Eremo di Montecasale – Sansepolcro (AR)

Bellissimo nel suo minimalismo e nella sua essenzialità come tutti gli eremi francescani; luogo in cui le pietre raccontano la presenza del Santo. Assolutamente da vedere insieme all’ambiente d’intorno.

 

Cenni Storici

Il santuario di Montecasale sorge su una delle prime colline dell’appennino umbro, prospicienti l’alta valle del Tevere.
La primitiva costruzione nacque sui resti dell’antica fortezza militare del vicino castello, edificato qualche secolo prima che avesse origine Borgo S. Sepolcro, e chiamato “Casale del torrente Arra”.
Gli ultimi signori di questo castello furono un certo Umbro, uomo fortissimo, e suo figlio Bofolco, da cui vennero i Bofolci, nobile famiglia biturgense.
Fondata la città, devono essere stati tra i primi a scendere per abitarvi, insieme a molti altri nobili di numerosi castelli che punteggiavano la valle di Nocea (toponomastica derivante dalla presenza di numerose piante di noci).
Si può fondatamente ritenere che il castello sia stato abbattuto nel 1187 insieme all’attigua fortezza.
Sui resti di questa, i frati Camaldolesi ottennero di poter costruire un piccolo eremo ed un ospizio per i pellegrini: di li, infatti, passava una “Via di romei”, della quale ancora oggi sono visibili alcuni tratti.
Non è chiara la trasformazione di questo eremo-ospizio in un “piccolo e povero Spedale”, avvenuta in poco più d’un ventennio.
I Camaldolesi, che avevano in Borgo S. Sepolcro una vasta abbazia, lo cedettero volentieri a San Francesco ed ai suoi frati.
Dopo la morte di San Francesco, tra gli anni 1255 e 1260 i frati minori, abbandonano l’eremo di Montecasale.
L’Ordine si era ingrandito e vivere come alle origini a molti sembrava impossibile: le abitudini erano diverse.
Nacque, in sintonia col momento storico, il bisogno di avere un convento in città, che meglio corrispondesse alle necessità dei frati e della loro vita apostolica.
Nel 1258 fu iniziata, in un’area donata dal comune del Borgo, fuori le mura, una nuova costruzione, che durò una decina di anni.
Dopo la morte di frate Angelo Tarlati avvenuta circa il 1268, secondo un manoscritto di Montecasale, l’eremo fu definitivamente abbandonato.
L’eremo però non restò del tutto incustodito, ma fu ben presto abitato da altri francescani.
Bartolomeo da Pisa, scrive nel 1385 che il “luogo lasciato dai frati, fu preso da certi penitenti del Terzo Ordine“.
Questa ipotesi è attendibile ed è fondata su un documento abbastanza probativo datato 13 giugno 1269, che “I frati Stefano e Giovanni si presentarono al Vescovo di Città di Castello, Niccolò, e a nome di un terzo frate, un certo frate Marco, similmente e devotamente chiesero di poter dimorare all’eremo di Montecasale, per servire in perpetuo all’altissimo Creatore”.
Il vescovo acconsentì con l’obbligo di pagare, ogni anno, un simbolico contributo d’una libbra di cera.
Anche P. Agostino da Stroncone, nell’anno 1268 nella sua cronaca umbra, sembra parlare di questa fraternità di Terziari, quando scrive: “Forse questo luogo (Montecasale) dopo la morte delli santi ladroni (1267) fu abbandonato dalli frati e questi che vi sono adesso o sono due romiti o due frati spirituali desiderosi di solitudine“.
Con questo cambiamento di personale trascorreranno più di due secoli e mezzo.
Nel 1531 la Comunità di Borgo S. Sepolcro, offrì l’eremo al nascente Ordine dei Cappuccini; il loro Vicario Generale, frate Ludovico da Fossombrone, vi mandò subito, come superiore, fra’ Luigi da Capranica.
L’arrivo dei Cappuccini avvenne con qualche difficoltà in quanto a Montecasale dimoravano ancora i Terziari Regolari, che, per quanto pochi, non sembravano molto disposti a venir via.
Sta di fatto che con la bolla “Esponi vobis” di Paolo III, del 1537, tutto il complesso dell’eremo, chiesa e bosco, passa definitivamente in uso ai Cappuccini.
Nel 1700 si ha il passaggio dell’eremo dalla comunità dei Cappuccini Umbri a quella dei Cappuccini Toscani.
Montecasale, politicamente, apparteneva alla Toscana e, nel 1784, il Granduca Pietro Leopoldo volle che i frati che lo abitavano appartenessero al medesimo Stato.
Senza difficoltà i Cappuccini Umbri cedettero il santuario ai confratelli Toscani.
Un capitolo di storia a parte, molto triste, è rappresentato dalle due soppressioni politiche avvenute nel 1810 e nel 1866.
Quella del 1810 fu ordinata da Napoleone Bonaparte.
Montecasale fu messo all’asta, venduto, e i Cappuccini invitati a sloggiare.
Per qualche anno, un frate vi restò a custodire il luogo santo, poi fu allontanato e, per un decennio, non rimase nessuno.
I Cappuccini vi ritorneranno, con l’assenso del Governo Toscano, nel 1830.
Durante la loro assenza il convento subì tutti i danni dell’abbandono e molti oggetti andarono perduti.
Una seconda soppressione ci fu nel 1866 con il decreto Cirielli che vendette ai privati i beni ecclesiastici.
I frati sono cacciati dall’eremo e le cose vengono messe all’asta.
Montecasale, ancora una volta si svuota, vi può rimanere un solo frate in qualità di usciere.
Nel 1872 viene effettuata l’asta pubblica e anche il cassiere viene estromesso e consegnate le chiavi al Demanio.
All’asta pubblica, il santuario e i suoi beni furono acquistati dal nobile fiorentino Giuseppe del Rosso, che, nel 1894, ne farà gratuita cessione ai Cappuccini, i quali, però, già da qualche anno vi erano rientrati.
 

