Abbazia Camaldolese – Volterra (PI)

L’Abbazia si affaccia a strapiombo sulle balze quasi a guardare le due precedenti chiese precipitate nei tempi passati.

 

Cenni storici

L’Abbazia si trova sul colle che nell’antichità era denominato “Monte Nibbio” i cui i primi insediamenti si svilupparono già nel periodo neolitico, sito posto appena fuori dalle mura etrusche della Guerruccia, dove sono stati ritrovati numerosi reperti etruschi e romani.
Il “Monte Nibbio” è stato anche il luogo della sepoltura dei due Santi Patroni di Volterra, San Giusto e San Clemente, le cui spoglie mortali furono custodite nei due santuari eretti nel luogo dove i due santi avevano trovato dimora, santuari poi inghiottiti nelle balze.
La progressione dell’erosione ha fatto sì che la Badia si ritrovi ora quasi a picco sul baratro delle balze, in una posizione assai pericolosa per un suo qualsiasi recupero.
La fondazione della Badia risale al 1030, anno in cui il Vescovo di Volterra, Guffredo da Novara, disegna con il pastorale, sulle pendici del “Monte Nibbio”, il perimetro della futura badia e della sua chiesa ed elegge come primo abate, il monaco benedettino Ramberto.
I monaci benedettini erano giunti a Volterra nel 1015, chiamati dallo stesso Vescovo Guffredo, per custodire le spoglie mortali di San Giusto e San Clemente, patroni della città di Volterra, raccolte nei due santuari eretti, nel VII sec. sulle pendici del Monte Nibbio.
Da un documento del 1034 è noto che il Vescovo Guffredo dona i propri beni alla Badia le numerose donazioni che si susseguirono negli anni, consentirono ai monaci di estendere le loro proprietà ed il loro potere, che si concretizzò nel 1106 quando il Vescovo di Volterra concedette ai monaci della Badia la riscossione delle decime, già in diritto della prima chiesa di San Giusto, poi inghiottita dalle Balze.
Nel frattempo, come riportato in un documento del 1061, i monaci della Badia erano entrati in possesso dell’intera area del Monte Nibbio, grazie ad una permuta, con il Vescovo di Volterra, dell’area di Prato Marzio della città.
Dal XII al XIV secolo l’Abbazia ricoprì un ruolo fondamentale nella vita spirituale e civile di Volterra, divenendo il punto di riferimento della vita religiosa della popolazione suburbana e della vita civile del territorio da essa controllato, sia a livello spirituale, sia a livello patrimoniale.
Dal 1113 i Monaci della Badia aderirono all’Ordine dei Monaci Camaldolesi, e per un lungo periodo la Badia fu la sede del noviziato dei camaldolesi, divenendo così un fiorente centro culturale, luogo di soggiorno e di studio dei giovani e si presuppone sede di una ricchissima ed importante biblioteca.
Nel 1530, a seguito di una vasta epidemia di peste, la Badia fu sconsacrata e due anni più tardi, placata l’epidemia, nuovamente consacrata con una solenne cerimonia.
Tra il 1562 ed il 1572 l’intero complesso conventuale fu quasi totalmente ricostruito dal Maestro Giovanni Tortori da Fiesole su disegno di Bartolomeo Ammannati, assumendo le sembianze odierne ed a testimonianza del potere esercitato in quegli anni anche sulla città di Volterra, nel 1576 il Gran Consiglio della città dichiarò i Monaci della Badia cittadini volterrani con privilegi, esenzioni, immunità e preminenze.
Nel 1627 la Chiesa della Badia divenne sede della Parrocchia di San Giusto, in quanto la vecchia chiesa di San Giusto fu seriamente danneggiata da una frana e quindi, nel 1648, inghiottita dalle Balze.
Il complesso conventuale venne abbandonato nel 1808 con la soppressione napoleonica degli Ordini religiosi, ripristinato nel 1816, fu nuovamente benedetto nel 1820, per essere definitivamente abbandonato, per volontà degli stessi monaci, nel 1866, quando l’Abate Benassai, preoccupato del pericoloso avvicinamento delle Balze al complesso conventuale, sollecitava la costruzione di un nuovo chiostro presso la chiesa di San Francesco in Volterra, mentre solo pochi anni prima i monaci erano riusciti a risollevare le sorti del monastero gravemente danneggiato dal terremoto del 1846.
Il monastero fu quindi utilizzato per fini abitativi e nel dopo guerra accolse gli sfollati della città, una parte risultava abitata fino agli anni sessanta, poi la precaria situazione delle strutture e le problematiche inerenti la proprietà, parte demaniale e parte privata, ne decretarono il definitivo abbandono.
Negli anni ottanta, con il passaggio della proprietà privata alla Cassa di Risparmio di Volterra, è iniziato un periodo di contatti tra la banca locale ed il ministero che hanno condotto ad una prima fase di restauri, che videro il rifacimento della copertura, il restauro delle volte del refettorio e di una parte del chiostro, fino a giungere agli interventi dal 2010 in poi.
 

