Abbazia di Santa Maria Assunta – Valfabbrica (PG)

L’abbazia si trova in un territorio di confine fra le tre città dell’alta Umbria, tutte facilmente raggiungibili da quest’oasi naturale adagiata sulle colline coperte di verde e di boschi. La stessa si trova sul tracciato del Sentiero francescano, si tratta dell’antico itinerario seguito da San Francesco nel 1207 per raggiungere Gubbio, dopo aver lasciato Assisi e abbandonato le ricchezze del padre Bernardone, e proprio qui fu ospitato.

 

Cenni Storici

La chiesa di Santa Maria Assunta, detta anche Pieve di S. Maria, sorge in località Badia ed è ciò che resta dell’antico monastero di S. Maria in “Vallis Fabrica“, uno dei più antichi e importanti cenobi dell’Umbria fondato dai benedettini in epoca carolingia.
Quando si insediarono in quest’area paludosa e boschiva quasi invivibile, i benedettini provvidero ad effettuare opere di bonifica, vista la loro provata esperienza e conoscenza dal punto di vista idraulico, ma soprattutto ligi alla regola dell’Ora et Labora che gli permetteva di pregare e lavorare.
Dopo aver edificato il cenobio i benedettini iniziarono la bonifica della valle che impegnò un arco di tempo che va dal 1100 al 1130.
L’Abbazia fu fondata certamente prima dell’anno mille, ma un primo documento che ne attesta l’esistenza proviene dall’Archivio della Cattedrale di S. Rufino di Assisi; tratta della concessione di un terreno, fatta nell’anno 1101 al priore Leto della chiesa di S. Rufino da parte di Andrea monaco del monastero di S. Maria di Valfabbrica.
Discutibile è un Diploma precedente (non originale, ma solo una copia sincrona) emanato da Ludovico il Pio, figlio di Carlo Magno salito al trono alla morte del padre del 8 dicembre dell’anno 820, pergamena travata fra le buste di Nonantola, da Mons. Pio Cenci, archivista dell’Archivio Segreto Vaticano in cui concede protezione all’abate Cristiano del monastero di S. Maria di Valfabbrica ed ai suoi successori nonché la conferma dei benefici e dei possedimenti già goduti dal monaci di eleggersi i propri abbati, senza ingerenza alcuna da parte di qualsiasi autorità, sia civile che ecclesiastica.
Questo di fatto sarebbe il primo documento che attesta l’esistenza dell’Abbazia prima dell’anno mille, diversi studiosi però hanno sollevato dubbi e perplessità sulla sua autenticità e recentemente è stato dimostrato che si tratta di un falso.
Un primo documento del 1088 la cita come possedimento dell’Abbazia di Nonantola.
Altra data importante è il 1168 quando papa Alessandro III in una bolla cita l’Abbazia benedettina di Valfabbrica “Cellam S. Maria in Fabrica” quale possesso di Nonantola.
Successivamente un altro papa Celestino III nel 1191, in un’altra bolla, riferendosi a questo cenobio dice: “Ecclesiam Santa Maria in Vallis Fabrica cum castellis et omnibus ecclesiis et pertinentiis suis“, quindi si scopre che già a quel tempo i possedimenti dell’Abbazia erano importanti considerando che questa era l’unica struttura presente a Valfabbrica in quanto in quel periodo il castello ancora non era stato ancora edificato.
Questo intervento papale del 1191 si rese necessario perché qualche anno prima, nel 1177 ci furono avvenimenti che sconvolsero la vita dell’Abbazia, infatti un abate di Nonantola, un certo Bonifacio che va a Roma a prendere l’investitura, tornando si ferma a Valfabbrica e si compera una scorta di trenta cavalieri spendendo una cifra esorbitante per quei tempi e per fare questo alienò gran parte dei beni dell’Abbazia rendendola misera da fiorente che era.
Di questo indebolimento approfittarono i Conti Suppolini di Giomici che usurparono e si impossessarono dell’Abbazia e dei suoi beni; per mettere fine a questa malefatta intervenne direttamente l’Imperatore Federico Barbarossa in persona che ordina per iscritto (pergamena originale conservata a Nonantola) ai Suppolini di restituire all’Abbazia tutto quello che hanno usurpato.
In questo documento l’Imperatore afferma che l’Abbazia è in territorio Assisano, è pertinenza di Nonantola, che si trova a Valfabbrica “Ipsam Vallis Fabricam” (non c’è ancora il castello) e cita espressamente i luoghi da restituire e nello specifico all’Abbazia vanno restituiti “Castrum Casagaldi” (attuale frazione di Casa Castalda che era già castello), “Sancto Donato” (attuale frazione di San Donato) e “Porcile” riferito a Poggio San Dionisio (o Poggio del Priore anch’essa attualmente frazione di Valfabbrica) così chiamato all’epoca perché i benedettini vi tenevano grossi allevamenti di suini.
