Villa di Sustrico – Spoleto (PG)


 

Cenni Storici

Sustrico è una località posta a sinistra risalendo la via Flaminia verso la Somma, il nome è citato per la prima volta negli statuti comunali del 1296: “Item dicimus et ordinamus, quod locus Substrici habeatur prò villa, et nomine ibi habitantes compellantur ad faciendum baiulum (et) valdarium ut alii homines alia- rum villarum“; Sustrico, pertanto, doveva annoverarsi tra le ville del Comune di Spoleto, e come tale eleggeva il balìo e il valdario.
Nel trecentesco Codice Pelosius sono nominate due chiese, che dipendevano da San Pietro extra moenia: San Nicolòde Publica” e San Martinode Sutrico“.
Probabilmente non fu mai fortificato, anche se una delle attuali torre colombaie del casale potrebbe essere stata originariamente una torre di avvistamento, e rimase sempre villa aperta.
Intorno al Cinquecento Sustrico divenne proprietà della nobile famiglia Leti di Spoleto e rimase tale fino all’estinzione della famiglia, ai primi del XIX secolo, dopo varie vicissitudini la proprietà fu acquisita dalla famiglia Antonelli nel 1851.
Nel 1859 si trova la seguente scarna indicazione: “Sustrico con S. Orso, Parrocchia di anime 64 riunite in 8 famiglie in 8 abitazioni; giace 2 sole miglia lungi dalla città.“.
 

Aspetto

Provenendo da Spoleto in direzione di Terni lo si raggiunge imboccando una traversa laterale sulla sinistra, con un piccolo ponte.
A sinistra una deviazione conduce al bel Casale di Valle Rosa.
Si prosegue fino ad un’ulteriore biforcazione e si prende a destra, superando un altro piccolo ponte. Poco dopo, sulla destra, si trova il casale duecentesco delle Palazze, con duplice torre colombaia, nei pressi vìè la chiesa di San Nicolòde Publica“, ora pesantemente ristrutturata, priva di qualsiasi arredo e utilizzata nell’ambito del condominio che ivi è stato realizzato.
Se ne riporta quasi letteralmente la descrizione che ne ha fatto Carlo Pietrangeli nel 1973.
Dal 1908 è stata utilizzata come tomba della famiglia Antonelli che, come si è detto, acquistò Sustrico nel 1851.
L’edificio, che ha ora l’orientamento invertito essendo stata aperta nel 1750 sulla parete di fondo, una porta sull’antica mulattiera, prospettava un tempo con la facciata verso via Flaminia (a questo allude infatti l’appellativo
“publica”); gli angoli anteriori sono costituiti da blocchi di calcare provenienti da un vicino sepolcreto romano, la porta, oggi murata, affine a quelle delle chiese romaniche spoletine, è ad arco di pietre conce girate su piedritti costituiti da cippi funerari; a sinistra in alto uno, che sembra inedito, con l’iscrizione Q. XV, cioè [p(edes)]q(uadrati)XV; sotto ne manca un secondo, trasferito da molto tempo nella villa già Leti a Sustrico; a destra ve n’è un altro la cui iscrizione, già nota fin dal tempo del Minervio, che l’aveva completata, è ora difficilmente leggibile.
Sul tetto era un campaniletto a vela con la sua campana; questo fu alcuni decenni or sono demolito e la campana fu trasferita nel vicino casale delle Palazze, da cui è stata rimossa nel 1973 dal proprietario per trasportarla a Spoleto; essa recava l’iscrizione
: IN HONOREM S. NICOLAI EPI. ET/CONFESS. A. D. 1664.
Sotto sono il Crocifisso tra la Madonna e S. Giovanni e lo stemma Leti.
Sul fianco sinistro
(rispetto alla facciata originaria) è una nicchia, forse antica finestrella, coperta “alla cappuccina”.
Nel lato posteriore alla porta sono il nome di Gesù modellato su una lastra di terracotta e una scritta dipinta ormai illeggibile.
La data 1750, che corrisponde evidentemente al mutamento di orientamento, si legge su una pianella della trasanda del tetto.
Nell’interno, fino a qualche tempo fa, erano una lacera tela rappresentante il Santo Titolare entro cornice con lo stemma Leti, e una piccola acquasantiera, probabilmente medievale.
Su un gradino si legge un frammento di iscrizione romana
“.
Di tutto quel che il Pietrangeli descrive oggi rimane ben poca traccia.
Continuando a salire, le poche case che si incontrano all’inizio del minuscolo abitato non presentano elementi di interesse.
 