Architettura

La Badia rispetta abbastanza fedelmente il sistema tipologico delle abbazie camaldolesi: un cortile centrale, la chiesa ad un lato del cortile, al piano terra i locali del refettorio, il quartiere dell’Abate e la foresteria, al piano primo la biblioteca e le corsie dormitorio dei monaci, ai piani interrati ripostigli, cantine, laboratori che qui, sfruttando la pendenza del terreno, sono anch’essi accessibili direttamente dall’esterno.
L’attuale struttura, pur di aspetto rinascimentale, ha mantenuto ben leggibile l’originaria struttura romanica risalente all’epoca della sua fondazione.
Al complesso si giunge da una viabilità ancora oggi parzialmente lastricata in pietra e recuperata con gli ultimi interventi, che termina alla scalinata della Chiesa, forse in virtù delle processioni che vi si tenevano.
Alla sinistra dell’ingresso la Chiesa, che con la sua facciata a tre ordini dominava l’intero fronte; fu realizzata nel XVI secolo su disegno dell’Ammannati, era scandita verticalmente da quattro lesene corrispondenti alla suddivisione interna a tre navate, con volute di raccordo tra i diversi livelli.
Le piccole aperture dell’abside denunciano l’epoca romanica dell’impianto.
 

Interno

All’interno si accede dal bel portale che reca lo stemma dei camaldolesi in pietra scolpito e posto in corrispondenza della chiave di volta dell’arcata del portale.
Due pavoni, simbolo della immortalità e della vita monastica camaldolese, si abbeverano ad un calice che rappresenta il sacrificio di Cristo in Croce.
Una breve scalinata porta al chiostro, quadrato, che ricuce l’antica struttura e si presenta con quattro grandi arcate per lato al piano terra, mentre al piano superiore dove si trovavano i dormitori dei monaci, si aprono finestre regolari in asse alle arcate del piano terra e lesene in corrispondenza dei pilastri.
Nel centro è posta la grandiosa cisterna di raccolta delle acque piovane, decorata da una elegante ringhiera in ferro.
Lungo tutto il chiostro si aprono porte con cornici in pietra ed iscrizioni, adiacenti alla scalinata di ingresso si trovano le scale che conducono al piano superiore che ad oggi non è visitabile.
Ad ovest è addossata la chiesa, che mostra la sua parete in pietra, e la torre campanaria in conci regolari, a sud è posto l’ingresso. Dal chiostro si accede direttamente alla Chiesa.
Nella parte del chiostro addossata alla chiesa ed in parte del pavimento è presente una grandiosa meridiana disegnata dall’Abate Silvano Zeri da Lucca, su uno degli archi è rimasta la placca in metallo.
Le ore erano disegnate sull’intonaco, mentre altre sono incise sul pavimento in mattoni del chiostro.
Il refettorio è una vasta sala rettangolare, ben areata ed illuminata, provvista di un lavabo in pietra, caratterizzato da una vera e propria struttura architettonica con timpano spezzato da una conchiglia, simbolo della rinascita, circondato da dipinti.
 

Gli affreschi del refettorio della Badia Camaldolese di Volterra

La stanza era adibita a refettorio: qui ogni giorno i Monaci consumavano in fraternità i pasti della giornata.
Le pareti di questo locale furono affrescate dal pittore Donato Mascagni, su commissione dell’abate don Grisostomo Ticci, negli ultimi anni del secolo XVI (1595-1598).
Tali affreschi rappresentano leggende e fatti relativi ai Santi Giusto e Clemente, patroni della città di Volterra e titolari della Badia.