Donazione di Montecasale a San Francesco

L’attività apostolica di San Francesco è prodigiosa, ha viaggiato moltissimo, in soli vent’anni ha visitato, da un capo all’altro, tutta l’Italia, ha varcato le Alpi, è sbarcato in Oriente e molto ha camminato a piedi.
Montecasale fu uno dei luoghi da lui prediletti.
Francesco amava l’orrida bellezza delle caverne di pietra nascoste tra i boschi di lecci e di quercie, creavano per lui una solitudine che più facilmente lo elevava a Dio.
Varie volte salì all’Eremo, che conobbe ancora prima della Verna, che si trova vicina.
Si suppone, come afferma lo storico Gerolamo Gherardi, che l’arrivo a Montecasale di San Francesco coincida con la predica che lo stesso fece nella chiesa di S. Giovanni a Borgo S. Sepolcro e che in tale occasione l’abate don Bartolomeo di Gherardo Guardi gli offrì il luogo abbandonato; ciò avvenne nell’anno 1212.
L’offerta trovò il favore di Francesco.
Contrario a ricevere o permettere costruzioni in muratura accettava località solitarie ed edifici poveri.
Montecasale raggruppava qualche celletta, una cappella: il resto era adibito ad ospitare malati e pellegrini; gli piacque e lo accettò.
Il vescovo Giovanni, di Città di Castello, redasse la bolla della cessione ufficiale, forse l’anno dopo: 1213 e da allora Montecasale fu indissolubilmente legato alla storia francescana.
L’occasione della cessione può essere nata così, Fra’ Tommaso da Celano scrive:
Nel sesto anno dalla sua conversione ardendo di un intrattenibile desiderio del martirio, decise di recarsi in Siria a predicare la fede e la penitenza ai Saraceni“.
E’ il primo viaggio apostolico del santo nel 1213.
Partito dalla Porziuncola, passa per Montecasale, varca l’appennino ed a S. Leo, l’8 Maggio, incontrerà il conte Orlando di Chiusi in Casentino che gli farà dono del monte della Verna.
E’ appunto durante questo viaggio che deve essere avvenuta la cessione ufficiale di Montecasale da parte del Vescovo.
 

