Eremo di San Galgano – Montesiepi di Chiusdino (SI)

Se c’è un edificio che possa far pensare ai Templari, questo ne è l’emblema.

 

Vita di San Galgano

Per capire bene la storia della costruzione occorre necessariamente conoscere la vita del Santo che è strettamente legata all’edificio e al suo linguaggio simbolico.
Galgano vide la luce a Chiusdino in data incerta intorno al 1150 da una famiglia della piccola nobiltà locale, legata da rapporti di vassallaggio verso il vescovo di Volterra, signore feudale di Chiusdino; è certo il nome della madre, Dionisia, mentre quello del padre, Guido o Guidotto, appare per la prima volta in una biografia del santo datata alla prima metà del XIV secolo.
Il nome “Galgano” è per nulla originale, benché possa richiamare alla mente il nome di Galvano, uno dei cavalieri della Tavola Rotonda, e quindi tutta la cosiddetta “materia di Bretagna“, era abbastanza diffuso nella Toscana del Medio Evo, probabilmente i genitori del santo imposero questo nome al proprio figlio, come omaggio a Galgano Pannocchieschi, vescovo di Volterra fra il 1149 o ’50 ed il 1168 o ’69, che ebbe dall’imperatore Federico Barbarossa il dominio temporale sulla città e sul contado con il titolo di conte, ed in quanto tale fu dunque signore di Chiusdino.
Sugli anni della fanciullezza e dell’adolescenza di Galgano o sulla sua educazione e formazione non sappiamo niente, è certo comunque che sia stato cavaliere e questo è ovvio in quanto appartenendo ad una famiglia nobile aveva una funzione ufficiale di rappresentanza e di tutela dell’ordine costituito una sorta di mano armata del vescovo di Volterra, per la protezione delle terre e dei beni della chiesa, in questo caso il paese ed il distretto di Chiusdino.
La consapevolezza di appartenere ad un nobile lignaggio, dedito all’esercizio delle armi per antica tradizione, l’agiatezza, l’ozio, la vanità delle proprie leggiadre forme, produsse un giovane superbo, prepotente e dissoluto.
La morte del padre, avvenuta in data incerta ma sembra intorno al 1178; produsse un cambiamento nel carattere del giovane e la conversione fu sostenuta anche da forti esperienze mistiche condizionate dall’apparizione dell’Arcangelo Michele che lo persuase ad arruolarsi nella “Milizia Celeste“.
Secondo le leggende l’arcangelo Michele, patrono di Chiusdino, apparso in sogno lo condusse all’eremo, dapprima gli fece attraversare un grandissimo e pericolosissimo ponte e sotto di esso c’era anche un mulino (simbologia del cambiamento di vita e del rinnovamento), superato questo giunsero ad un grande prato bellissimo ed uscendo da questo gli sembrò di entrare in una grotta sotterranea, e di giungere al Montesiepi, dove si trovò al cospetto della Madonna e dei Dodici Apostoli che stavano in una casa rotonda e profumata (come sarebbe stata la sua capanna e la chiesa successiva).
Mosso dal desiderio di dar concretezza a questo invito celeste, Galgano dovette tuttavia affrontare l’opposizione della madre, che tentò di fidanzarlo con una fanciulla di Civitella, un castello della Maremma toscana, alla quale, a partire dalla seconda metà del XVI secolo, è attribuito il nome di Polissena.
