Mulino Fiorelli – Molini di Sellano (PG)

E’ l’ultimo sopravvissuto di una serie di mulini distribuiti lungo il corso del fiume Menotre che ancora è funzionante.

 

La nascita del mulino ad acqua

II modo di macinare il grano ed i cereali ha subito nel corso dei secoli notevoli variazioni in funzione del progresso tecnologico raggiunto.
Ad iniziare dai pistores, romani, sotto Numa Pompilio che azionavano due pietre sovrapposte: l’inferiore di forma concava, la superiore di forma convessa, tra di loro perfettamente combacianti.
La pietra, o macina, era mossa circolarmente tramite un cavicchio di legno incastralo in un foro della medesima, posto in posizione eccentrica.
Con il progredire della tecnica queste pietre furono sostituite da altre.
Su di un tronco di cono fisso (meta o pilastrino) veniva a combaciare un tronco di cono vuito internamente, chiamato cotillus o vaso, con nella parte superiore una specie di imbuto entro cui erano versati i cereali.
Questi, attraverso appositi fori, venivano a cadere fra la superficie esterna del cono inferiore e quell’interna del cono superiore, dove avveniva la macinazione.
Un’asta di ferro permetteva di regolare la distanza fra i due pezzi.
Sul cotillus, erano fissati due robuste e lunghe assi orizzontali che permettevano di farlo ruotare.
La prima descrizione dettagliata di un mulino idraulico viene fornita nel I secolo a.C. da Vitruvio nel “De architectura” e corrisponde a quella di una macchina a ruota verticale.
Vitruvio presenta il mulino come invenzione che sfrutta gli stessi principi delle macchine a ruote per il sollevammo dell’acqua.
Dopo aver parlato della ruota a cassetti detta anche noria, egli osserva che, per ottenere il mulino, basta aggiungere all’asse della ruota un tamburo dentato, che a sua volta ingrani con un tamburo orizzontale a cui è fissata la macina.
Inventato probabilmente nel mondo greco-ellenico, il mulino ad acqua non trovò, largo impiego nel mondo romano: la grande disponibilità di energia muscolare (fornita non solo dagli animali, ma anche da schiavi, cittadini poveri o delinquenti condannati a questa pena) ritardò la diffusione del mulino ad acqua, che avvenne solo in età carolingia tra XIII e IX secolo.
In seguito alla caduta dell’Impero Romano lo sviluppo di tecnologia idrauliche divenne una necessità: il fortissimo calo demografico, le diminuzione della schiavitù e quindi di manodopera spinsero le popolazioni europee, a riscoprire le fonti per lavorare dapprima il grano per poi adattare il medesimo meccanismo a molti dei lavori più pesanti per l’uomo.
 

Le pietre di La Ferté-sous-Jouarre

Le mole francesi provenienti dalle cave di La Ferté-sous-Jouarre nei pressi di Parigi, erano considerate di fattura pregiata.
Le pietre per la fabbricazione delle mole devono avere particolari caratteristiche: non dovevano essere troppo “piene” di sostanza molle, altrimenti si scaldano subito e lavorano poco neanche “aperte“, cioè con pochi buchi, quasi lisce, perché non macinano a dovere consumandosi in fretta.
Le macine migliori erano abbastanza piene senza esserlo troppo, di natura soda e tagliente, con pori fini e regolari, spigolati, taglienti, che mordevano i grani senza scaldarli: producevano farine con più corpo, pulivano meglio la crusca e non provocavano scarti.
La più usata fra le pietre aventi tali caratteristiche era sicuramente la Pietra Silicea, anche detta Selce Molare, che si presenta in ammassi irregolari di banchi argillosi in terreni dell’era Terziaria, di colore biancastro, con variazioni sul grigio, azzurro, rosa, giallo, non si sgretola durante la macinazione e può essere facilmente ripristinata con l’uso di un martello.
La Selce Molare possiede una naturale porosità e la capacita di auto-rinnovarsi, mantenendo gli orli taglienti, durante il suo lavoro di molitura, con il risultato di conservare più a lungo le superfici macinanti con la massima efficienza di lavoro.
Le più importanti cave di Selce Molare si trovano nel dipartimento della Senna in Francia, per l’appunto a La Ferté-sous-Jouarre, i cui giacimenti fornivano blocchi, o conci, pronti per la confezione di macine all’estero.
E’ possibile dunque distinguere tra macine che provengono propriamente da La Ferté, le vere macine di La Ferté-sous-Jouarre, le vere macine costruite in altri paesi con le pietre provenienti da La Ferté, denominate macine di pietra La Ferté.
 