 
 

Chiesa di San Martino

Dopo averle superate si incontra la Chiesa di San Martino detta “la Cura“, esisteva certamente dalla fine del ‘300 e dipendeva, come si è detto, dalla chiesa di San Pietro.
Con l’acquisto della tenuta da parte dei Leti, divenne giuspatronato di quella famiglia che provvide ai restauri e alla manutenzione.
Dopo la morte, nel 1677, del vescovo monsignor Nicolò Leti la cura della chiesa rimase affidata ai nipoti; infatti nel 1680 fu fusa la campana che reca i nomi e le cariche dei fratelli abate Filippo e marchese Giovanni Leti.
La chiesa fu ricostruita dalle fondamenta nelle forme attuali, di garbata architettura settecentesca, negli anni 1710-1711 da Giovanni Leti in esecuzione delle volontà testamentarie del fratello, morto nel 1705.
Nella nuova chiesa furono riutilizzate le tele poste sugli altari della precedente e ne fu aggiunta un’altra sull’altare di sinistra; anche la campana fu riadoperata nel nuovo campanile.
Con breve del 23 agosto 1828 Leone XII, ad istanza del priore Andrea Luparini, unì il relativo beneficio al priorato della chiesa cattedrale di Spoleto; l’officiatura fu curata per molti anni dai Frati minori del Convento di San Paolo; dal 1875 è affidata ai Padri Cappuccini.
INTERNO
L’interno è a una sola navata.
Sull’altare di sinistra si trova una tela settecentesca raffigurante la Madonna col Bambino tra Sant’Apollonia e Santa Lucia.
Sull’altare maggiore è esposta una tela raffigurante Gesù Crocifisso tra la Madonna e San Giovanni e ai piedi della Croce, inginocchiato, San Martino vescovo, fu fatto probabilmente eseguire da anonimo modesto pittore locale dal vescovo Leti; nel breviario rappresentato presso il Santo è lo stemma Leti e l’iscrizione S. MARTINO EPO DICATVM/1632.
Anche il quadro sull’altare a destra, che rappresenta la Madonna in gloria con San Carlo Borromeo e altro Santo, reca in basso lo stemma Leti e la data 1655; potrebbe essere stato commissionato dallo stesso monsignor Nicolò Leti.
L’iscrizione, in una targa a stucco, un tempo adorna dello stemma di famiglia, posta sopra alla porta della facciata interna della chiesa, ricorda le benemerenze del prelato:
D(EO) O(PTIMO) M(AXIMO) / PHILIPPO ABB(ATI): LAETOPATRITIO SPOLETINO / NATALIBUS CLARO SCIENTIA CLARIORI / VIRTUTIBUS (ALARISSIMO / QUI U(TRIUSQUE) S(IGNATURAE)REF(ERENDARIUS): / PERFUNCTIS ROMANA CURIA CONSPICUIS MUNERIBUS/QUINQUE SUMMIS PONTIFICIBUS CHARUS / MAXIMO CUM PLAUSU / PLURIUM CIVITATUM AC QUAT- TUOR PROVINCIARUM / REGIMEN PRUDENTISSIME EXERCENS / EXIMIAE PIETATIS IN DEUM / ET / LIBERALITATIS IN PAUPERESSPECIMEN PREBUIT / DEMUM / A SANCTISS(IMO): D(OMINO).CLEMENTE P(A)P(A) XI / NOVIS TITULIS INSIGNITUS / TEMPLUM HOC / IN SUPREMIS SUAE VOLUNTATIS TABULIS / ERIGI IUSSIT / IDEO / JOANNES MARCHIO LAETUS FR(ATER). GERMANUS / A FUNDAMENTIS EREXIT / ATQUE / PERENNE HUI- SCE REI MONUMENTUM / EXTRUI CURAVIT / ANNO MDCCXI.
 
