Mulino di Sant’Angelo d’Assino – Gubbio


 

Il mulino ristrutturato è stato trasformato in complesso abitativo e il laghetto di contenimento delle acque per il funzionamento del mulino è stato adibito a pesca sportiva.

 

Cenni Storici e documentativi

La storia dei mulini ad acqua nel territorio di Gubbio si può far partire dal 1047, anno cui si riferisce il primo documento finora attestante la presenza di tali opifici.
Nel novembre di detto anno, infatti, “Giovanni del fu Benedetto dona alla canonica ed episcopio di S. Mariano un modio di terra e la porzione del suo molino posto a Colle Alto”.
Nel localizzare l’oggetto di tale donazione, viene citato, tra i diversi confini, “fluvio Asino“: dunque, il primo mulino di cui ci è dato sapere, pur non avendo elementi per poterlo localizzare con esattezza, è situato nei pressi di un corso d’acqua (l’Assino) che, considerato nel suo percorso entro i confini comunali, da allora in poi sarà destinato ad animare almeno una dozzina di impianti molitori idraulici.
Uno di questi, il Mulino di Sant’Angelo d’Assino, a palmenti e da cereali, situato appunto sulla sponda destra del torrente omonimo, tra i maggiori affluenti di sinistra del Tevere e quasi interamente compreso nel Comune di Gubbio, godeva di una favorevole ubicazione, trovandosi in una zona pianeggiante lungo l’attuale S.S. 219 (o Pian d’Assino), che collega Gubbio con Umbertide.
Un asse viario al cui ammodernamento già il Governo Pontificio prestò molta attenzione redigendo un Piano di collegamento dei due mari prevedendo la realizzazione d’un raccordo fra Tiberina e Flaminia (si propose poi di completare la strada fra Gubbio e Umbertide, asse fondamentale per il risanamento economico dell’intera comunità: una strada che, faceva presente nel 1824 il gonfaloniere di Gubbio, sarebbe risultata “piana, esposta a mezzogiorno, comoda [.. .] sicura perché vi si incontrano Molini, Locande, ed abitazioni frequentissime“).
Si è soliti dire che la struttura architettonica esterna di un mulino non presenti particolari caratteristiche: ebbene, non è questo il caso ché, anzi, a far bella mostra di sé l’opificio presenta a tutt’oggi un’elegantissima torre con tanto di ballatoio.
Di solito, in effetti, l’esterno di un mulino, necessariamente sobrio date le poche e piccole aperture, aveva un tetto rivestito in coppi e con bassa pendenza.
In riferimento all’Eugubino, solo nei casi dei mulini di Sant’Angelo e di Palazzo Magrano l’opificio era, ed è ancora, costituito da un più alto corpo di fabbrica, la torre, abitata dal molinaro, al quale se ne affiancava uno più basso dove, spesso, risiedeva il contadino.
Dell’originario edificio, quello a cui si riferisce l’Ordine delle Gabelle del 1380, nulla sappiamo.
Per una prima descrizione generale ci si deve spingere al Catasto Gregoriano: qui viene presentato con quattro vani, tutti a piano terra, sopra parte dei quali si estende una casa colonica.
Confrontando il Sommarione (1811) con il successivo Catasto Urbano (1857), si registra l’introduzione di una nuova ruota e la presenza di una valchiera.
L’edificio molitorio risulta costituito da un unico vano per la macinazione ed è sormontato da una torre quadrangolare in pietra, in ottimo stato di conservazione. Quest’ultima è percorsa su tutti e quattro i lati da un ballatoio e presenta, sul lato occidentale, un ampio portone con architrave in legno: si tratta dell’ingresso al vano macchine, con volte a botte, dove oggi sono accatastate due tramogge, due casse e due cassoni per la farina.
Da questo stesso vano, attraverso una sorta di botola, è possibile vedere uno dei due ritrecini, ormai dotato però di soli quattro cucchiai.
La torre, che ospitava il mulino, oggi adibita a cantina-ripostiglio, è affiancata da un corpo di fabbrica a “L” a uso abitativo.
L’attuale proprietario ha ben conservato la reglia, il bottaccio e le macine: dalla prima ricava l’acqua che alimenta un laghetto artificiale per la pesca sportiva; l’acqua del bottaccio, invece, anziché condotta attraverso le docce e il canale di scolo, è deviata grazie a una cascatella per essere ricondotta all’Assino; le quattro macine, infine, vengono utilizzate come tavolini all’aperto, due per uso privato e due adiacenti al parcheggio che serve il laghetto.
Dall’Elenco dei mulini esistenti nel Comune di Gubbio nel 1867 risulta, che “solo nell’estate macina ininterrottamente [.. .] . Esaurisce grano, granoturco ed altri brastimi per un quantitativo di Et. 800“.
Degno di nota è il “Reclamo Sassi contro Stirati di Gubbio per lavori nei torrenti Assino e Cesa” del 22 dicembre 1872: al di là dell’animosità dello stile del documento, esso è utile per ricavare notizie relative al territorio circonvicino e al regime idrologico.
Si parla infatti di campi seminativi vitati che lambivano le sponde del torrente Cesa e delle frequenti fiumane che travolgevano le chiuse.
Le notizie più tecniche e più precise sono quelle contenute nell’Allegato (1893) alla Carta Idrografica: la diga in muratura era posta su un canale di derivazione lungo km 0,380, con un dislivello di 1,20 m dal punto di presa e una caduta di 4,90 m.
Secondo i dati ricavati presso l’Archivio Storico della Camera di Commercio di Perugia, dal 1927 al 1957 ne fu proprietario Gilardo Terradura che nella richiesta di rinnovo della licenza di esercizio per il 1934 dichiarava il mulino dotato di uno svecciatoio e una produzione oraria di q 1,5.
Nel 1954 erano elencati: tre macine, per grano, granoturco e biade, con diametro di 130 cm ciascuna, un buratto, un aspiratore, un trabatto, uno svecciatore e un battitore.
A produrre la domanda di licenza per il 1958 è stato Annibale Terradura, l’ultimo a essersi occupato attivamente di questo mulino.
Dopo il terremoto del 1984 cessa, de facto, l’attività anche se ufficialmente, de iure, il rinnovo della licenza presso la Camera di Commercio non si ha più solo dal 1988. (R G.)
 

Fonti documentative

A. Melelli F. Fatichenti – L’Umbria dei mulini ad acqua – Quattroemme Città di Castello 2013
 

Da vedere nella zona

Castello di Carbonana
Abbazia di san Bartolomeo in Camporeggiano
Castello di Montelovesco
Castello di Camporeggiano
 

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