Fu proprio recandosi a conoscere la promessa sposa che Galgano, alla vigilia di Natale del 1180, ebbe una nuova esperienza mistica.
Sulla strada per la Maremma il cavallo di Galgano improvvisamente si fermò; nonostante che il giovane lo spronasse per farlo andare avanti, non riuscì a farlo muovere.
Galgano ritornò allora sui suoi passi, verso una vicina pieve in cui pernottò.
Il giorno seguente, solennità del Natale, come giunse al medesimo luogo, poiché di nuovo il cavallo si arrestò, il giovane lasciò le briglie e pregò devotamente il Signore perché lo conducesse al luogo in cui avrebbe trovato la sua pace spirituale; il cavallo allora si avviò verso la vicina collina di Montesiepi, dove si fermò.
Giunto sulla collina Galgano conficcò il suo spadone di cavaliere nel terreno, un gesto che per i cavalieri del Medio Evo aveva un alto significato spirituale: la spada capovolta ricordava la croce: Galgano quindi non sembra rifiutare la “militia saeculi“, ma superarla, trascenderla; non rinuncia alla spada ma la pone al servizio di una cavalleria diversa da quella vissuta fino ad allora: il cavaliere Galgano, in un certo senso, arruolò se stesso nella milizia di un signore più grande di quello terreno: Gesù Cristo.
C’è chi ha voluto vedere nel gesto di Galgano un legame tra di lui e la Matière de Bretagne, ma in realtà da una parte, nella storia di Galgano, la spada viene, storicamente, piantata, dall’altra, nelle leggende di Artù, la spada viene estratta, sancendo così il diritto del giovane figlio di Uter Pendragon al trono di Bretagna, e soprattutto se da una parte Galgano ha piantato la spada nella terra, dall’altra Artù ha estratto la spada non dalla roccia ma da un’incudine posta su una roccia.
A nulla valsero a distoglierlo da questa impegnativa decisione le preghiere della madre Dionisia e dei parenti, o gli argomenti degli antichi compagni di bagordi, o la visita dell’avvenente fidanzata, che egli anzi sembra abbia convinto a prendere il velo (Alla fanciulla è attribuita la fondazione del monastero di San Prospero, presso Siena).
La sua decisione di cambiare il modo di vita probabilmente fu ispirato e consigliato da vari eremiti che numerosi erano presenti in quella zona, e particolarmente dai seguaci di Guglielmo di Malavalle, fondatore di un celebre eremo nella Maremma; si costruì una capanna circolare di frasche dove visse per dodici mesi.
L’esempio di Galgano trascinò altre persone e, come molte altre esperienze eremitiche, anche questa costituì l’inizio della fondazione di una nuova comunità monastica.
Nella primavera del 1181 Galgano si recò dal Papa Alessandro III per ottenere l’approvazione della sua comunità, ma non solo ottenne il consenso papale, ma lo stesso gli donò alcune reliquie, cioè quelle dei martiri Fabiano, Sebastiano e Stefano I da collocare nella chiesa della comunità, una volta che ne fosse stata ultimata la costruzione e fosse stata consacrata.
Contro il santo si mossero alcune persone mosse dal fuoco dell’invidia; esse si portarono sul Montesiepi e lì tentarono di svellere la spada ma non riuscirono ad estrarla, nemmeno scavando tutto intorno, per questo la spezzarono.
