La fonte
Cenni Storici
Oggi si va delineando sempre di più la possibilità che nei primi secoli del cristianesimo l’area tiberina in questione, caratterizzata da particolari e ideali elementi naturali nonché strategici, avrebbe costituito un singolare punto di attrazione per un certo tipo di vita cenobitica e ascetica.
Un’area quindi dove la diffusione dello spirito ascetico ha trovato un suo terreno molto favorevole, sia per l’ambiente particolarmente adatto alla vita contemplativa, sia per le condizioni favorevoli che garantivano grotte acqua e protezione sia per le concessioni dei feudatari che hanno donato ai monaci terreni e boschi.
Tradizioni del luogo indicherebbero che qui lo stesso Gregorio Magno si sarebbe ritirato in penitenza prima di essere eletto papa.
I monaci camaldolesi devono aver prodotto una definitiva cristianizzazione della zona sacralizzando questi luoghi e queste grotte con la vita eremitica.
Ciò darebbe, in parte, una spiegazione ai vari insediamenti monastici concentrati in questa zona occidentale del comune tuderte tra i secc. XII-XIII, la quale era costellata di siti camaldolesi di notevole rilievo, nello specifico sono ben documentati eremi e cenobi fra cui S. Maria in Sylva, la Pasquerella, S. Romana, Santa Maria di Montemarte, S. Trinità di Val Cerasa, S. Gregorio Magno, luoghi di cui si presume la fondazione, appunto, intorno all’anno 1000.
Quest’ultimo sito è definitivamente scomparso e doveva trovarsi sulla riva sinistra del Tevere tra S. Romana e la cosiddetta Roccaccia di Titignano.
La consacrazione di questi luoghi, non è mai scelta dall’uomo, è soltanto scoperta, tutti i santuari sono consacrati da una teofania, così le dimore degli eremiti o dei santi, di sicuro abbiamo solo la sacralizzazione delle grotte dalla vita eremitica dei monaci camaldolesi che devono aver prodotto una definitiva cristianizzazione della zona.
Nei luoghi ove i primi eremiti avevano costruito i loro piccoli rifugi, sorsero altre piccole chiese annesse alle loro residenze; alcuni toponimi sono rimasti nei vocaboli di quegli insediamenti di alcuni di questi eremi rimangono solo i vocaboli nel catasto terreni, e qualche rudere come per Santa Trinità di Valcerasa.
Sebbene questo eremo possa sembrare fuori dal mondo, per l’epoca non era così infatti la La Valcerasa affiancava una antica viabilità chiamata “via Mercatantis“, che costeggiando il Tevere sfociava alla Pasquarella.
È pensabile che questo insediamento camaldolese sia avvenuto per volontà dei discepoli dello stesso San Romualdo, fondatore dell’Ordine, quali Guido da Montemarte, figlio di Farolfo, morto ad appena 18 anni il 7 settembre del 998, quando il maestro era abate di Sant’Apolllinare in Classe a Ravenna, o anche Attone che fu abate di San Sigismondo all’Ammeto.
La data di erezione precisa non si conosce, ma un breve studio di alcuni autori, ha sviluppato l’ipotesi che sia stato fondato intorno al 1000 e che in origine vi abitavano un abate e 7 monaci.
L’Eremo di San Francesco, o della Trinità, della Val Cerasa in antico, raccoglieva nella sua sfera religiosa la piccola comunità di Morruzze.
Nel convento, detto anche di Monte Nerone, abitavano un abate e quattro monaci benedettini-camaldolesi, come ricordano le bolle confirmatorie di Nicolò II del 1059 e di Gregorio VII del 1075 a Sigilberto abate di Monte Acuto, monastero nei pressi di Perugia, da cui questo evidentemente a quel tempo dipendeva.
Dopo l’abbandono da parte dei camaldolesi, il sito fu abitato e “curato” dai Benedettini con un priore e 4 monaci, che avevano il monastero di S. Pietro in Vallibus e officiavano anche le chiese di Morruzze e Morre; i Benedettini dipendevano dall’abbazia di Farfa dal 1112 erano presenti nel paesino di Vagli, vicino all’abbazia di San Bartolomeo di Morruzze: vi si erano insediati dopo aver ricevuto una donazione dal conte Rapizzone degli Arnolfi.