Dopo questi avvenimenti i benedettini pensarono bene di edificare il castello per avere una difesa più efficace e poter difendere anche tutta quella popolazione sparsa che era vulnerabile a qualsiasi scorribanda; il castello di Valfabbrica fu dunque edificato tra la fine del sec. XII e l’inizio del XIII sec.
Schieratosi dalla parte dei guelfi assisiani, nella guerra che essi condussero contro i ghibellini di Perugia dal 1198 al 1209, il monastero risentì gravemente della disfatta che questi ultimi inflissero alla città di san Francesco nel 1202, anche perché molti signori della zona ambivano ad appropriarsi delle sue terre e possedimenti.
Pochi anni dopo, i ghibellini rientrarono ad Assisi e sia Valfabbrica che l’Abbazia fecero atto di sottomissione alla città entrando nella sua sfera d’influenza; infatti il Priore giura fedeltà ad Assisi nel 1205.
Il caso che fece scoppiare la scintilla fu che nel 1209 il priore dell’Abbazia di Santa Maria cercò di sottomettere a Valfabbrica alcuni castelli limitrofi di proprietà di feudatari perugini.
Questo portò ad una grave ritorsione da parte di Perugia che rase completamente al suolo l’intero borgo con l’intento che non fosse più ricostruito; in quest’altro caso il Priore “Ugo” fu condotto a Perugia dove venne costretto, mediante la sottoscrizione di un pubblico atto, a sottomettersi ai perugini e promettere sotto la pena di 500 marche d’argento, di non riedificarlo, né farlo da altri mai più riedificare.
Ma gli intraprendenti monaci rimasero invece mano alla ricostruzione del castello tanto che nel 1232 si trova la Balia con ben 75.
La decadenza che ne seguì venne a sommarsi con la cattiva amministrazione in cui da tempo esso versava a causa delle dissipazioni degli abati della casa madre.
Da questo momento in poi l’Abbazia visse un periodo di decadenza che la portò a sottomettersi alla giurisdizione del Monastero di Nonantola.
Nel 1259 si assiste ad uno scontro fra la città di Assisi e Nonantola per il possesso dell’Abbazia, il priorato passò sotto la diretta giurisdizione della Sede Apostolica.
Nel 1272 il cenobio subì un saccheggio da parte dell’abate Garzia del monastero di S. Vittore di Chiusi, e un certo Iacobutio di Coccorano ed a altri feudatari di Gubbio e Camerino, non si sa bene con quale pretesto, invadono le terre del priorato e lo stesso monastero, spogliandolo persino dei mobili e delle carte.
Ai primi del XIV secolo risultava essere tornato in floride condizioni, ma il perdurante conflitto tra Assisi e Perugia ne compromise ancora una volta le sorti.
Occupato dai perugini nel 1339, con una sedizione interna che portò i monaci a staccarsi da Nonantola, ad appoggiare gli occupanti e a non riconoscere l’autorità ufficialmente nominata, nel 1344, ricondotti costoro all’obbedienza, fu con la forza (armata manu) rioccupato dal priore Simone che si avvalse dell’aiuto di parecchi nobili del luogo.
Nel 1359, Santa Sede, vista la pessima amministrazione da parte dei monaci, ordina la cessazione dell’attività monastica e venne dato in commenda; il monastero non esisteva più ma restò la chiesa per altri sette secoli come chiesa parrocchiale di Valfabbrica.
Nel 1496 tuttavia il castello di Valfabbrica chiese ed ottenne la protezione del duca di Montefeltro Guidobaldo I e da quel momento in poi entrò a far parte del Ducato di Urbino fino al 1631.
Il 20 settembre del 1544 venne emessa dal pontefice Paolo III la Bolla con la quale veniva definitivamente sanzionata l’unione del suddetto monastero alla mensa capitolare di Assisi.
In questa bolla non si fa menzione della badia di Nonantola; questo fa supporre che a quella data i monaci di Nonantola avevano perduto da tempo ogni influenza diretta o indiretta sul monastero di Valfabbrica.
Nel 1632, il Ducato di Urbino si estingue ed i territori passarono allo Stato della Chiesa ivi compresa Valfabbrica.
L’ultima notizia di rilievo risale al 1741, quando venne nominato un parroco per la cura delle anime.
In una lapide datata 1250, proveniente dall’antica chiesa e un tempo conservata presso la canonica della nuova chiesa parrocchiale al centro del paese, era scritto:
A.D. MCCL. OBIT FEDERICUS HAEC FACTA TEMPORE DOMINI GREGORI PRIORIS
dove si dice che Gregorio vescovo dell’Assisano con questa lapide ricorda la morte di Federico II di Svevia nipote di Federico Barbarossa; da qualche anno questa lapide non si trova più.
E’ da tenere presente che la data riportata nell’iscrizione suddetta, non va scambiata con quella della
fondazione della chiesa, assai più antica.
Dal 1960 la chiesa viene officiata solo in determinate festività.
 