I mulini di Cammoro Orsano

Il sistema dei mulini ad acqua della Valnerina era molto vasto ed ogni insediamento ne contava almeno uno, caratterizzato dal sistema della pala orizzontale, chiamato “ritrecine“.
In prossimità del villaggio di Valle di Cammoro ve ne erano due, ora ridotti a ruderi, mentre a Molini se ne contavano addirittura tre, di cui resta soltanto il più antico, identificato un tempo come “mulino di Orsano“, corrispondente a quello di Molini da Capo: i tre antichi mulini servivano le comunità di Cammoro e di Orsano.
I mulini erano presenti in questa zona già molti secoli fa: lo stesso mulino qui descritto si inserisce in un complesso architettonico che probabilmente risale al XIII – XIV sec.
Nel documento di cessione del castello di Orsano al comune di Spoleto del 1277 si fa riferimento all’esistenza di mulini: Donna Alessandra, moglie del signore di Orsano, Alberto Leonardi, chiedeva infatti la concessione di due mugnai e due operai per il funzionamento dei mulini gestiti insieme alla comunità di Cammoro.
La donna chiedeva che potessero dimorare nei loro mulini e possedimenti, immuni da ogni obbedienza se forestieri, se invece di Cammoro e di Orsano, esentati dal dover abitare nel castello, ma tenuti a rispettare gli altri obblighi.
In una mappa prospettica del XVI sec. conservata nell’Archivio Storico Comunale di Sellano, in cui sono raffigurati simbolicamente i castelli di Orsano, Verchiano e Rasiglia, si può individuare un edificio collocato in prossimità del “Fiume di Orsano” definito “Casa d’Agranare“.
Nella mappa del Catasto gregoriano (1820 ca.) relativa al territorio di Cammoro è riscontrabile la presenza di due mulini; in quella relativa ad Orsano se ne contano tre.
Gli anziani ricordano che agli inizi del ‘900 tutti e tre i mulini erano funzionanti.
Il primo ad interrompere la sua attività fu quello di Molini da Piedi: probabilmente chiuse già nel secondo decennio del ‘900.
Nell’Archivio storico del Comune di Sellano è stata rinvenuta una lettera scritta da Stella Salvucci Lucia nel 1942, indirizzata al podestà, nella quale la signora. all’epoca proprietaria del mulino, manifestava la propria intenzione di opporsi fermamente alla decisione dell’Amministrazione di chiudere il mulino.
E’ plausibile che il comune avesse intimato ai proprietari di chiudere il mulino per motivi di ordine igienico: l’ipotesi è confermata da alcune affermazioni della sig.ra Salvucci in cui ribadisce che il suo mulino è il migliore dei due mulini ancora attivi a Molini (il Mulino di Molini da Piedi doveva essere già chiuso) in quanto ad igiene.
A sostegno della sua opinione la proprietaria ricorda che il mulino era stato oggetto di un completo ammodernamento negli anni ’30.
Negli stessi anni è possibile riscontrare attraverso i dati forniti dal Catasto un aumento del valore dell’immobile, imputabile probabilmente a tali lavori di rifacimento.
Questa lettera conferma che negli anni ’30 erano rimasti attivi solo due mulini: il mulino di proprietà della famiglia Stella a Molini da Capo, e quello della famiglia di Bianchi David, a Molini di Mezzo.
E’ interessante ricordare che in quegli stessi anni il secondo fu utilizzato per alimentare una piccola centralina idroelettrica che produceva energia elettrica sufficiente per i villaggi di Molini, Celle e Colletrampo.
Negli anni immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale la famiglia Stella vendette il proprio mulino alla famiglia Fiorelli, che lo mantenne in funzione fino ai primi anni ’60.
Il mulino della famiglia di Bianchi David proseguì invece la sua attività fino agli anni ’80, sostituendo l’energia derivante dalla forza motrice dell’acqua con quella elettrica.
I mulini di Molini servivano un territorio molto vasto, non soltanto i territori di Cammoro e Orsano, ma anche quelli di Pettino, di Agliano e della Spina.
Domenica Marziani, moglie di Fiorelli Lorenzo, riferisce di ricordare le lunghe file di asini che provenivano da Agliano e raggiungevano Molini passando per la Torre, carichi di sacchi di grano e guidati dalle donne che durante tutto il tragitto lavoravano a maglia.
I proprietari del grano, una volta arrivati al mulino, pesavano il grano con la grande stadera che era appesa all’ingresso di ciascun mulino: era importante verificare il peso per calcolare la quantità di grano o della corrisponderne farina ottenuta che doveva essere lasciata al mugnaio in pagamento per la molitura.
La crisi colpi l’attività molitoria che si svolgeva a Mulini quando divenne più conveniente portare il grano a macinare nei mulini di pianura che, lavorando quantitativi più elevati, erano in grado di praticare prezzi più bassi.
Il mulino di Bianchi David, gestito in seguito dal figlio Bianchi Tino, riuscì a prolungare la sua attività specializzandosi nella macinazione degli sfarrati per l’alimentazione degli animali.
 