Queste persone incorsero tuttavia nell’ira divina e due di essi trovarono improvvisamente una morte orribile, infatti uno cadde in un fiumicello d’acqua ed annegò ed un altro fu folgorato da un fulmine; il terzo fu aggredito da un lupo che gli azzannò le braccia, ma fece in tempo a pentirsi e benché mutilato non morì (le braccia sono tuttora conservate nell’eremo di Montesiepi).
Fin dalla fine del XIV secolo i nemici di Galgano sono stati identificati nientemeno che nel pievano di Chiusdino, nell’abate di Serena ed in un converso della medesima abbazia; probabilmente i tre volevano impedire a Galgano di insediare sul Montesiepi una nuova famiglia religiosa: i monaci di Serena ed il pievano di Chiusdino potevano avere intuito che Galgano voleva dare una veste istituzionale alla sua comunità e temere che l’incontro col papa avrebbe potuto avere successo (come in effetti ebbe) e costituire il prodromo di una nuova fondazione monastica che avrebbe finito per soppiantare Serena (come in effetti avvenne).
L’esperienza eremitica sul Montesiepi durò meno di un anno: il 30 novembre 1181 Galgano morì santamente, ed il 3 dicembre successivo fu sepolto accanto alla sua spada; secondo un’antica tradizione erano presenti alla sua tumulazione i Vescovi di Volterra, Massa Marittima e Siena, oltre agli abati cistercensi di Fossanova; tradizione voluta per mettere in evidenza i buoni rapporti dell’Abbazia con le tre diocesi confinanti e l’unione dell’eremita con i monaci cistercensi che sarebbero sopraggiunti pochi anni dopo.
Negli anni successivi la tomba di Galgano divenne mèta di pellegrinaggi e la convinzione che il cavaliere eremita fosse un efficace intercessore presso Dio, che si era manifestata quando era ancora in vita, andò consolidandosi, e pare che la sua intercessione fosse benefica per la liberazione di prigionieri, guarigioni da febbri o addirittura dalla lebbra, liberazione di posseduti dal demonio.
Il processo di canonizzazione si svolse a Montesiepi dal 4 al 7 agosto 1185, ossia quattro anni dopo la sua morte e il processo di canonizzazione di San Galgano è considerato come il più antico processo di canonizzazione di cui ci siano pervenuti gli atti.
Il “Martyrologium Romanum“, catalogo di tutti i Santi cristiani comprendente il sunto della loro vita e l’indicazione dei giorni in cui essi vengono festeggiati e che viene periodicamente aggiornato, contiene ovviamente il nome di San Galgano.
Nell’editio typica promulgata da papa Gregorio XIII nel 1584, e così in ogni edizione fino a quella promulgata da papa Pio XII nel 1956, se ne fissava la festa al 3 dicembre.
La nuova edizione promulgata da papa Giovanni Paolo II nel 2001, secondo le indicazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II, così come l’edizione promulgata dalla Conferenza Episcopale Italiana del 2006, ne portano la festa, per la Chiesa universale, al 30 novembre, giorno della sua morte.
La parrocchia-prepositura di San Michele Arcangelo in Chiusdino e la confraternita del santo, continuano a rispettare l’antica tradizione e a celebrare la festa di San Galgano il 3 dicembre.
 