Aspetto esterno

L’intero complesso monasteriale era completamente cinto da mura di difesa.
La struttura abbaziale era molto più ampia di come la vediamo oggi, infatti sia a destra che a sinistra della facciata della chiesa correva un muro alto più di tre metri che, a destra delimitava l’area del chiostro perimetrando quello che attualmente è un orto e si ricollegava all’area conventuale, a sinistra delimitava uno spazio riservato alle sepolture.
Le tumulazioni, che all’inizio venivano fatte fuori, dalla metà del 600 furono portate sotto il pavimento della chiesa che era stato rialzato, fino al decreto napoleoniche che impose un’area cimiteriale esterna.
La porta di accesso al cenobio era posizionata nella parete sud con i cardini fissati alla parete dove tutt’ora si vedono.
Il pozzo del chiostro è incredibilmente rimasto tale e quale al suo posto come rappresentato da una Mappa del Catasto Gregoriano (fine 700).
Sul campanile a vela è posizionata una campana medievale originale che presenta le scritte delle “Laudes Regiae
Del monastero originario rimane ben poco.
Molte strutture sono state adattate ad abitazioni private e il portico è stato demolito.
La facciata, rifatta completamente nel 1898 e “movimentata solamente da un’alternanza ritmata di fasce in pietra serena con strisce in pietra rosa del Subasio” (Conti), ha un semplice rosone ricostruito e tetto a capanna.
Gli edifici monastici adiacenti sono stati adattati a civili abitazioni.
 