TESTIMONIANZE DELLA PRESENZA DEL SANTO

I cavoli piantali a testa in giù

A Montecasale avvenne il fatto così simpatico e popolare dei cavoli piantati con le radici all’insù.
Uno dei protagonisti fu appunto frate Angelo Tarlati, forse all’inizio della sua vita religiosa.
Il fatto, straordinariamente bello e significativo della personalità di San Francesco, è cosi narrato da Fra’ Bartolomeo da Pisa. “Una volta, due giovani vennero al beato Francesco, pregandolo d’essere ricevuti all’Ordine. Il beato Francesco, volendo provare se fossero veramente ubbidienti e preparati a rinnegare la propria volontà, li condusse nell’orto dicendo: – Venite, piantiamo dei cavoli e come vedete fare a me, così a quel modo piantate anche voi-“.
Mentre il beato Francesco, piantando, poneva le radici all’insù verso il cielo, e le foglie sotto terra, uno di loro fece tutto come il beato Francesco, l’altro non lo imitò, ma disse: “Non così, Padre, si piantano i cavoli, ma all’incontrario“.
E il beato Francesco gli rispose: “Figliolo, voglio che tu faccia come me”, ma non volendolo egli fare, perché gli sembrava sbagliato, a lui disse il beato Francesco: “Fratello, vedo che sei un gran maestro, vai per la tua via, perché non sei adatto per il mio Ordine“.
E accettato il primo giovane, lo respinse.
A Montecasale, nell’orto, si coltiva ancora una pianta di cavolo in memoria dell’episodio.

Una leggendaria conversione

Proprio mentre era superiore avvenne l’episodio più celebre di Montecasale: la “Conversione dei tre ladroni”.
L’episodio è talmente bello e toccante che sembra piuttosto sfiorare la leggenda che la realtà.
Verrebbe quasi da dubitare della sua autenticità, ma le fonti storiche che lo tramandano sono troppe e sospettare di tutte sarebbe assurdo.
E’ probabile che via accaduto così:
In quello tempo usavano nella contrada tre nominati ladroni, li quali faceano molti mali nella contrada; li quali vennono un dì al detto luogo dè frati e pregavano il detto frate Agnolo guardiano che desse loro da mangiare.
E ‘l guardiano rispuose loro in questo modo, riprendendoli aspramente: ladroni e crudeli e omicidi, non vi vergognate di rubare le fatiche altrui; ma eziandio, come presuntuosi e isfacciati, volete divorare le limosine che sono mandate alli servi di Dío, che non siete pure degni che la terra vi sostenga, però che voi non avete nessuna reverenza né a uomini né a Dio che vi creò: andate adunque per li fatti vostri, e qui non apparite più!- Di che coloro turbati, partirono con grande sdegno.
Ed ecco santo Francesco tornare di fuori con la tasca del pane e con un vaselletto di vino ch’egli e ‘l compagno aveano accattato; e recitandogli il guardiano com’egli aveva cacciato coloro, santo Francesco fortemente lo riprese, dicendo che s’era portato crudelmente, -Imperò ch’elli meglio si riducono a Dio con dolcezza che con crudeli riprensioni-; onde il nostro maestro Gesù Cristo, il cui evangelo noi abbiamo promesso d’osservare, dice che non è bisogno a’ sani il medico ma agli infermi, e che non era venuto a chiamare li giusti ma li peccatori a penitenza; e però ispesse volte egli mangiava con loro.
Conciò sia cosa adunque che tu abbi fatto contra alla carità e contro al santo evangelo di Cristo, io ti comando per santa obbedienza che immantanente tu sì prenda questa tasca del pane ch’io ho accattato e questo vasello del vino, e va’ loro dietro sollecitamente per monti e per valli tanto che tu li truovi, e presenta loro tutto questo pane e questo vino per mia parte; e poi t’inginocchia loro dinanzi e di loro umilmente tua colpa, della crudeltà tua, e poi li priega da mia’ parte che non facciano più male, ma temano Iddio e non offendano il prossimo; e s’egli faranno questo, io prometto di provvederli nelli loro bisogni e di dare loro continuamente e da mangiare e da bere.
E quando tu arai detto loro questo, ritornati in qua umilmente.
Mentre che il detto guardiano andò a Fare il comandamento di santo Francesco, ed egli si puose in orazione e pregava Iddio ch’ammorbidasse i cuori di quelli ladroni e convertisseli a penitenza
“.
Il che, com’è noto, avvenne.
Anzi, tutto andò oltre le speranze, perché addirittura chiesero ed ottennero di entrare a far parte dell’Ordine.
Fecero penitenza e morirono a Montecasale.