Il Mulino di Orsano

Il mulino appartiene alla famiglia Fiorelli di Torre di Cammoro, che lo acquistò nel Secondo Dopoguerra.
E’ il primo mulino che si incontra lungo il corso del fiume Mentre, partendo dalle sorgenti, ed è l’unico funzionante poiché conserva tutto l’apparato molitorio.
L’impianto ha subito un ammodernamento negli anni ’30 del Novecento.
L’antico ritrecine di legno fu sostituito da una turbina di ferro, le macine artigianali con delle macine prodotte industrialmente in pietra La Ferté.
Sulla tramoggia e ancora perfettamente visibile il marchio della fabbrica che fornì probabilmente sia gli accessori per il mulino sia le macine.
Nel logo si legge “IMPIANTI MOLINI – MANGIMIFICI OFF. MECC. BALDESCHI E SANDREANI CANTIANO (PESARO) ROMA”.
La fabbrica Baldeschi e Sandreani, fondata a Cantiano nella valle del Metauro nel 1904 dall’ingegner Curzio Baldeschi e dal cognato Romolo Sandreani, produceva infatti sia le macine, sia tutti gli accessori necessari per i mulini a palmenti.
Le macine di questo mulino riportano la scritta Cantiano ma hanno anche un’incisione in rilievo al centro con la seguente dicitura: “PIERRE MEULIERE LA FERTE’ S/R JOUARRE”: è incerto dunque se provengano direttamente dalla Francia, importate dalla fabbrica di Cantiamo, oppure siano state assemblate nelle Marche con pietra proveniente da La Ferté sous Jouarre.
 

Il mulino di Orsano come testimonianza di archeologia industriale

Il tema dei mulini e delle ruote idrauliche in Umbria è strettamente connesso all’interesse per l’economia e la cultura materiali precedenti l’industrializzazione avvenuta tra Ottocento e Novecento, tuttavia può divenire un interessante argomento di approfondimento anche per l’archeologia industriale.
Se è vero infatti che l’archeologia industriale, intesa nel suo approccio tradizionale, focalizza l’attenzione sulle trasformazioni del sistema produttivo tra Ottocento e Novecento, è pur vero che in una regione come l’ Umbria le permanenze di un mondo produttivo precedente, i resti di un sistema energetico in funzione da secoli non sono stati cancellati, bensì si sono spesso accompagnati alla modernità.
Ne consegue che l’adozione di una prospettiva di lungo periodo tra Medioevo e Novecento potrebbe essere utile ad una migliore comprensione dei fenomeni economici: basti pensare che molti degli attuali mulini funzionanti con elettricità sono spesso i nipoti di quelli medievali passati alla modernità.
Anche il mulino di Orsano costituisce un esempio di sintesi tra vecchio e nuovo: le macine prodotte industrialmente e il Plansystem si combinano con il tradizionale sistema energetico idraulico, ponendosi al servizio di un’attività molitoria che continuò ad essere esercitata fino all’ultimo, ossia per tutta la prima metà del ‘900, conservando caratteristiche prettamente artigianali.
Il mulino di Orsano merita di essere riconosciuto come testimonianza essenziale di quel patrimonio di archeologia industriale diffuso lungo il corso del Menotre.
Il suo recupero risulta fondamentale per conservare una parte di storia e di cultura di questo territorio: è importante infatti recuperare e valorizzare non solo quello che è considerato opera d’arte o monumento, ciò che celebra lo spazio con la bellezza o il valore intrinseco di tipo religioso o storico, ma anche ciò che testimonia la quotidianità della vita produttiva, culturale, civile della comunità umana che in questi luoghi ha vissuto nel tempo.
 

Fonti documentative

Cartellonistica in loco
La Ferté-sous-Jouarre (tratto da Enciclopedia Treccani 1974).
EZIO MADURERI, Storia della macinazione, volume I, tecnologia della macinazione Pinerolo, Chirotti Editori s.p.a, 1995.
 

Da vedere nella zona

Paese di Molini
Chiesa di San Michele Arcangelo – Molini
Cappella della Beata Maria Vergine della Pietà – Molini
Eremo di San Paterniano – Molini
Castello di Orsano
Chiesa di Santa Maria Assunta – Orsano
Chiesa di San Vincenzo Ferrer – Orsano
Castello di Cammoro
 

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