Il 7 luglio 1498 Alessandro VI collazionava il beneficio di Sant’Eremo a Benedetto Lucerino, certamente distintosi presso di lui per servigi resi, e il 18 settembre il suddetto Lucerino, chierico di Todi, veniva ufficialmente immesso nel possesso dello stesso in esecuzione di quella disposizione papale.
Più tardi, il 15 maggio 1506, Giulio II concesse il priorato dell’Eremo, ancora appartenente all’Ordine di San Benedetto, ma vacante per le dimissioni di Benedetto Lucerino, al monastero e alle monache di San Giovanni Battista di Todi, detto delle Lucrezie del Terzo Ordine di san Francesco.
Queste poi lo permutarono nel XVIII secolo con Santa Lucia della Torricella appartenente ai Pompei.
Il Camaiani, la trova decentemente tenuta sebbene situata in un “sito macchioso“, ricordava nella sua Visita le molte vestigia del distrutto monastero e i segni del piccolo chiostro che ordinò venissero custodite con maggiore attenzione date le notizie di “convegni scandalosi” che vi si svolgevano.
Nel 1715 venne sospesa “per essere situata in una tetra selva“, ma poi i Pompei, che l’avevano rilevata, la restaurarono e liberarono da rovi e sterpaglie beneficiandola di un legato disposto da Gaspare seniore per l’officiatura di trenta messe l’anno e riportandola, se non all’antico splendore, almeno all’assiduità dei fedeli col titolo di Sant’Ermete.
Nel paese intanto esisteva la chiesa di Sant’Andrea che, prima pertinenza dell’Eremo di Val Cerasa, divenne in seguito curata e questa contribuì al lento ma inesorabile abbandono dell’Eremo.
Nel censimento post-conciliare del 1571 all’Eremo della Val Cerasa era unita la chiesa di San Giovanni, chiesa che fu antichissimo insediamento benedettino-vallombrosano.
Per una precisa collocazione basta seguire la tradizione dei cronisti locali e dello Jacobilli soprattutto per la precisa localizzazione del toponimo Val Cerasa, proprio nel sito dell’eremo, addirittura nel 1282 nel Liber communantiarum communio tuderti, in cui si dice di sei misuratori del comune di Todi che dopo aver ispezionato il territorio di Vagli andarono alla chiesa dell’eremo di Val Cerasa, poi alle Volpinare, alle Buche e Fossato del vento, per ripiegare verso il Rioguerci (oggi fosso della Pasquerella).
Dopo la seconda guerra mondiale le pietre dell’eremo sono state prese per la risistemazione della chiesa delle Morruzze.
Aspetto
L’eremo, il relativo cenobio e la chiesa sono oramai completamente persi nella boscaglia tanto che nemmeno gli abitanti del posto ne conoscono le tracce.
Solo un appassionato del posto, grande ricercatore di antiche vestigia, è riuscito a localizzare l’eremo, però quello che ne è rimasto è veramente inconsistente.
Si nota appena una semibuca circolare nel terreno che attesta la presenza dell’abside dell’antica chiesa e qua e là brandelli di muri avvolti da sterpaglie e pietrame sparso per tutto il bosco.
Poco distante dal monastero persiste una malridotta fonte che in origine era la fonte di approvvigionamento idrico dei monaci.
Nota di ringraziamento
Ringrazio di vero cuore Giampaolo Grillo esperto conoscitore del territorio che gentilmente mi ha concesso le foto scattate durante i suoi sopralluoghi.
Fonti documentative
Marcello Rinaldi – L’eremo della Pasquarella; Storia di un santuario terapeutico medievale al Forello – 1988
Giorgio Comez Margherita Bergamini Filiberto Vici Enzo Nunzi – Civitella di Massa: Castelli, ville, chiese – 1985
Federico Panzetta – Tra Storia e Storie, 1000 anni di presenza camaldolese nei luoghi dell’infanzia – 2018
Ruggero Iorio – Le origini delle -diocesi di Orvieto e di Todi alla luce delle testimonianze archeologiche – 1995
Mapa
Link alle coordinate: 42.70115 12.32082
Coordinate della fonte: 42°42’04.1″N 12°19’15.2″E