Le reliquie

Altro fatto straordinario, garantito dai due maggiori biografi di San Francesco, deve essere accaduto nel 1215.
San Francesco aveva comandato ai frati di Montecasale di andare a raccogliere certe reliquie che si trovavano in un luogo abbandonato e di portarle in chiesa.
Ma i frati se ne dimenticarono; poi, con grande meraviglia, le trovarono sull’altare, emananti un forte profumo.
Ritornato poco dopo il santo, e domandato se avessero eseguito l’ordine, i frati confessarono con rossore la loro dimenticanza.
Allora Francesco esclamò: “Sia benedetto il Signore Iddio che ha fatto da sé quel che avreste dovuto far voi!“.
Al che San Bonaventura commenta: “Misura, se puoi, la stima dell’umile Francesco agli occhi di Dio! L’uomo non obbedisce ai suoi cenni, e Dio ne soddisfa i desideri“.
 

Aspetto

 
 


La chiesa

La piccola chiesa, posta al centro dell’eremo, è la struttura intorno alla quale devono essersi via via appoggiati gli edifici di dimora e per la preghiera.
Proprio accanto ad essa, Francesco costruì la sua celletta: un duro macigno che faceva da pavimento e da letto, muri e tetto di rami e di frasche coperti di terra.
La chiesa, piccola, disadorna, è del più puro stile francescano.
Il nucleo primitivo è ancora quello destinato a cappella dai frati Camaldolesi e che restò, probabilmente intatto, anche ai tempi di san Francesco e dei suoi primi compagni.
Coi secoli ha subito qualche modifica, che però, per mancanza di documenti precisi, non siamo in grado di determinare.
Un certo ampliamento deve esservi stato apportato da frate Gherardo Glelmi, nel decennio 1440-1450.
Nel 1500 crollò in parte e fu riparata nel 1504.
E’ opinione di qualche competente che questa riparazione apportasse anche modifiche di un certo rilievo.
Cioè: quello che era ancora un modesto oratorio, fatto a volta, con l’altare a Oriente, venisse non solo ingrandito nella forma attuale, ma anche variato, spostando l’altare a nord.
L’ingresso, una volta, era sulla parete sinistra: si può infatti scorgere la muratura di una porta ad arco ribassato, dinanzi alla quale, d’inverno, pregava il beato Ranieri.
Il punto centrale della chiesetta è dato dalla presenza di una statua della Madonna col Bambino, che, secondo la tradizione, si vuole portata qui, nel 1213, da san Francesco, dalle rovine del castello.
La notizia vorrebbe essere confermata dall’iscrizione:
Questa statua della Vergine Madre di Dio famosa per i suoi miracoli fu portata dal castello di Monte Casale da San Francesco nel 1213 e collocata in questo sacro luogo”.
Stando a un giudizio delle Belle Arti di Firenze, del 1915, “questa statua in legno colorito della Madonna con Gesù Bambino, è opera assai interessante per la sua antichità, essendo dei primi anni del secolo XIII
Il dossale dell’altare maggiore, semplice, apprezzabile, ma poco armonico con l’estrema ruvidezza dell’ambiente, è di noce intagliato, chiaramente attribuibile al 1718, anno in cui fu eseguito, come attesta un’iscrizione.
In questa chiesa deve essere avvenuto il fatto prodigioso delle reliquie, narrato da san Bonaventura.
 