 
 

Palazzo e Chiesa di San Cristoforo

Un viale di lecci conduce dalla chiesa di San Martino al cosiddetto “Palazzo“,casino di villeggiatura eretto dai Leti nel Cinquecento, costituito da un corpo rettangolare con cinque finestre con davanzale sagomato in pietra e prive di mostrenella facciata al primo piano, quattro al piano terreno ove si apre la porta; quella originaria fu decorata più tardi con una mostra in pietra con stemma Leti sormontato da corona radiata degli inizi del secolo XVIII.
Anche per la Villa e per l’annessa cappella ci si avvale della descrizione del Pietrangeli, poiché oggi il complesso, abitazione privata, non è più visitabile.
All’interno una sala, oggi divisa in due, conserva un soffitto in legno con tracce di decorazione dipinta dell’epoca della costruzione: motti moraleggianti alternati con stemmi della famiglia con scudo a testa di cavallo.
In un ambiente al piano terreno fu dipinto un affresco, ora staccato e assai deperito, rappresentante la Madonna col Bambino entro una cornice dipinta; è opera della maniera dello Spagna, databile nei primi decenni del Cinquecento.
Di qualche interesse per la storia dell’edificio sono due bussole settecentesche dipinte con lo stemma Leti sormontato da corona radiata, al quale è stato sovrapposto al principio dell’Ottocento, dopo l’estinzione della famiglia, quello dei nuovi proprietari.
Nel lato posteriore, sulla destra
(rispetto alla facciata) si addossa la chiesetta di San Cristoforo, la cui porta di pietra a sesto semicircolare reca lo stemma Leti senza corona entro cartiglio con bordi accartocciati.
I caratteri stilistici sono quelli dei primi anni del ’500 e la datazione è confermata da un mattone rinvenuto nella trasanda del tetto con l’iscrizione graffita in corsivo
: A di.14 d. setemb(re) / 1509.
La chiesa conserva le sue suppellettili seicentesche, e alcuni quadri, privi di pregio artistico, tra cui quello sull’altare rappresentante San Cristoforo col Bambino sulle spalle.
Dal soffitto pende una lampada di ottone con stemma Leti sormontato da cappello prelatizio.
Ma la cosa più interessante conservata nella chiesa sono due grandi dipinti ad olio che occupano completamente la parte superiore delle pareti laterali.
In uno è rappresentato
San Filippo Neri con una vecchia dama inginocchiata avanti in atto di venerazione.
La scritta, accompagnata dagli stemmi accostati dei Leti e degli Scelli, ne precisa il soggetto:
MARTA SCELLA (VXOR) / FRANCISCI ANGELI LAETI / SANCTA NUNCUPATA / SA(N)CTI PHILIPPI NERI / INTERNAM AC SUPERNA / TURALEM PULCRITUDINEM / DEI DONO AGNOSCIT ET / VENERATUR 1588.
L’altro dipinto rappresenta la Madonna di Cibona fiancheggiata da 4 angeli che sollevano le cortine, con la scritta:
VERA IMAGO VIRGINIS OLIM CI / BONE NUNC MONTIS URBANI.
Si tratta della copia, completata con gli angeli che non esistono sull’originale, di una immagine mariana assai venerata nell’alto Lazio, alla quale probabilmente il vescovo di Acquapendente Nicolò Leti era particolarmente devoto.
La campana della cappella, ricollocata recentemente a posto in un campaniletto a vela ricostruito dopo il crollo di quello originario colpito da un fulmine, reca la seguente iscrizione:
+ XPS (Christus) REX VFNIT IN PACE DEVS HOMO FACTV / S EST A. D. M. D. XXL.
In una mandorla sono rappresentati la Madonna col Bambino e San Michele Arcangelo.
Alla chiesa fu aggiunto nel ‘600 un altro corpo di fabbrica prospiciente sul cortile e includente due finestre; in tal modo la costruzione venne ad assumere una pianta adL“.
Il casino di villeggiatura fu unito alla chiesa di San Martino mediante un viale di lecci, oggi ancora in parte esistente.
 
