Pieve di Canoscio – Città di Castello (PG)

E’ una delle più belle chiese di Città di Castello e poco conosciuta perché la sua visibilità è sminuita dal Santuario omonimo che è a poche decine di metri e che è frequentatissimo.

 

Cenni storici

La Pieve, intitolata ai santi Cosma e Damiano medici orientali martiri sotto Diocleziano, sorge lungo la strada che conduce all’omonimo Santuario.
L’attuale costruzione risale al XII – XIII secolo e pare che essa sorgeva all’interno del forte di un castello, il castello di Canoscio appunto, il cui signorotto probabilmente caduto in disgrazia per screzi con il comune, fu privato del possesso che passò anche in mano ai Vitelli ed, in seguito, ad altre famiglie.
Essa sorge nel sito di un precedente luogo di culto di epoca paleocristiana (II-VI sec. d.c.) e si trova in un area di particolare interesse archeologico come testimoniano i numerosi rinvenimenti di reperti etruschi. Lo studioso Ascani ci dice che la chiesa, già in epoca romana, fu subito costruita come Pieve probabilmente perché la popolazione qui insediata era numerosa e ciò meritò la costruzione di una chiesa primaziale, chiesa matrice delle altre limitrofe, cioè unica ad avere un fonte battesimale per i neofiti.
Per attestare il rilievo che aveva il luogo di culto, possiamo riferirci al ritrovamento in zona nel 1935 del Tesoro eucaristico di Canoscio (V-V1 sec. ?) attualmente custodito nel Museo del Duomo Città di Castello, probabilmente derivato dall’interno della Pieve da dove fu sottratto probabilmente per essere messo in salvo dalle ruberie e poi dimenticato.
Nel 1935 un colono intento a lavorare un campo presso il cimitero di Canoscio, colpì con l’aratro una lastra di pietra e sollevatala vi trovò numerosi oggetti con segni di incomprensibili iscrizioni che si spartì con altra gente del luogo.
Ammalatosi e temendo che la malattia fosse dipesa dal suo trafugamento (come racconta Ascani), riferì l’accaduto all’arciprete che vi trovò oggetti di culto d’età romano- cristiana importanti per attestare una fiorente comunità cristiana presente nel luogo fin dal VI sec. d.C.
 

Aspetto esterno

L’edificio è in stile romanico, con una muratura in conci di pietra arenaria e la facciata ornata da un piccolo rosone e da un campanile a vela con bifora.
 

Interno

L’interno si presenta a una sola navata con abside semicircolare e soffitto a capriate lignee.
Agli inizi del Novecento l’edificio è stato ripristinato nelle sue forme originarie dall’arciprete don Giuseppe Lignani, sotto la direzione dell’architetto Giuseppe Castellucci a cui si devono il fonte battesimale sulla sinistra all’ingresso e il recinto che separa la navata dall’altare.
Al 2014 risalgono gli ultimi interventi effettuati dal restauratore Giuliano Guerri che hanno riportato alla luce gli affreschi tardogotici databili tra XIV e il XV secolo e altri di epoca successiva.
 
 
 