Eremo di San Galgano

Il centro che dà inizio al complesso galganico è il vertice della Collina di Montesiepi; piccola altura che sorge al centro della valle del fiume Merse.
Il nucleo originale del complesso cistercense di San Galgano è il piccolo tempio romanico sorto sul vertice della collina di Montesiepi, piccola altura che si eleva al centro della valle del fiume Merse, come mausoleo sulla tomba del giovane eremita, che appena pochi anni dopo la sua morte avvenuta il 3 dicembre 1181, venne canonizzato da Lucio III dietro desiderio dell’imperatore Federico Barbarossa.
Anzitutto conviene parlare della Rotonda di San Galgano, in quanto essa presenta una pianta singolare e quasi unica.
La sua costruzione fu iniziata verso il 1182 e consacrata nel 1185 dal Vescovo di Volterra Ildebrando Pannocchieschi; la forma geometrica si addiceva per custodire nel suo interno il corpo del Santo e la roccia resa sacra dalla Spada convertita in croce.
La Rotonda di Montesiepi è più antica della grande Abbazia, e fu edificata sopra alla capanna sulla collina ove San Galgano visse il suo ultimo anno di vita, proprio dove aveva infisso la sua Spada nella roccia.
La struttura fu edificata basandosi sulla base da lui costruita; in particolare, importante è la forma, la quale risulta essere appunto circolare; si dice infatti che nelle apparizioni l’arcangelo Michele ordinò a San Galgano di costruire proprio una chiesa rotonda.
Questa chiesa fu quindi la prima Tomba del Santo, che fu sepolto a nord della spada come a vedere, attraverso la porta di ingresso, Chiusdino.
Essa fu concepita come un “mausoleo” perchè custodisse la tomba venerata del Santo e fosse preziosa custodia alla roccia con la spada; d’altronde la destinazione tombale della Rotonda di Montesiepi è in stretto rapporto con la sua architettura che ricorda le antiche tombe romane ed etrusche.
In realtà lo sconosciuto architetto s’ispirò a Castel Sant’Angelo, al Pantheon e alla tomba di Cecilia Metella sulla via Appia, mentre la cupola richiama le tombe di Vetulonia e Volterra.
La forma ricorda inoltre quella di una coppa rovesciata, motivo per cui la leggenda di San Galgano non è legata solamente alla spada nella roccia, ma anche alla leggenda del Santo Graal; circola infatti la leggenda che quest’ultimo possa essere custodito in un sotterraneo raggiungibile soltanto spostando una pietra.
Un altro enigma è la presunta connessione tra San Galgano e il celebre santuario ipogeo di Monte Sant’Angelo (Fg), sul Gargano, in Puglia.
A legare questi due luoghi tra loro non sarebbero solamente i nomi assonanti di Galgano e Gargano ma anche la presenza in entrambi i casi dell’Arcangelo San Michele, che ritroviamo anche in Piemonte (la Sacra di San Michele), e in Normandia (Mont St. Michel), tutti questi luoghi sacri sono alla stessa distanza e allineati attraverso una linea retta lunga oltre 2 mila km che partendo dall’Irlanda unisce sette monasteri, fino a al Monastero del Monte Carmelo ad Haifa ad Israele.
La Linea Sacra è in perfetto allineamento con il tramonto del sole nel giorno del Solstizio di Estate.
La vita di San Galgano richiama in un certo qual modo un altro Santo quasi a lui coevo San Francesco d’Assisi il quale anch’egli improvvisamente diede una svolta radicale alla propria vita abbandonando l’ideale della cavalleria; San Galgano morì proprio a 33 anni, come Gesù Cristo e ricordiamo che 33 sono anche i gradi massonici.
Il mito della Spada nella roccia è strettamente affine alla saga del ciclo bretone dell’Excalibur, solo che compare per la prima volta nelle opere di Robert de Baron solo alcuni anni più tardi rispetto a questa di San Galgano e questo pone il dubbio se l’autore si sia ispirato a questo eremo conoscendolo o se Galgano Guidotti abbia preso spunto da una storia che conosceva e forse era stata portata in Toscana da qualche “Trovatore“.
Essendo la spada di San Galgano antecedente all’introduzione di Excalibur nel ciclo bretone chi ci dice che fosse stato proprio Guglielmo l’eremita, che fu anche un abile trovatore, a portare in Toscana la leggenda della spada nella roccia?
Esiste un collegamento tra San Galgano e Re Artù e se esiste, quale è?
Intanto il nome, Galgano, tanto simile a Galvano, uno dei cavalieri della tavola rotonda, e poi i collegamenti, neppure tanto misteriosi tra la Toscana della valle del Merse, dove passava la via Francigena, e la Francia medioevale di Chrétien de Troyes, il grande artefice del ciclo bretone.
A far conoscere in Francia la storia di Galgano sarebbe stato un altro eremita, Guglielmo di Malavalle, che si stabilì in un sito alle spalle di Castiglione della Pescaia.
A tal proposito ricordiamo che proprio a Malavalle, vi è un’altra chiesa nella quale sono conservati i resti di un eremita della stessa epoca di San Galgano un certo Guglielmo di Malavalle.
Secondo il professor Garlaschelli, questo eremita potrebbe essere non soltanto di origine francese, ma potrebbero trattarsi dei resti di Guglielmo X d’Aquitania, padre di Eleonora, che a un certo punto della sua vita, nel 1137 dopo una crociata, decise di lasciare tutto per fare l’eremita in Toscana.
Dall’esame paleontologico sullo scheletro è emerso che il suo cranio potrebbe essere compatibile con quelli tipici della popolazione francese del periodo.
Ma questa potrebbe essere una coincidenza.
Il vero mito della spada nella roccia sarebbe dunque nato in Toscana alla fine del 1100 anche se secondo la leggenda re Artù sarebbe vissuto molti secoli prima.
 