 
 

Casale

A 100 metri dal casino di villeggiatura è il casale di Sustrico, complesso rustico di un notevole interesse, eretto in vari tempi.
A sinistra della porta d’’ingresso al cortile interno è murata un’acquasantiera, forse proveniente dalla vecchia chiesa di San Martino.
La costruzione più antica, presumibilmente trecentesca, è una torre a due piani coperta da tetto a duplice spiovente illuminata da finestrelle ad arco ribassato e conclusa in alto da un semplice aggetto di lastre di pietra, che reca sul lato volto ad ovest una nicchia, un tempo coperta da tetto displuviato ora rimosso, con un bell’affresco, databile ai primi anni del secolo XV, raffigurante la Madonna in trono col Bambino, sul fianco sinistro della nicchia è una rara raffigurazione, forse l’unica esistente, dei santi spoletini, fratelli e diaconi, Serenico e Serenedo, sul fianco destro un Santo vescovo, forse San Martino.
Accanto alla torre, con orientamento Nord – Ovest – Sud Est, sorse nei primi decenni del ‘500 un massiccio torrione con una finestra in cotto a sesto semicircolare e davanzale sagomato in pietra aperta a Nord Est ed una assai elegante decorazione in cotto che gira alla sommità del secondo piano; probabilmente il torrione doveva essere, in origine o in progetto, coperto a quattro spioventi ma, o perché la costruzione non fu compiuta o per le vicende subite, essa è ora terminata da un tetto ad una sola falda costruito nel 1563, data che si legge in un mattone del sottotetto (anche altri mattoni hanno rozzi e curiosi disegni del tempo: il monogramma di San Bernardino, un cuore trafitto, una fontana, un monogramma, ecc.).
La trabeazione in cotto era dipinta ed adorna delle ruote araldiche dello stemma Leti.
Nel torrione sono ricavate una stanza al piano terreno, una al primo piano con soffitto di legno a mensole e vi si osservano le tracce di un grande camino con sporto esterno; un vano, rimasto incompiuto, è accessibile solo dal tetto al secondo piano.
Accanto al torrione, sulla sinistra fu costruito, orientato a NO, un corpo di fabbrica includente al 1° piano un vano con finestra analoga a quella già ricordata e, nella parte retrostante, un grazioso portichetto a cinque archi in cotto sorretti da pilastri ottagoni, uno dei quali più stretto, è in corrispondenza della scala. Sotto al portichetto due arcate a sesto ribassato conducono ad altrettante porte di accesso ai vari vani del piano terreno.
Dopo la costruzione di questo primo corpo di fabbrica, si addossò ad esso un secondo fabbricato a quattro finestre, pure a sesto semicircolare, che include anche una torre, con finestra analoga alle altre, coperta anch’essa a duplice spiovente e decorata da un fregio in cotto di mattoni arrotati e dipinti nei colori bianco e rosso dello stemma Leti.
In un mattone della trasanda del tetto si legge la data 1651, ma è probabilmente riferita a un restauro della copertura, che il corpo di fabbrica ha aspetto cinquecentesco.
Nella torre sono ricavati quattro vani: uno al piano terreno, uno al primo, uno sopra al primo e una soffitta.
Successivamente un ulteriore ampliamento subì l’edificio sulla facciata NO con l’aggiunta di un corpo di fabbrica a due finestre, con un voltone che scavalca l’antica mulattiera per Patrico; in esso furono ricavati un altro vano e un grande fienile.
Contemporaneamente fu creato nel cortile un altro portico a duplice ordine di pilastri, con grandi aperture quadrate, che si addossò alla prima torre e alla nicchia dell’affresco votivo.
Esso servì evidentemente a raccordare la torre isolata col resto del fabbricato.
Ultima fase dell’immobile fu la costruzione di un corpo di fabbrica tra la prima e la terza torre.
Nel sottopasso ove transitava in antico la strada, in una nicchia sul muro, si trova un suggestivo dipinto a olio del XX secolo che ritrae Sant’Antonio Abate nell’iconografia di protettore degli animali, cara alla devozione agraria e contadina.
Nel prato tra il Casale e il Palazzo si trova una bella fontana, con vasche per lavare e abbeveratoio, realizzata nel 1926.
Oggi, dopo una secolare utilizzazione come casa colonica, l’edificio è stato ben restaurato, è ben tenuto ed è certamente uno dei più notevoli esempi di antichi manufatti rustici dell’agro spoletino.
 