PARETE DESTRA

Al centro della parete spicca l’immagine Madonna della Misericordia con ai lati san Pietro e san Michele Arcangelo( che guida nella battaglia e che ha ucciso il drago -demonio- ed è invocato per la buona morte) (a sinistra) e i santi Cosma e Damiano (a destra) cui è dedicata la Pieve con ai piedi i membri della confraternita omonima riconoscibili perché ritratti in atteggiamento penitente vestiti di sacco.
L’affresco è datato 1348 grazie ad un’iscrizione che corre al di sotto.
Secondo la critica, sembra essere una delle prime e forse la più antica Immagine che raffigura la Misericordia di Maria, e viene considerata un prototipo per la parte centrale del Polittico della Misericordia di Piero della Francesca conservato al Museo Civico di Sansepolcro.
Separa questa zona dalla sottostante un’iscrizione in cui possiamo leggere: M. CCC. XLVIII MES NOVEMBER DI XXX HOC OPUS FECIT FIERI MAFFEI MARSI ….. PRIORI ET IOA . MUGIUS SOPRIORI FRATERNITATIS S. COSMA ET S. DAMIANI MARTIRI (Il 30 novembre 1348 quest’opera fu fatta fare da Maffeo Marsi priore e da Giovanni Mugio sotto-priore della Fraternita dei Santi Cosma e Damino Martiri. )
L’immagine e la scritta ci rimanda ad una data significativa ricordandoci i terribili anni in cui, come ha magistralmente suggellato Boccaccio con il suo Decameron, la penisola era sconvolta dalla peste.
Allo stesso ciclo della Madonna con santi, realizzato da artisti di area senese, appartiene parte della fascia sottostante raffigurante i santi Antonio Abate, Domenico, e un altro santo francescano (riconoscibile poiché indossa il saio marrone) realizzati da un artista della cerchia di quelli che lavorarono nella chiesa di Santa Maria di Passerina vicino Lama.
Da notare che in entrambi i casi, oltre allo spiccato realismo dei volti, la tecnica dell’esecuzione dell’aureola e lo stampo utilizzato sono i medesimi.
La chiesa divenne ben presto chiesa votiva e ciò si può osservare dalla realizzazione degli affreschi, raffigurazioni votive, fatte rappresentare da persone che chiedevano l’intercessione dei santi per essere guariti dalle malattie da cui erano stati colpiti e, una volta ottenuta la grazia, ne lasciavano memoria con le pitture( ex voto).
Ciò ci può spiegare la scelta di Cosma e Damiano spesso invocati in momenti di pubblica calamità, e di S. Sebastiano ( sul lato destro della controfacciata), di frequente associato ai due fratelli, poiché secondo la tradizione era stato miracolosamente guarito dagli angeli nelle sue piaghe.
Anche se gli affreschi risalgono storicamente ad un’epoca in cui prevaleva come arte ufficiale lo stile bizantino, l’area umbra vide il prevalere dello stile nato nell’area toscana, influenzata dallo stile giottesco, e subentrato nella nostra zona per la vicinanza con Cortona da cui verrà a noi l’esperienza di Signorelli.
Racconta il Magherini nella sua Storia di città di castello che verso la fine del 1390 il comune chiamò in patria tutti i pittori e gli artisti banditi e confinati assolvendoli da ogni pena poiché la loro opera era necessaria e sappiamo che spesso tali pittori cacciati trovarono ospitalità proprio in area senese: ciò proverebbe l’influenza artistica rinvenuta nella pieve.
In un secondo momento è stato realizzato l’affresco raffigurante la Madonna del Latte e alla sua destra i santi Antonio Abate e due santi che sembrano essere Florido e Amanzio, protettori di Città di Castello.
Contribuisce a datare ad un momento successivo l’affresco la fascia decorativa rossa e gialla che incornicia queste figure e la tecnica d’esecuzione dell’aureola per la quale viene utilizzato uno stampo con gigli e non a raggiera.
Proseguendo verso l’abside, compare due volte raffigurato San Cristoforo (‘400 e ‘500), un Battesimo di Cristo (‘500), di nuovo sant’Antonio Abate e un’Annunciazione.
Alla stessa fase in cui venne realizzata l’Annunciazione con sant’Antonio Abate, dovrebbe appartenere il frammento raffigurante la Processione dei Bianchi in alto a sinistra.
Si tratta di uno dei rarissimi casi, in Alta Valle del Tevere (oltre a questo è noto solo il frammento nel parlatorio del monastero di Santa Cecilia a Città di Castello) in cui cono rappresentati i membri di questa compagnia, presenti soprattutto nel sud dell’Umbria.
In basso, sono conservati in stato frammentario ma riconoscibili un san Bartolomeo e una santa Lucia.
Intorno alla prima metà del Quattrocento venne poi realizzato l’affresco che raffigura la Madonna in trono con Bambino e i santi tra cui si riconoscono sant’Antonio a sinistra e san Giovanni Battista a destra.
Sopra di esso fu dipinto alla fine del Cinquecento lo stemma Vitelli (mezzaluna Con scacchiera su fondo blu) – Savelli (leoni rossi rampanti raffrontati e bande rosse e bianche).
La presenza di questi due stemmi si giustifica con l’interpretazione che già ai primi del secolo i Vitelli avevano il giuspatronato della Pieve nel momento in cui era vescovo Giulio di Niccolò pater patriae Vitelli (Muzzi, Memorie ecclesiastiche di Città di Castello, vol. III, p. 52).
Lo stemma che oggi vediamo mole però ad un momento successivo e probabilmente celebra l’unione fra la famiglia Vitelli e Savelli.
L’iscrizione a corredo è troppo danneggiata per datarlo ma sappiamo che Paolo di Niccolò Vitelli, bisnipote di Niccolò pater patriae sposò intorno al 1545 Clelia Savelli di nobile famiglia romana.
Le due famiglie si unirono una seconda volta dieci anni dopo in occasione del matrimonio di Giovan Vincenzo, di cui Paolo era zio, con Virginia Savelli.
Osservando attentamente gli affreschi si può notare una certa stratificazione: essa è segno del fatto che gli ex voto venivano rappresentati anche uno sopra l’altro.
Le pitture sono anonime perché il loro fine era quello votivo.
 