Aspetto esterno

Il primitivo nucleo del complesso monumentale di San Galgano è rappresentato dal piccolo Eremo
sorto isolato subito dopo la morte del Santo sulla collina di Montesiepi, forse antico centro di culto
precristiano.
L’esterno della struttura si presenta ben delineato nella forma circolare; essa è costruita con base in pietra fino a 4 metri e poi la pietra si alterna con file di mattoni a vista; la parte superiore, è in cotto.
Nel 1200 le fu addossato l’Atrio in cotto e pietre squadrate con un interessante cornicione decorato da tre teste umane, una bovina e foglie di fattura arcaica: tipica del secolo XII.
Altra aggiunta trecentesca è da considerarsi il campaniletto di cotto, con due archi, di cui il più elevato è ad ogiva e racchiude un’interessante campanone.
Un altro fabbricato fu aggiunto nel XIV secolo che interruppe con poca delicatezza l’armonia della Rotonda: la cappella di stile ogivale in cotto, ha il pregio, però, di custodire un ciclo di affreschi di Ambrogio Lorenzetti.
La lanterna cieca è stata aggiunta nel XVII secolo.
La Canonica fu costruita alla fine del 1700, utilizzando materiale di riporto di muri precedenti.
Il piccolo monastero fu demolito con il passare degli anni, scomparve il chiostro più volte citato nei documenti, riempiti gli archi e le finestre e i piani inferiori trasformati in stalle.
La chiesa è a pianta circolare, interrotta solamente ad est da una graziosa abside semicircolare con monofora a doppio strambo ed è sormontata da un’ardita cupola semisferica non visibile dall’esterno in quanto coperta nella fine del 1500 da un tetto con travature poggianti su una lanterna cieca.
 

Interno

All’interno si nota il muro perimetrale a filari di pietre locali ben squadrate nella parte inferiore, mentre dopo pochi metri si delinea, in una fuga di cerchi concentrici, la cupola.
Questa si eleva con numerosi cerchi verso l’alto, creando una spirale ascendente, ritenuta nel Medioevo il simbolo dell’uomo che sale verso il Creatore; il cerchio, inoltre, era ritenuto la figura dell’infinito e della perfezione, in quanto senza angoli e con ogni suo punto equidistante dal Centro. I cerchi sono quarantotto e si alternano in pietra e cotto, creando una veduta suggestiva ed evanescente.
l motivi esoterici della Cupola sono diversi: essa ricordava al Cavaliere Medioevale il Sepolcro di
Gerusalemme racchiuso dai Crociati in una Chiesa rotonda; infine la felice fusione tra il tamburo e
la Cupola crea un perfetto calice rovesciato, probabile allusione al Graal, il vaso sacro, ricercato dai Cavalieri in ricordo dell’Ultima Cena di Gesù.
La simmetria circolare è interrotta verso est da una breve abside a nicchia, questa è ornata da
5 semicerchi in cotto e da una monofora che dà una soffusa luce all’altare; altre 4 monofore a doppio strambo danno chiarore alla Chiesa.
due porte laterali all’abside sembrano poste come simbolici angoli di un triangolo con la porta principale.
Nel centro del pavimento spunta la roccia dove San Galgano piantò la sua spada; accanto, sul lato nord, un tempo riposava il corpo del Santo.
La Spada fino al 1924 circa era conficcata in una fessura della roccia e poteva essere estratta al contrario di quanto riportano le più antiche testimonianze, di sicuro dev’essere accaduto qualcosa alla Spada tra il 1750 ed il 1915.
La spada, come sopra detto, fu spezzata negli anni 60 durante un atto vandalico e successivamente fu spezzata di nuovo nel 1991.
Nonostante ciò è stato verificato che gli orli della frattura dei due pezzi combaciano, e si può quindi legittimamente ritenere che la parte spezzata sia effettivamente parte della spada originale essendo un metallo medievale poiché non è presente l’utilizzo di leghe o acciai moderni.
Le analisi scientifiche hanno dato risultati sbalorditivi, non solo la roccia non presenta alcuna cavità, ma la lama è all’interno di essa e sembra aver passato la pietra come fosse burro caldo.
 

