruibile al pubblico) ed inoltre attingono alla manodopera locale sia per la costruzione che per il funzionamento di esso, affidando solo la direzione della molitura ad un esperto pistrinaro di Ascoli. La costruzione dell’impianto richiederebbe un investimento non inferiore a 2500 lire; i Massi Mauri riescono, invece, a contenere la spesa viva a 1453 lire, da una parte utilizzando materiale di recupero, fra cui anche la macina rinvenuta nel fosso detto della Troia, fatta dissotterrare e riadattare da scalpellini ascolani, dall’altra attingendo alla produzione agraria di famiglia sia per il legname che per il vitto ed il pagamento degli artigiani ed operai, talvolta ricompensati con granoturco, nocchia etc. La terra e la sua rendita costituiscono, infatti, l’ottica economica entro cui si muove la nuova attività dei Massi Mauri, non solo perché essa resta la risorsa base, predominante e caratterizzante lo status economico familiare, e perché il pistrino è manifattura antica di trasformazione di un prodotto agricolo, ma anche e soprattutto perché la nuova attività è tenuta completamente fuori da ogni attenzione ai problemi tecnico-produttivi e di mercato. I tre libri Della macinazione dell’oliva, anch’essi perfettamente conservati nell’archivio di famiglia e meritevoli di uno studio più analitico ed attento, costituiscono un vero e proprio “diario di fabbrica” dal quale risulta che dal 1867 al 1904, anno di chiusura dell’opificio, si compiono solo lavori di ordinaria manutenzione e mai d’ammodernamento, e soprattutto che la produzione neppure tenta di sganciarsi dall’angusto mercato locale. L’attività, infatti, che pure garantisce alla famiglia utili superiori anche alle 1000 lire annue, consiste nella macinazione, dietro pagamento in denaro, di piccole partite d’oliva dei contadini del luogo, nonché nella vendita a privati, in piccole o piccolissime quantità, sia di olio che dei residui della lavorazione, in particolare nocchia da ardere o da sapone. È per questo carattere tutto organico alla mentalità ed alla struttura rurale dell’economia montaltese che il pistrino dei Massi Mauri, seppure opificio cittadino, è in realtà semplice appendice dell’attività agricola della famiglia e dell’intera comunità locale, per nulla capace di incidere in senso innovativo sugli equilibri economico-sociali, preindustriali e da ancien regime, che la caratterizzano per tutto l’Ottocento ed oltre.

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Biografie – Documenti

Francesco Saverio Massi Mauri (1848-1922)
Figlio primogenito di Giacomo Massi Mauri, ha scelto la carriera ecclesiastica. E stato canonico della Cattedrale di Montalto dal 1890. Alla morte, lasciò i suoi beni ai nipoti Giacomo e Renato, tranne i libri della biblioteca di famiglia ed il soffitto in legno intagliato della sala da pranzo del palazzo, lasciati rispettivamente al vescovo ed al comune di Montalto; per fortuna, entrambi non accettarono l’eredità.

Gaetano Massi Mauri (1855-1931)
Figlio di Giacomo Massi Mauri, scelse anche lui la carriera ecclesiastica. Ordinato sacerdote nel 1878. Alla morte, lasciò i suoi beni ai nipoti Giacomo e Renato.

Giacomo Massi Mauri (1897-1968)
Figlio primogenito di Aristide, è stato il primo Massi Mauri a lasciare Montalto per ragioni di lavoro. Si è diplomato all’Istituto Tecnico Commerciale di Ascoli nel 1916. Ha fatto il servizio militare dal 1916 al 1919, partecipando, in qualità di tenente del genio comunicazioni, alla prima guerra mondiale e all’impresa dannunziana di Fiume. La sua attività lavorativa si è svolta prima presso l’Anonima Infortuni di Milano dal 1921 al 1924, poi presso il Credito Adriatico dal 1924 al 1932, come direttore delle sedi di Petritoli, Città Santangelo, Torre de’ Passeri, Teramo e San Benedetto, e infine alla Centrale del latte di Monza dal 1935 al 1964, prima come responsabile amministrativo e poi come direttore. E stato nominato Cavaliere nel 1933 e Grand’Ufficiale nel 1946. Sposato nel 1927 con Margherita Giardinieri (n. 1901) di Osimo, ha avuto un solo figlio, Marcello (n. 1931).