 


L’Oratorio

E’ una cappelletta, severamente povera.
Nel muro, a destra si trovano, collocati rozzamente, tre reliquiari.
Nel primo si conservano i teschi di due dei ladroni convertiti da San Francesco.
Nel secondo si conservano alcune reliquie.
Ricordano l’episodio di uno dei miracoli di S. Francesco, nel terzo si custodisce, intera e intatta, la tonaca del beato Ranieri della Montagna, che a Montecasale si fece cappuccino.
Nell’oratorio furono sepolti il beato Angelo Tarlati ed altri santi religiosi.
Sull’altare campeggia un bel crocifisso.
Certamente non può essere più quello (lo denuncia la sua fattura) che la tradizione vuole portato qui da San Francesco dal vicino Castello distrutto, e al quale parlò più volte.
Probabilmente risale al XV-XVI secolo.
Finalmente, a sinistra, in alto, si indica il macigno sul quale riposava San Francesco.
Vi si accede per una scaletta di pietra, mentre in antico si raggiungeva di sopra, come si può arguire dalla sagoma della porticina murata.
Questo angolo è considerato il cuore dell’Eremo; ora inserito in una struttura ma in origine era un pendio roccioso a cielo aperto, la nuda pietra fu il letto e la cella del Santo difesa solo da una parete di frasche, solo successivamente col tempo vi sorse il primitivo oratorio.
Lo attestano i diversi strati di pietra della rustica muratura ed una porticina murata.
Le strutture attuali probabilmente risalgono, almeno in parte, agli interventi di padre Gherardo Glelmi (1440-1450)
La statua scolpita nel tiglio che si presenta a sinistra è opera del cappuccino P. Flaviano Laghi eseguita nel 1964.
 
 


Le Cellette

Dal coro, per una porticina, si passa nell’Antica parte dell’eremo, la più suggestiva, quella che è servita per dimora dei frati.
Poche, anguste cellette, estremamente spoglie, con le minuscole finestre.
Oltre al fascino naturale della pace, della solitudine e del silenzio, il ricordo della presenza di San Francesco attirò a Montecasale tanti frati desiderosi di preghiere e di meditazione.
Fra i pellegrini illustri che hanno dimorato nell’Eremo va ricordato Sant’Antonio da Padova e San Bonaventura.
La primi cella, a destra, fu abitata da San Bonaventura da Bagnoregio, che fu Generale dell’Ordine francescano (dal 1257-1274), Vescovo, Cardinale e Dottore della Chiesa.
La eccezionalità del fatto è tale che di lui pure si mantiene il ricordo della sua presenza attraverso la cella dove dimorò.
Salì a Montecasale probabilmente nel 1260, nell’intento di poter raccogliere notizie e documenti sulla “Vita” del serafico Padre che si accingeva a scrivere su incarico dal Capitolo generale di Narbona.
Era alla ricerca di notizie e di testimonianze oculari e per questo sarà salito anche a Montecasale.
E’ quasi certo che si sia incontrato con l’ultimo dei tre ladroni, a quel tempo ancora vivente.
Accanto, simile per dimensioni e caratteristiche, vi è la cella di Sant’Antonio da Padova dove ha passato diversi dei suoi giorni.
Non conosciamo la data esatta del suo soggiorno all’eremo, ma sapendo che morì nel 1231, questo potrà essere avvenuto qualche anno prima.
Sant’Antonio veniva dalla Verna, la sua debole salute non sopportava la rigidità del clima a quell’altitudine.
Si trattenne del tempo all’Eremo di Cerbaiolo, quindi raggiunse Montecasale, dove si pensa che abbia compiuto il suo “Sermonario per tutti i tempi dell’anno“, ordinatogli dal Papa Gregorio IX.
Tutta questa parte del santuario presenta forti affinità ambientali con l’Eremo di S. Damiano di Assisi.
 