La Cappella degli affreschi

La cappellina adiacente fu aggiunto nel XIV secolo su donazione di un certo Vanni di messer Toso Salimbeni, che aveva legato le rendite della sua proprietà di Santo Pietro, vicino a Chiusdino, alla costruzione di una cappella “pulcherrima” di pietre e con volte dipinte, annessa alla chiesa di San Galgano, nella quale un monaco avrebbe dovuto celebrare ogni giorno una santa messa per l’anima del pio testatore.
Nonostante la sua snellezza la cappella ogivale trecentesca s’innesta con scarsa armonia alla chiesa originale.
Come attesta un documento ritrovato da Alison Luchs, gli affreschi sono opera del pittore senese Ambrogio Lorenzetti che lavorò a Montesiepi nel 1334.
Il ciclo fu distribuito su tutte le pareti piane della cappella in doppia fila; gli stessi hanno subito deterioramenti e ridipinture e nel 1966 sono stati staccati dal muro e riportati su pannelli resinosi.
In alto nella lunetta della parete di fondo troviamo la Madonna in trono,circondata da una schiera di Angeli e Santi e figure allegoriche; ai suoi piedi si stende Eva sulle cui spalle si trova una pelle di capra dalla quale spunta un serpente (a simboleggiare la lussuria) mentre con una mano sorregge un fico (simbolo del peccato) e con l’altra mostra un cartiglio dove si spiega il contenuto teologico della scena allegorica: il contrasto tra Eva, causa di morte e Maria, genitrice di Cristo “fonte di vita“.
Tra i santi rappresentati attorno notiamo nel piano superiore: San Pietro e Paolo e i due San Giovanni; nel piano inferiore abbiamo il papa Lucio III che canonizzò San Galgano e due eremiti vissuti nei dintorni forse Giacomo da Montieri (eremita in rapporti spirituali con i monaci di San Galgano) e San Guglielmo di Malavalle (nobile francese del 1100 che visse da eremita e fondò vari eremi, a lui si ispirò San Galgano).
Il vescovo inginocchiato all’estrema destra potrebbe essere il Beato Raniero da Belforte, abate dell’abbazia sottostante e, dopo, Vescovo di Volterra.
Le due figure in bianco rappresentano i due santi cistercensi: San Roberto di Molesme, fondatore dell’ordine cistercense e San Bernardo di Chiaravalle; la donna che offre un cuore alla Vergine rappresenta la carità ideale, mentre la donna con la sporta è simbolo della carità pratica.
L’affresco presenta una particolarità a cui nessuno ha saputo mai dare una risposta, infatti la Madonna ha tre mani; la Vergine con il Bambino al centro della rappresentazione tiene in mano Gesù con due mani ma ha una terza mano che trattiene un bastone, il perché di questo errore tutt’oggi è un mistero.
Nella fascia inferiore vi è un’insolita Annunciazione, infatti dall’affresco risulta evidente che l’autore o gli autori hanno rappresentato il celebre episodio in due diversi modi: se la sinopia infatti ci presenta la Madonna inginocchiata o quasi rannicchiata che, spaventata, abbraccia una colonna, l’affresco la raffigura genuflessa davanti all’Angelo, in atteggiamento sereno, con le braccia incrociate sul petto.
Circa l’interpretazione di questa rappresentazione si sono scatenate le più estrose interpretazioni fra cui quella che l’Angelo non annuncia la nascita di Gesù, quanto piuttosto quello della morte di Maria, basta però leggere i passi della Bibbia che narrano l’evento per rendersi conto che l’apparizione dell’Angelo turbò Maria che fu quasi sconvolta ed è l’evangelista Luca a dirci chiaramente che Maria Santissima si spaventò quando udì l’annuncio dell’angelo Gabriele, così a Montesiepi il Lorenzetti ha rappresentato la conturbatio e poi, forse su richiesta degli esecutori testamentari di Vanni Salimbeni o dei monaci stessi o con il cambiare del gusto, ha raffigurato la humiliatio.