1. Sotto la prima arcata, partendo dalla parete destra, è rappresentato l’arrivo al Porto di Popolunia dei Santi Giusto, Clemente e Ottaviano, insieme con il vescovo San Regolo e i Santi Cerbone e Felice.
Questa compagnia di pellegrini era partita nei primi decenni del VI secolo dal porto di Ippona, nell’Africa settentrionale, per cercare una terra più ospitale dove poter predicare il Vangelo di Gesù Cristo, dal momento che nella loro terra di origine imperversava a quell’epoca la feroce persecuzione dei Vandali.
Il vescovo Regolo è espresso nell’atto di benedire Giusto (con barba ed abito giallo), Clemente (con abito celeste) e Ottaviano (con barba ed abito viola) che, inginocchiati sulla destra, si apprestano a dirigersi verso Volterra.
Sulla sfondo, come in una precedente sequenza cronologica, si vede la barca che aveva accompagnato i pellegrini durante la navigazione in mezzo ai flutti di una tempesta.
2. Nel secondo quadro si vedono i tre Santi che conversano mentre s’incamminano verso Volterra circondata dalle schiere nemiche dei Goti.
La città è rappresentata sulla rocca in alto a destra in una visione immaginaria.
3. Nel terzo affresco, proprio al di sopra della porta di accesso, è rappresentata la prima predicazione di San Giusto, ascoltata da una numerosa folla di uomini, donne e soldati.
Sulla sfondo ancora una visione fantastica di Volterra.
4. Sotto la quarta arcata è rappresentato l’episodio agiografico secondo il quale, durante una notte del lungo assedio, poiché all’interno delle mura urbane i viveri cominciano a scarseggiare, per la preghiera di San Giusto, una schiera di angeli asportò diversi sacchi di grano dal campo nemico in città, permettendo così ai Volterrani di poter infornare diverse ceste di pane.
5. Nel quinto affresco, mentre infuria lo scontro sotto le mura della città e i Goti cercano di abbattere le porte e scalare i bastioni, su consiglio di San Giusto, i Volterrani gettano dagli spalti i pani appena sfornati; grazie a questo stratagemma gli assedianti furono illusi che i Volterrani avessero ancora molti viveri all’interno delle mura e, non potendo protrarre a lungo l’assedio preferirono desistere. Così Volterra fu salva e gli abitanti elessero Giusto e Clemente a loro patroni.
6. Il sesto e ultimo quadro raffigura una processione con a capo San Giusto, pontificalmente vestito, che impone a serpenti e bestie feroci di abbandonare le contrade boscose del Monte Nibbio, nei pressi di Volterra.
L’immagine, fuor di metafora, rappresenta l’azione evangelizzatrice di San Giusto contro l’eresia ariana, allora dilagante in Volterra, che negava in Gesù Cristo la sussistenza della duplice natura divina ed umana. L’affresco fu danneggiato durante un tentativo per staccarlo e riportarlo su tela.

Un’altra serie di affreschi relativi alla storia di San Giusto fu realizzata dal Mascagni nelle lunette al di sopra delle quattro finestre che si aprono nella sala.
1. Nella prima lunetta partendo da sinistra, in condizioni mediocri, si vede il Santo vescovo Giusto che libera un indemoniato dalla possessione, mentre due persone lo trattengono a stento.
2. Nell’affresco della seconda lunetta San Giusto conferma nella fede i convertiti dall’eresia ariana, tracciando loro sulla fronte il segno della Croce.
3. Nella terza lunetta è raffigurato il momento in cui i Volterrani portano al cospetto di San Giusto i pani che, dopo esser stati moltiplicati e benedetti, verranno gettati dalle mura verso le schiere degli assedianti.
4. Nell’ultima lunetta infine, il pittore presenta una immagine delle esequie di San Giusto, il cui corpo è adagiato sopra un solenne catafalco.
Nel tondo della volta al centro del refettorio è invece ritratta la Madonna con il Bambino, San Benedetto, San Romualdo e lo stemma dei Camaldolesi.
Nella parete di fondo figurava un tempo la grandissima tela delle Nozze di Cana, il primo miracolo compiuto da Gesù trasformando l’acqua in vino durante un banchetto nunziale, che oggi si trova sulla parete destra della Sala del Maggior Consiglio di Palazzo dei Priori.
Anche questa pittura fu realizzata dal Mascagni.
 

La Chiesa

La chiesa di origine e forme romaniche, assunse l’attuale aspetto nel XVII secolo.
Aveva una pianta a tre navate di ml. 15 x 30, con abside centrale e parte della navata di destra chiusa, in prossimità dell’abside, dai volumi della torre campanaria e del vano di passaggio tra la chiesa ed il cortile dell’Abbazia.
Dalla documentazione fotografica del secolo scorso si rileva come colonne monolitiche con capitelli marmorei sostenevano gli archi a cunei bianchi e neri.
La copertura aveva struttura e capriate lignee, l’interno era riccamente decorato.
Nel 1895 il crollo della copertura della chiesa, quando ormai il complesso era abbandonato, ha prodotto la rovina di buona parte delle strutture e molto del materiale lapideo di risulta è stato riutilizzato per la costruzione del nuovo complesso dei monaci camaldolesi presso la Chiesa di San Francesco in Volterra, mentre i capitelli marmorei sono raccolti presso il Museo Guarnacci, un’acquasantiera in marmo bianco di Carrara, eseguita nel 1552, è ora collocata nella Chiesa di San Francesco, mentre le tavole dipinte sono quasi tutte esposte nella Pinacoteca Civica.
 

Fonti documentative

Per gli affreschi – Studio del Dott. Alessandro Furiesi Vice Archivista Archivio Storico Diocesano
Per le notizie storiche – Amici dei musei – Relazione dell’Architetto Simonetta Mangano, svolta in occasione della visita dei Soci in data 11 aprile 2010.
 

Mappa

Link coordinate: 43.415790 10.850437

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