 
 

ABSIDE E TIMPANO

L’abside è stata anch’essa decorata in momenti successivi, gli affreschi sono frammentari e in molti casi sono riemerse le sinopie.
Nel catino absidale è dipinta ad affresco in alto una Crocifissione con ai lati quattro figure di santi invocati anche per il loro potere taumaturgico.
A sinistra un santo vestito da soldato romano tiene in mano dei polmoni e accanto a lui un altro santo ha in mano un coltello, a destra sono rappresentati san Pietro e, forse, san Paolo.
Nella fascia inferiore sono dipinti all’interno di finte nicchie: san Michele Arcangelo con la bilancia nell’atto di pesare le anime, sant’Antonio Abate e un altro santo con ai lati le figure dei due committenti.
A destra sono poi raffigurati un santo Pellegrino, un san Sebastiano e un santo togato con in mano dei polmoni.
Ad una mano diversa appartiene il sant’Antonio Abate sulla parete destra.
Il timpano raffigura in stato frammentario un Gesù Cristo circondato da angeli e, al di sotto, una finta architettura doveva rappresentare un’Annunciazione, come si vede dal frammento del leggio a destra, poi danneggiata dall’apertura delle due finestre.
Sotto questo ciclo, era stato dipinto in un momento antecedente un Giudizio Universale del quale rimane il frammento con i dannati a destra ( a monito della giustizia divina).
 
 
 

ALTARE E ICONOSTASI

La pietra che regge l’altare rivela, secondo alcuni, tracce della scuola cosmatesca cioè della scuola dei marmorari romani detti Cosmati ( la scuola cosmatesca si divideva in tre rami: quella di Paolo (1100-1180), quella di Lorenzo e quella di Raineiro che si spinse in Umbria e vi lasciò tracce – Giovagnoli pag. 24), tuttavia è importante il fatto che ci siano tracce che attestino un certo livello scultoreo.
 
 
 

PARETE SINISTRA

Partendo dall’abside verso la controfacciata sono presenti numerosi affreschi, in gran parte votivi, realizzati in periodi differenti.
Il primo che si incontra è un san Cristoforo con ai piedi il Bambino in fasce che indossa una collana di corallo, prefigurazione del martirio.
Segue un riquadro raffigurante una Madonna con il Bambino e santi Paolo (riconoscibile perché ha il libro e la spada) , a sinistra nell’atto di scrivere gli Atti degli Apostoli, e san Pietro ( oltre alle chiavi ha altri simboli noti, ovvero il gallo ed il libro) con in mano le chiavi e mentre porge al Bambino tre spighe simbolo della trinità.
Accanto è rappresentata la Trinità tricefala.
Il soggetto, le cui rappresentazioni giunte sino a noi sono molto rare, fu utilizzato a partire dal XII secolo soprattutto in Italia Centrale.
Con il Concilio di Trento questa iconografia fu osteggiata dalla Chiesa Cattolica viste anche la sua affinità con la raffigurazione pagana della Prudenza.
Nel 1628 la raffigurazione della Trinità tricefala fu definitivamente condannata da papa Urbano VIII e molte rappresentazioni di questo tipo furono distrutte.
Probabilmente Canoscio sfuggì al bando papale perché periferica oppure, essendo gli affreschi molto danneggiati o coperti da altre decorazioni, questi non erano ben visibili nel Seicento.
Segue, un sant’Antonio Abate.
La decorazione prosegue con affreschi frammentari raffiguranti un santo domenicano all’interno di una nicchia che pare speculare al san Cristoforo ( che tiene sulle spalle il Cristo Bambino ed ha in mano il bastone che germoglia, protettore dei viaggiatori) nella parete di fronte una santa Caterina di Alessandria.
(riconoscibile per la ruota, che a volte era accompagnata dalla palma e da una spada, ed era invoca a protezione di balie e nutrici) e un altro santo.
Sopra questi affreschi nel 1876 Elia Volpi eseguì la sua prima opera pittorica: la Madonna del Carmine; si tratta di una Madonna rappresentata dì tre quarti su un paesaggio collinare aperto.
Più noto come antiquario e abile collezionista, a Volpi si deve il restauro e la restituzione ai tifernati di Palazzo Vitelli alla Cannoniera attuale sede della Pinacoteca Comunale.
Nipote di don Francesco Volpi, arciprete della Pieve di Canoscio, venne affidato giovanissimo allo zio nel momento di massimo fermento artistico quando, infatti, si stava procedendo alla costruzione del Santuario sulla cima della collina.
La sua Madonna del Carmine di chiara impronta purista, si sovrappone ad una flagellazione, forse un Martirio di san Sebastiano, di cui sono emersi i frammenti dei calzari degli arcieri, vestiti in abiti moderni del Quattrocento secondo l’esempio di Luca Signorelli conservato nella Pinacoteca Comunale di Città di Castello.
La decorazione prosegue frammentaria con una Madonna in trono con Bambino e a fianco una santa dalla ricca veste decorata e, in alto, un riquadro raffigurante santa Barbara ( riconoscibile dalla palma del martirio e dalla torre a tre finestre, santa che veniva invocata da quanti temevano una morte improvvisa).
 