 
 

Il territorio circostante

Proseguendo ancora a salire, dopo un’ora di cammino un suggestivo percorso conduce ai resti dell’antico mulino nel quale si lavorava il grano prodotto sui piani di Patrico.
Utilizzava le acque del fosso dell’Intiera, sfruttando anche una vasca d’accumulo naturale posta nelle vicinanze.
Poco a monte si trovano gli interessanti resti di un insediamento, forse eremitico.
È costituito da due piccoli ambienti, uno costruito addossato alla rupe, l’altro ricavato realizzando una parete verticale a chiudere una cavità naturale.
Probabilmente sono stati utilizzati come rifugi durante la seconda guerra mondiale e mostrano i segni di una frequentazione anche in epoca abbastanza recente.
Continuando a salire si incontrano altre deliziose cascatelle.
Riprendendo a scendere a valle si può imboccare una deviazione a sinistra, la strada, piuttosto sconnessa, consente di ammirare altri bei casali, il primo è il quattrocentesco casale Vermontana, poi uno caratterizzato da una rara torre colombaia di forma cilindrica e, infine, l’antico insediamento di Sant’Orso, già adibito a villa da Katia Ricciarelli e Pippo Baudo.
 

Fonti documentative

AA. VV. Edicole Sacre nel territorio della Comunità Montana dei Monti Martani e del Serano
ANGELINI ROTA G. Guida di Spoleto e del suo territorio, A.G. Panetto e Petrelli, 1929
FAUSTI L., Le Chiese della Diocesi di Spoleto nel XIV secolo secondo un codice del XVI secolo, Archivio per la storia ecclesiastica dell’Umbria, Foligno, 1913
JACOBILLI LUDOVICO Vite dei Santi e dei Beati dell’Umbria, Foligno, 1754.
PALMIERI ADONE Topographia statistica dello Stato Pontificio, ossia, Breve descrizione delle città e paesi loro malattie predominanti commercio, industria, agricultura Tipografia Forense, 1859 Roma
PIETRANGELI CARLO – Ricordo di una famiglia estinta, I Leti e le loro Proprietà Spoletine, in Spoletium n°18, Spoleto, 1973 p.49,50 e 51
SANSI A., Storia del Comune di Spoleto, Accademia Spoletina, Spoleto, 1876
SPERANDIO BERNARDINO Le Colombaie dell’Umbria Meridionale, Accademia Spoletina

http://www.casalespoleto.it/casale.pdf

 

Fonti fotografiche

Le immagini in bianco e nero sono tratte dall’articolo di Carlo Pietrangeli, l’immagine d’epoca del casale Vermontana è tratta da http://www.casalespoleto.it/casale.pdf
 

Nota di ringraziamento

Si ringrazia la gentilissima signora Laura Pietrangeli e il fratello Filippo Pietrangeli, figli dell’illustre archeologo Carlo Pietrangeli, per la cortese disponibilità, per la perfetta guida alle bellezze del territorio e per le tante informazioni fornite.
Sono altresì debitore allo scritto del padre per larga parte delle informazioni relative a Sustrico.
Si ringrazia l’amico Roberto Quirino per la collaborazione nell’interpretazione delle immagini delle edicole.
Si ringrazia altresì l’amico Matteo Filippi per le cortesi ed utili indicazioni fornite.
 

Nota

La galleria fotografica ed il testo sono stati realizzati da Silvio Sorcini.
 

Da vedere nella zona

Casale di Valle Rosa
 

Mappa

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