Renato Massi Mauri (1904-1965)
Figlio di Aristide Massi Mauri, non si è sposato e non ha avuto figli. Si è diplomato alla scuola tecnica di Fermo come perito elettrotecnico nel 1922. Ha svolto il servizio militare dal 1924 al 1926. Ha svolto la sua attività lavorativa nell’AGIP dal 1931 al 1964, come tecnico della prospezione geofisica.

Palazzo Massi Mauri (casa dei Peretti)
L’odierno palazzo Massi Mauri non appartenne propriamente come si è creduto ai Peretti, ma alla famiglia Morelli affini e Sisto V, Il confronto fatto fra gli stemmi ivi esistenti (un moro) e quello sepolcrale di Mons. Lelio Morelli a Capaccio (Salerno) tolgono ogni dubbio. Detto palazzo fu venduto dai Morelli ad Andrea Silvestri nel 1614 (Antonelli Antonio, pag. 128) e passò poi alla famiglia Massi. 1619 – 15 sett. “Actum in domo Franceschini sita in qu(?) platea iuxta domum illmi Andree Silvestri ab uno latere et ab aliis vicis publicis”
(Testamento di Imperia Silvestri atti di Ludovico Vittorucci)

On. Signore.
L’interesse della S.V. On. mostrato per la casa di Sisto V e le gentili espressioni a mio riguardo contenute nella cartolina diretta al collega Can. Massi Mauri, mi inducono, come di dovere, a ringraziarla sentitamente e a darle qualche notizia in proposito. Più volte mi ero domandato quale fosse stata la casa di Sisto V e di Donna Camilla a Montalto. Il canonico Massi Mauri mostrava nel suo antico palazzo un soffitto con degli stemmi. Era un indizio e niente più. Nel 1867 venne lo storico De Hùbner e nessuno gli seppe dir nulla: nel 1890, centenario della morte di Sisto V, il Can. Massi Mauri eresse un semibusto al Pontefice nella parte boreale del suo palazzo senza peraltro accennare che quella era stata la dimora del Pontefice. Io poi nelle ricerche d’archivio, avevo trovato in molti atti notarili che la casa del Cardinal Montalto stava in “platea communitatis”. Ostacolo per me insormontabile: il palazzo Massi, pensavo io, non si trova in piazza Umberto I dove sta il Comune. Di fronte a questo fatto qualunque tradizione a favore di quel palazzo (da uno sconosciuto) non mi avrebbe mai fatto pensare. Pochi mesi fa però scoprii che il Comune si trovava nel ‘500 e ‘600 nell’odierno Teatro della Rocca confinante col palazzo (dove VEcc. Vostra è certamente stato). Domandando ho saputo che lo spazio vicino al teatro e davanti alla casa Massi era chiamato anticamente Piazzetta come ho avuto confermato da una diffida del 1601. Ogni dubbio è stato tolto: quella era sicuramente la casa che io cercavo. In quel palazzo erano stati Camilla e fra Felice: Actum in domo Camillae in platea communitatis iuxta sua notissima latera. Actum in domo Illmi e R.mi Dhi in platea Communis iuxte sua etc. Gli stemmi hanno tutto il loro valore. Nella speranza che Ella vorrà gradire queste notizie e affrettando col desiderio la sua venuta a Montalto per avere l’onore di vederla e conoscerla personalmente non avendo potuto altre volte né qui né a Roma, mi confermo della S.V. Aggiungo, e questo ancora non l’ho fatto al Can. Massi Mauri, che non era questa la casa paterna e più umile dei Peretti essendo stata acquistata nel 1566 con un contratto di permuta perché trovo che in quest’anno il Vescovo Felice Peretti dà tre fiorini a Mattei, l’antico proprietario. “Pro ultima solutione additionis domus suae commutatae cum Dominibus Camillae et Mariae Felici.”
 

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