Interno

La chiesa, ora in buone condizioni grazie ai restauri del 1949, degli anni 80 e primi anni 2000, ha una forma rettangolare con una parete d’altare liscia ma che un tempo presentava un’abside semicircolare.
In origine la chiesa era più alta e con un piano di calpestio ribassato di almeno 1,50 metri circa con un presbiterio notevolmente rialzato.
L’abbassamento del presbiterio è dovuto ad un intervento del Vescovo di Assisi Tegrimo Tegrimi che nel 1633 durante la Visita Pastorale ordina di abbattere la “tribuna“.
All’interno la copertura è a capriate ed è a navata unica e doveva essere completamente affrescata almeno in tre registri; oggi è rimasto, seppur devastato in molte parti, solo il registro superiore.
Oltre all’incuria della conservazione, all’apertura di finestre che non ha tenuto conto delle opere che venivano distrutte, nell’ottocento si sono aggiunte apposizione di lastre tombali che hanno definitivamente dato il colpo di grazia alla distruzione degli affreschi.
Entrando subito a destra in controfacciata troviamo un’acquasantiera in pietra sistemata su un rocchio di colonna e nella parte destra a salire due lapidi hanno rovinato un affresco con San Giovanni Battista e un San Michele Arcangelo che con la bilancia pesa le anime.
Nel secondo specchio è rappresentato Sant’Antonio abate e a seguire forse l’affresco più bello e più significativo della chiesa il “Compianto sul Cristo Morto” del sec. XIII attribuito alla scuola di Cimabue.
L’opera esprime il dolore delle donne e dei presenti, inoltre Gesù ha un’espressione serena ed è deposto su un tessuto a rosso a quadri (a quel tempo non era stata ancora scoperta la sindone); seguono dei brandello di affresco illeggibili e una nicchia trilobata sostenuta da due colonne medievali che contiene una Maestà tra Santi e Angeli opera di anonimo umbro datata primi del ‘300.
In una nicchia successiva si trova un lavabo in pietra.
Il presbiterio è rialzato di tre gradini e all’interno di esso, sempre nella parete destra una Madonna in trono con il Bambino che tiene in mano un uccellino.
A questo punto della parete si apre una porta laterale medievale che immette nell’antico chiostro e su una pietra posta appena prima della piegatura dell’arco a sinistra c’è scritto: “Me fecit Ioannes 1272” cioè l’autore dell’arco che si è firmato.
Il quadro dell’altare non è originario di questa chiesa ma vi è stato portato, è una tela che rappresenta l’Immacolata fra San Crispino, Santa Lucia e San Crispignano opera della cerchia di Girolamo Martelli pittore seicentesco che ha lavorato anche in una cappellina della Basilica inferiore di San Francesco di Assisi.
San Crispino ha in mano una specie di ciotola contenente dei chiodi da scarpe e rappresenta la devozione della corporazione dei calzolai che erano presenti a Valfabbrica.
Nella parete sinistra all’interno del presbiterio ci sono brandelli di tre affreschi completamente rovinati ed illeggibili; scendendo nella navata si notano i resti di una Crocifissione completamente distrutta dall’apertura di una finestra, si nota solo la mano inchiodata del Cristo sulla Croce.
Accanto a questa si è salvata una Madonna del latte; sotto un brandello di affresco con una mezza testa di Santo.
Il resto della parete fono alla porta è completamente privo di affreschi.
 