 
 

CONTROFACCIATA

A sinistra sono affrescati tre san Sebastiano con, in un caso, la figura del committente a lato.
I dipinti non sono di notevole qualità ma denotano l’attenzione al culto di questo santo nell’area, invocato contro la peste, e la pratica di far realizzare negli edifici religiosi degli affreschi votivi da parte dei committenti, non curandosi di realizzare un ciclo decorativo unitario ma spesso ricorrendo agli stessi soggetti a seconda delle necessità del committente.
A destra una particolare scena dall’iconografia ancora discussa sembra raffigurare Gesù e Maria mentre contemplano e il Gesù in fasce.
 

Storia dei SS. Cosma e Damiano

Sulla vita di Cosma e Damiano le notizie sono scarse.
Si sa che erano gemelli e cristiani e che, nati in Arabia, si dedicarono alla cura dei malati dopo aver studiato l’arte medica in Siria.
Spinti da un’ispirazione superiore, non si facevano pagare e da qui venne il soprannome di anàrgiri (termine greco che significa “senza argento”, “senza denaro”).
Ma questa attenzione ai malati era anche uno strumento efficacissimo di apostolato e costò la vita ai due fratelli, che vennero martirizzati.
Durante il regno dell’imperatore Diocleziano, forse nel 303, il governatore romano a Ciro, città vicina ad Antiochia di Siria, li fece decapitare.
Un’altra narrazione attesta invece che furono uccisi a Egea di Cilicia in Asia Minore, per ordine del governatore Lisia, e poi traslati a Ciro.
Il culto di Cosma e Damiano è attestato come certezza fin dal V secolo.
Già poco tempo dopo la morte è databile la dedicazione di chiese e monasteri a Costantinopoli, in Asia Minore, in Bulgaria, in Grecia, a Gerusalemme.
La loro fama è giunta rapida in Occidente, partendo da Roma, con l’oratorio dedicato loro da papa Simmaco (498- 514) e con la basilica voluta da Felice IV (526-530), dopo che l’Imperatore Giustiniano, malato mortalmente e rivoltosi ai santi, ebbe la guarigione.
 

Festa della Pieve

La ricorrenza della festività dei SS. Cosma e Damiano ricorre il 26 settembre, data in cui la Pieve si addobba a festa con la partecipazione di numerosi fedeli.
 

Fonti documentative

Testi a cura degli alunni del Liceo “Plinio il Giovane” elaborati in occasione delle Giornate FAI di Primavera 2017 che ringrazio sentitamente insieme alle loro insegnanti per la professionalità e disponibilità.
 

Da vedere nella zona

Abbazia di Uselle infra Montes – San Giustino
Chiesa di Santa Maria di Passerina – Lama
Mulino medievale Renzetti – San Giustino
 

Mappa

Link alle coordinate

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>