 

Fonte di San Francesco

Presso il cancello dei carri c’è la fonte di San Francesco.
Secondo alcuni fu il santo che la fece scaturire dalla roccia; secondo altri, a Montecasale, il santo beveva solo di quest’acqua e la tradizione vuole che abbia virtù curative.
 
 

Fonte “Grappa l’Orso”

Costeggiando il convento, si può entrare nel bosco e raggiungere, in breve tragitto, una fonte, dai nome strano di Grappa l’Orso.
Intorno a questa fonte si raccontano molte leggende.
Si dice che qui venissero a dissetarsi i famigerati ladroni.
E’ senza dubbio l’acqua migliore di tutta la zona.
Il viale alberato è arricchito da meravigliose formelle realizzate con la tecnica del disegno su vetro da Roberta Lazzarini, rappresentano la Via Crucis.
 
 

Sasso Spicco

Si trova nel bosco, in basso; non è agevole raggiungerlo per il tortuoso e ripido sentiero, “ma la fatica per arrivarvi è compensata dallo spettacolo insolito che si gusta” (Paul Sabatier).
È un immenso masso che sporge, come una gigantesca tettoia, sul vuoto che si sprofonda per una sessantina di metri.
Lo scorrere dello Spisciolo vi forma una singolare cascata, specialmente quando le acque sono abbondanti.
La tradizione vuole che qui San Francesco gareggiasse con l’usignolo nel cantare le lodi del Signore.
È certo che molti Cappuccini scelsero questa spelonca come loro ordinaria abitazione, costruendovi, sotto e all’intorno, le loro cellette con graticci e terra.
È veramente un luogo di aspra solitudine e di interminabile silenzio.
 
 

Le tre Croci

Sul poggio di fronte all’eremo spiccano tre croci; è li che un tempo sorgeva il castello feudale, del quale restano tracce evidenti, ed è lì che la tradizione vuole che frate Angelo Tarlati, per ordine di San Francesco, ritrovasse i tre ladroni respinti dall’eremo dopo aver loro negato la carità.
 
 

Il cipresso di San Francesco

All’ingresso dell’Eremo nell’area di parcheggio si trova una piccola pianticella di Cipresso custodita da una rete di protezione; è una piantina ricavata da un cipresso fatto crescere miracolosamente da San Francesco presso il Convento di Verucchio in Provincia di Ravenna.
Sull’originale pianta che si stava seccando è intervenuta l’Azienda Vivaistica Regionale UmbraFlor s.r.l. di Spello (PG) che ha riprodotto dei piccoli cipressi geneticamente identici a quello piantato da San Francesco nel 1213.
I piccoli cipressi sono stati riprodotti a Spello (PG) utilizzando alcuni apici vegetativi raccolti in inverno dal Cipresso di San Francesco.
La moltiplicazione per innesto ha consentito di ottenere dei genotipi che, per la parte epigea, sono assolutamente identici al Cipresso piantato da San Francesco.
Visto che la pianta originaria è in precarie condizioni vegetative, i “figli” del cipresso consentiranno di dare continuità ai prodigi del Santo.
Nel 2013, esattamente 800 anni dopo il miracolo di “Frate Cipresso“, le piccole piante in vaso sono donate al Santo Padre, ai Conventi francescani ed ai luoghi di culto.
Secondo la “Istoria Serafica” del XVII secolo, a proposito del pellegrinaggio del Santo in direzione di Verucchio nel maggio del 1213, riferisce:
…… un giorno a Frate Francesco, che transitava stanco lungo i gioghi d’Appennino, s’impigliò nella tonaca un rarnicello vizzo; lo raccolse, comodandogli di farsene bordone pel suo peregrinare, e giunto qui, non più bisognoso, lo diede al fuoco: esso si contorse sfrigolando, ma rimase intatto.
Disse allora messer Santo Francesco: “se non vuoi ardere, cresci!” e da Lui piantato immantinente sbocciarono gran germogli, laonde, in segno di maggior miracolo, pel bene degli umani. Cosi sorse Frate Cipresso a gloria di Nostro Signore…
“.
 

Fonti documentative

Eremo di Montecasale – 2003 (Opuscolo in loco)
 

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