San Francesco all’Abbazia di Valfabbrica

La presenza di San Francesco all’Abbazia di Valfabbrica, oltre che documentata, è scontata in quanto è posizionata sull’antico percorso medievale che da Assisi porta a Gubbio ed è appunto quello che San Francesco fece dopo la spoliazione dei beni del padre e andò a trovare il suo amico tal Federico Spadalonga che abitava a Gubbio ed era stato suo compagno d’armi.
Va notato che in realtà si chiamava “Spada” ma siccome in famiglia c’era un componente molto alto il nome fu cambiato in “Spadalonga” e tra l’altro questa famiglia fu quella che lo rivesti dal momento che lui aveva riconsegnato a suo padre tutti i beni nonché gli abiti e dopo che si era spogliato di tutto era partito con dei cenci rimediati; oltre a ciò questa famiglia donò al Comune di Gubbio il terreno dove fu poi costruita la chiesa di San Francesco.
Il percorso seguito da Francesco partiva da Assisi risaliva le colline, passava per Pieve San Nicolò ridiscendeva al Pioppo, attraversava Valfabbrica passando per l’Abbazia, risaliva per Coccorano e proseguiva per Gubbio.
Le difficoltà che il Santo incontrò in questo percorso sono abbondantemente documentate dal primo biografo che è Tommaso da Celano coetaneo di S. Francesco e fra queste ricordiamo che proprio alle porta di Valfabbrica in località “Il Pioppo” fu assalito, malmenato dai briganti e gettato nella neve (storia ampiamente descritta nel post del Pioppo); ma il viaggio di Francesco proseguì e cercò rifugio momentaneo presso l’Abbazia di Santa Maria Assunta.
Questa sosta fu necessaria non solo per trovare sollievo dopo le percosse subite ma anche perché nei pressi di questa Abbazia scorreva il fiume Chiascio che doveva essere obbligatoriamente attraversato per proseguire il viaggio.
Stando alla documentazione in nostro possesso è accertato che in quel tratto non esistevano ponti per l’attraversamento, ma l’unico punto in cui il Chiascio scorreva calmo con acque basse era proprio nei pressi dell’Abbazia dove esisteva un guado a servizio proprio dalla strada medievale per Gubbio.
E’ evidente che il monastero si trovava in posizione un pò più più elevata rispetto al fiume.
Ora le cronache raccontano che quando arrivò S. Francesco durante il periodo invernale, il fiume era gonfio di acque e il guado era impraticabile per cui il Santo fu costretto a chiedere ospitalità per qualche giorno in attesa che si fosse abbassato il livello del fiume per proseguire il suo cammino.
Il Fortini racconta che quando Francesco arrivò all’Abbazia sporco lacero, tumefatto e chiese ospitalità al priore che in quel caso era “Ugo” non fece una buona impressione tanto che in un primo momento non lo voleva far entrare considerandolo un soggetto poco di buono di cui bisognava fidarsi poco tanto che alla fine venne ospitato non senza malgarbo e diffidenza da parte dei frati dove gli veniva lesinato persino un tozzo di pane; per di più lo dovettero ospitare per diversi giorni visto che il fiume in piena impediva a chiunque di continuare il cammino e l’unico guado che era di fronte all’Abbazia era impraticabile.
Sempre il Fortini ci racconta che lo stesso Priore Ugo, anni dopo, quando San Francesco era diventato il personaggio che tutti noi conosciamo, andò di persona a chiedergli scusa per il trattamento che i frati e lui stesso gli avevano riservato.
Successivamente il Santo sarà sicuramente passato più volte in questa Abbazia in quanto recandosi alla Verna dove alla fine poi ricevette le stimmate doveva per forza passare qui.
Il fatto che l’unico modo di attraversare il Chiascio era il guado suddetto, è dimostrato anche dal fatto che non esistevano ponti nelle vicinanze in quegl’anni e non esisteva nemmeno quello della Barcaccia, a pochi chilometri; infatti esiste un documento del papa che nel 1291 ringrazia i Conti Bigazzini di Coccorano per la costruzione del ponte che quindi risulta essere successivo di oltre 80 anni dal passaggio di San Francesco.
Tutto ciò dimostra che l’Abbazia di Valfabbrica non solo è memoria storica del passaggio di San Francesco, ma ne rappresenta un nodo cruciale per l’attraversamento del Chiascio, nonché testimone di avvenimenti che confermano la presenza costante del Santo, nel bene e nel male, in questa terra.
 

Bibliografia

F. Guarino A. Melelli – Abbazie Benedettine in Umbria – 2008
G. Bensi – La Badia Benedettina di Santa Maria di Valfabbrica e il suo Castello – 1974
 

Mappa

Link coordinate: 43.163811 12.599597

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