A conferma del turbamento della Vergine alla vista dell’Angelo troviamo una testimonianza nel Libro d’Oltramare di fra’ Niccolò da Poggibonsi, un padre francescano che fu pellegrino a Nazareth nel ’47 il quale scrive che a Nazareth esisteva la casa della Vergine e nella stanza dell’Annunciazione dice “Dentro si è la colonna che abbracciò S. Maria per la paura quando l’angelo l’annunziò“.
In basso, altra sinopia con due visioni di chiese: una gotica e l’altra circolare.
Nella parete di destra, in alto, un gruppo folto di Santi ed Angeli incamminati verso la Maestà di Maria; l’affresco è in buona parte perduto; tra i santi si riconoscono Santo Stefano con le pietre, Fabiano con la tiara papale con una spada in mano, Sant’Orsaia con corona in capo e freccia in mano e re Davide con l’arpa.
Nella fascia inferiore sono state collocate le due sinopie dell’Annunciazione definite dai critici un capolavoro di movimento e di sentimento.
Nella parete di sinistra, dall’alto, nella lunetta, San Galgano alla testa di un solenne corteo di santi ed angeli, nell’atto di offrire alla Madonna il simbolo della sua conversione, la spada infissa sulla sommità del terreno di Montesiepi, mentre San Michele lo accoglie al cospetto della Vergine; fra i personaggi del corteo, in testa si riconoscono le figure dei due Vescovi di Volterra: Ugo Saladini e Ildebrando Pannocchieschi, fondatori della Rotonda.
Più in basso il Lorenzetti raffigurò il pellegrinaggio di San Galgano a Roma di cui restano poche tracce di colore e un panorama di Roma con una parte della sinopia.
Nella figura c’è Castel Sant’Angelo (in versione idealizzata) e la facciata della vecchia basilica di San Pietro.
L’episodio raffigura la visione di un angelo sul castello che ripone la spada, in segno di perdono probabilmente riferito della fine di una pestilenza, grazie alle preghiere di papa Gregorio Magno.
Sempre nella parete sinistra c’è una teca in ferro e vetro dove all’interno si conservano le ossa di due braccia; secondo la tradizione, questi arti apparterrebbero a uno dei tre “invidiosi” che nel 1181 e in assenza di San Galgano, tentò di svellere e spezzare la Spada, e le cui bracci furono poi sbranate dai lupi, amici del Santo.
La radiodatazione, svolta col metodo del Carbonio 14 nel corso delle indagini scientifiche del 2001, ha fatto risalire le mani al XII secolo, quindi sarebbero effettivamente coeve a San Galgano.
Nella volta della cappella erano dipinti 4 tondi con raffiguranti altrettanti Profeti dell’Antico Testamento, se ne conservano integri due; sulla vela destra il profeta Abacuc dallo sguardo fiammeggiante ed un cartiglio in mano; a sinistra, il profeta Aggeo il cui cartiglio esalta la grandezza del tempio.
 

Curiosità

Ogni anno per un giorno all’anno accade un fatto molto interessante; il 21 giugno di ogni anno, al solstizio d’estate, al sorgere del sole un raggio di luce penetra nell’eremo dalla monofora posta dietro all’altare forma un cerchio luminoso sulla parete che pian piano si sposta fino a toccare la spada e il sepolcro di San Galgano.
 

Fonti documentative

V. Albergo e M. Negrini – San Galgano l’Eremo e l’Abbazia – 2016

http://www.sangalgano.info/

https://www.mitiemisteri.it/luoghi-misteriosi-italia/san-galgano

https://piazzadelcampus.it/san-galgano-tra-miti-leggende-e-misteri-7759/

https://www.bluedragon.it/non_fantasy/misteri/galgano.htm

https://www.corriere.it/extra-per-voi/2017/08/12/san-galgano-mistero-spada-roccia-toscana-c81b3924-7f5b-11e7-8c75-7e93437e930b.shtml

https://confraternita-sangalgano.it/wp/san-galgano-la-vita/

http://www.santiebeati.it/dettaglio/90493

http://www.luoghimisteriosi.it/toscana_sgalganoeremo.html

 

Mappa

Link coordinate: 43.152509 11.155384

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